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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Pezzo

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Paola Pezzo [1969]
Ciclismo


              (gfc)
Poche altre prime-donne dello sport italiano hanno saputo vincere come questa indomita “fata dei boschi”. Due medaglie d’oro consecutive ai Giochi, due titoli mondiali, una Coppa del Mondo, tre campionati europei, due titoli italiani: ecco la sintesi di un decennio di vittorie in gare spericolate. Il tutto in una specialità tra le più logoranti del circo a cinque piste in cui si articola, oggi, il ciclismo olimpico. Tra le piccole storie dello sport, a lei tocca un posto di rilievo anche per quella “zip” abbassata negli ultimi giri della gara di Atlanta, quando – staccate tutte le rivali – viaggiava in solitario verso il traguardo della prima affermazione nel cross. Quella cerniera del body, calata d’istinto sul seno, non un gesto malizioso, si intende, ma un riflesso naturale, suggerito dal caldo e dalla fatica, nato senza volerlo ad un giro dalla fine della corsa che segnava l’esordio olimpico per la mountain-bike. Ma che, ripreso e rilanciato dai circuiti televisivi, ha prodotto un risalto d’immagine con pochi precedenti. “Mi ha dato fastidio, dapprima, – dichiarerà a chi vorrà indagare, puntando su risvolti torbidi –, poi ne ho capito il significato e l’importanza, l’interesse aggiunto che accresceva il valore sportivo di una disciplina ancora da scoprire”.

             Due vittorie olimpiche, si è detto, nella più faticosa delle specialità delle due ruote, un abbandono e un ritorno al limite, se non oltre, della temerarietà: tappe che scandiscono una carriera zeppa di affermazioni. A conferma di un carattere vincente, caparbio, in una parola “tosto” come pochi. Una carriera avviatasi agli inizi degli anni Novanta, dopo che nello sci di fondo era arrivata fino alla Nazionale juniores. Poi l’incontro decisivo della vita, quello con la mountain-bike che sui viottoli e tra i boschi delle Alpi muoveva i primi passi. Poco prima di quello ancor più determinante, col ciclista bresciano Paolo Rosola – ex-velocista sempre in prima fila negli arrivi concitati – che ne è diventato allenatore e manager prima che padre dei suoi due figli.

             Ma vediamola da principio la carriera di Paola Pezzo, questa predestinata nata al principio del 1969 ai mille metri di Bosco Chiesanuova, sulle pendici dei monti Lessini. Figlia di un muratore, il passaggio in fabbrica, quindi un lavoro da portalettere stagionale, prima dell’idillio con le ruote artigliate sbocciato attorno ai vent’anni. Una specialità nuova – tra fascino e ardimento – da conoscere e praticare, ma anche da promuovere e da diffondere. Con uno spirito da pioniere, quindi, ma anche da imprenditrice. Attraverso un decennio di gare ad altissimo livello, fino all’addio maturato dopo il bis di Sydney, fortemente inseguito e voluto come punto d’arrivo di una porzione importante della sua vita di atleta e di donna. Seguendo un progetto che puntava all’apertura di scuole di Mtb e alle massacranti “gran fondo”. Fino ai due negozi di attrezzature ciclistiche aperti a Bardolino e a Peschiera, non lontano da Garda dove vive con il suo compagno.

              Prima le maglie tricolori del biennio 1992-93. Poi, nel 1993, il primo titolo mondiale, affermazione ripetuta quattro anni dopo. Proprio nel 1997, l’anno più prolifico con la seconda maglia iridata e la Coppa del Mondo conquistata a mani basse, otto vittorie sulle dieci gare che facevano classifica. Ma la caparbia ragazza veronese la storia la scriverà principalmente sui percorsi olimpici. Ad Atlanta, quando la sua avventura parve compromessa da una caduta capitatole alla partenza: quindi la rimonta con le ginocchia sanguinanti e la fuga avviata su una spericolata discesa, venti chilometri in solitudine e un arrivo trionfale con 1’07” sulla seconda. Quattro anni più tardi, a Sydney, quando portò l’attacco decisivo al penultimo dei cinque giri, recuperando terreno sulla battistrada Margarita Fullana, con la quale lottò gomito a gomito, quasi con ferocia, fino a scontrarsi in un stretto tratto di discesa. Con la spagnola finita per le terre e lei, miracolosamente in sella, ad involarsi verso il traguardo. Una vittoria che le valse il collare da Commendatore rilasciatole, il 3 ottobre del 2000, dal Presidente Campi. 

              Normale allora il desiderio di fermarsi, dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere, per una sorta di nausea da successo e, perché no, da popolarità. Trent’otto affermazioni in carriera, dalla Coppa Italia del maggio 1992 alla Sunshine Cup dell’aprile 2004. “Volevo decisamente smettere, perché non trovavo più stimoli. E poi volevo un figlio”. Così, a fine 2002, arriva il primogenito Kevin, un evento che la maturerà e la renderà – sarà lei stessa a notarlo – “fisicamente più forte”. Una lunga sosta fino alla primavera del 2004, quando la nostalgia della polvere e il fascino dei sentieri scoscesi prenderà il sopravvento. Nasce così l’idea di ripresentarsi al via nella gara olimpica di Atene. “Non voglio andare per fare presenza, ma per salire sul podio. Voglio diventare la prima donna capace di vincere tre ori in una prova di grande fatica”. Non sarà così. Un sogno, l’ultima occasione della vita, che si spegnerà col ritiro nel secondo giro. Quindi l’uscita dal grande palcoscenico, coincidente con la nascita del secondogenito Patrick.

              Resta il tuffo nel lavoro di imprenditrice e di promoter, oltre che di madre. Ci sarà il tempo anche per una appendice strana, una storia dai contorni un po’ misteriosi. Quando, nella primavera del 2009, un pescatore ritroverà nelle acque del Garda, impigliate nelle reti, le due biciclette che le erano state rubate nell’inverno 2001. La “Gary Fisher” con cui aveva vinto a Sydney e l’altra, con una particolarità unica: costruita in alluminio leggerissimo, ricoperta di una vernice a base di polvere d’oro che nemmeno gli anni passati sott’acqua aveva intaccato. Proprio come accaduto alla sua storia.

(revisione: 19 Febbraio 2012)

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