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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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Arcari

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Bruno Arcari [1942]
Pugilato


              (gfc) Nessuno altro pugile italiano ha detenuto per più tempo un titolo iridato, 1695 giorni quello dei superleggeri. Un record impressionante il suo, con 70 vittorie su 73 combattimenti. Le uniche due sconfitte all’inizio della carriera, una proprio all’esordio contro uno sconosciuto, l’altra contro Massimo Consolati nella sua prima sfida per il tricolore. Per il resto Arcari ha sempre vinto, con una autorevolezza e una “cattiveria” che ne hanno fatto un nome di prima grandezza tra le stelle del pugilato mondiale.

              Arcari ha avuto il solo torto, se così si può dire, di non aver cercato di diventare personaggio, di non aver capito l’importanza di farsi apprezzare anche fuori del ring. Per questo la folla non lo ha amato come avrebbe meritato. Un carattere chiuso, a volte scostante, dove i difetti dell’uomo hanno quasi sempre prevalso sui pregi del campione. La differenza tra lui e gli altri grandi pugili italiani stava nella sua incapacità di intrattenere con il pubblico un rapporto d’affetto. Questo grande guerriero del ring è stato in effetti un timido, un riservato, capace di scoraggiava i contatti fino al punto di rifuggire le interviste. Non per scorbuteria, ma per una inconsapevole forma di riservatezza.

              Ma tra le corde del ring è stato tra i più grandi. Il suono del gong operava su di lui come una magica trasformazione facendone un superuomo, un demolitore: resistergli fra le corde era pressoché impossibile. Possedeva due grandi qualità: una totale concentrazione sul combattimento, una potenza fisica che non concedeva mai pause all’avversario. Chiunque fosse e qualunque resistenza potesse opporgli. Per questo a volte appariva cinico, quasi brutale, con nessuna comprensione per un pugile al limite della resistenza, con nessuna pietà per chi appariva distrutto. L’importanza era vincere e vincere più presto possibile. Sempre all’attacco, era questo l’unico modo di combattere che conosceva.

              È diventato campione d’Italia dei superleggeri a 24 anni togliendo il titolo a Consolati e difendendolo per tre volte in un anno prima di abbandonarlo volontariamente. Il 7 maggio 1968 si è recato a Vienna per strappare la corona europea all’idolo di casa Johann Orsolics. Un incontro che è rimasto come uno dei suoi capolavori più riusciti. In un ambiente decisamente ostile Arcari ha rovesciato il pronostico contrario, demolendo prima del limite la resistenza del pugile austriaco, ridotto allo stremo delle forze e delle capacità d’intendere. Le difese della corona continentale restano come esempi della sua potenza demolitrice che non concedeva mai pause agli avversari. Tutti incontri conclusi vittoriosamente per k.o., nessuno rimasto in piedi, al sesto round sono crollati Des Rea e Juan Albornoz, al settimo Willy Quator, al quinto José Luis Torcida. Alla fine del 1969 ha abbandonato volontariamente anche questo titolo.

              La scalata al titolo mondiale l’ha tentata a Roma il 1 febbraio 1970, avversario il durissimo Pedro Adigue. Un combattimento diverso dal solito, con un colpo iniziale che lo ha obbligato per la prima ed unica volta a soffrire e a recuperare. Ma riuscendo a riprendersi e vincere chiaramente ai punti. Per nove volte in quattro anni ha difeso il titolo WBC, quasi sempre per k.o., contro l’aristocrazia della categoria, René Roque, Raymundo Dias, Joao Henrique, Enrique Jana, Domingo Barrera Corpas, Everaldo Costa Azevedo, Joergen Hansen, Antonio Ortiz. Dopo quell’ultima vittoria per squalifica, il 16 febbraio 1974, ha abbandonato definitivamente il titolo e il pugilato.

              Da grande campione, spenti i riflettori del ring Arcari è tornato al silenzio della sua solitudine e alla semplicità della sua esistenza. Lontano dalla folla che lo ha rispettato, ma non lo ha sempre amato. Anche se rimane il pugile che “non si poteva battere”.

(revisione: 19 Febbraio 2012)

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