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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Atletica / Gli errori di Alex Schwazer: ne valeva la pena?

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Lunedì 6 Agosto 2012

Quarta giornata di Atletica. Manca l’animo a commentarla. Ogni prestazione, il commovente successo di Alex Sanchez sugli ostacoli o le sconfitte di due grandi favorite (Valerie Adams e Yelena Isinbaeva) lascia un sapore amaro. All’ora di pranzo, ben prima che si aprisse il programma che prevedeva l’assegnazione di cinque titoli, era arrivata dal CIO la notizia che ha sconvolto lo sport italiano: Alex Schwazer era stato trovato positivo (Epo) ad un controllo della Wada effettuato lo scorso 30 luglio ad Oberstdorf, a casa della fidanzata Carolina Kostner, dove il campione di Pechino stava ultimando la preparazione. Fuori di metafora una mazzata per tutti, ma soprattutto per l’atletica che su Schwazer contava per uno scatto d’orgoglio. Una pagina nera che resterà per sempre. Il doping – malgrado tutto – è vivo e seduce anche i soggetti meno permeabili, come fino ad oggi appariva a tutti Schwazer che, prima di rivelarsi in atletica, aveva lasciato l’ambiente maleodorante del ciclismo proprio perché lo vedeva infettato da quelle pratiche oscene.

Rifiutando i commenti del giorno dopo, quando si alterneranno condanne inesorabili e ipocrisie galoppanti, quando tutti si sentiranno chiamati ad esprimere sdegno e delusione, ma ben attenti a distinguere le proprie responsabilità (il riferimento a CONI e FIDAL non è assolutamente casuale) –, specialità nella quale gli italiani sono primatisti del mondo –, resterà il peso di una vicenda che non trova nessuna spiegazione plausibile. L’immagine di Alex Schwazer, come la conosceva la gente, era una fotografia limpida, con freschi odori d'alta montagna. E adesso fa male vederla galleggiare accartocciata nel rigagnolo sporco della vergogna. Il doping non è certo sconosciuto allo sport italiano, tanto meno a quello olimpico – si pensi al passato, ad Atene, a Pechino –, ma in altri si poteva forse accettare se non giustificare. Per Alex questo appare quasi impossibile. Anche a cose fatte.

Dopo aver ammesso tutto, confermate le accuse (e come avrebbe potuto confutarle?), il marciatore si sarebbe preoccupato delle conseguenze immediate: “Ho fatto tutto da solo, ma non voglio andare in prigione”. Una conferma di quanto resti fragile questo ragazzo timido, passato dall’esaltazione di Pechino 2008 all’abbandono di Berlino 2009. Poi un calvario, il buio, i propositi di ritiro, l’impossibilità di reggere una realtà pesante, il distacco da Sandro Damilano, la ricostruzione tentata con Michele Didoni, fino alle prestazioni favolose di questa primavera. Infine la rinuncia all’accoppiata 20/50, primi segnali di una condizione insoddisfacente. “Perché l’hai fatto?”. Sconfortante la risposta: “Volevo essere certo di restare il più forte”. E ora? Sarà difficile, in futuro, separare i giudizi sull’atleta da quelli sull’uomo. Sicuramente resta una vita distrutta. Ne valeva la pena?

Ora, brevemente, le gare. Due sole italiane in pista. Supera il turno Marzia Caravelli – esempio vincente di etica trasferita nello sport –, molto determinata (terza in 13”01), ma che approfitta di un inciampo della giamaicana Foster-Hylton, una delle favorite. Poi Gloria Hooper, la veronese con genitori ghanesi, che fa la sua parte sui 200, corre troppo impettita e chiude sui suoi tempi (23”35). Sarebbe una grande quattrocentista se mai qualcuno avesse voglia di dirglielo. Prima di andarsene, chiede un autografo a Fiona May, a bordo pista con un microfono di Sky. Brava.

 

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