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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Guglielmetti

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Savino Guglielmetti [1911-2006]

Ginnastica



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(gfc)
Sognava di diventare primatista italiano di salto con l’asta: dovette contentarsi di vincere due medaglie d’oro olimpiche nella ginnastica. Quando arrivò in “Pro Patria”, correva l’anno 1927, avrebbe voluto allenarsi con Dino Nai che da poco aveva fondato la sezione atletica; finì invece alla corte del grande Mario Corrias che plasmava con sapienza, e tanta umanità, la fiorente sezione di ginnastica. Il giovane Guglielmetti, nato in una casa a ringhiera dalle parti di Porta Ticinese, aveva iniziato all’oratorio per passare poi alla “Sempione” di via Moscati: lì le sue doti acrobatiche erano state notate dall’occhio esperto di Egidio Armelloni, il quale faticò non poco a farsi seguire nel più blasonato club cittadino.

La storia sportiva di Savino Guglielmetti si presenta con questo prologo. Il resto lo fece un breve fervorino di Corrias: “Per partecipare alle Olimpiadi devi saltare più di 4 metri, che è cosa piuttosto difficile; se invece mi dai retta ti porto alle Olimpiadi nella ginnastica”. Niente di più. Il giovanotto, pur con qualche titubanza, gli dette ascolto, anche se per un po’, e senza troppa pubblicità, continuò a praticare entrambe le specialità in quakche modo simili, l’asta e il volteggio.

Poi tutto si incanalò sui pratici binari della logica. Come andò lo ha raccontato lui stesso: “Il salto con l’asta mi sviluppava la velocità, l’agilità, la destrezza. Tutte cose utili anche nella ginnastica. Ma il passaggio definitivo nel gruppo Corrias avvenne nel ’28. S’erano disputate le Olimpiadi e Corrias, che faceva parte della commissione internazionale, mi mostrò gli esercizi che avrebbero fatto parte del programma dei Giochi di Los Angeles. Io li assimilai con grande rapidità: così, mi venne voglia di tentare l’avventura”.

Il giovanotto aveva indubbiamente grandi doti di elasticità e un coordinamento stupefacente. Lo aveva scoperto a sue spese a poco più di dieci anni quando, durante un gioco azzardato in cima ad una impalcatura, aveva perso l’equilibrio precipitando dall’ultimo piano del suo palazzo. Per sua fortuna, all’altezza del secondo era riuscito ad afferrare un fascio di cavi del telefono che correvano distanziati dal muro e, avanzando alternando le mani, a raggiungere un balcone ponendosi in salvo. Un episodio che più in avanti con gli anni lo convinse di essere un predestinato e di possedere le dovute caratteristiche per poter esplodere nello sport. Bella faccia aperta, sempre pronto a un sorriso accattivante, simpatia e voglia di vivere. Queste le doti che lo avrebbero accompagnato fino ad età molto avanzata, quando amava ancora stupire gli amici con qualche impeccabile volteggio al cavallo.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla fine degli anni Venti. Ormai Savino ha fatto la scelta definitiva e si allena con continuità nella palestra di viale Romagna. Sia pur con i ritmi blandi del tempo: non più di tre volte a settimana, dalle 20,30 alle 22,30 e la domenica mattina dalle 9 alle 12. Corrias ha puntato forte su quel ragazzo che ama esprimersi quasi esclusivamente in meneghino e che lo segue passo passo. In vista di Los Angeles il tecnico modificò quei tempi, dandogli appuntamento ogni giorno alle cinque del mattino: “Voleva abituare il mio organismo ad un diverso ritmo biologico: quello che avrei trovato in America per la differenza dei fusi”. A risolvere poi i suoi problemi più impellenti aveva provveduto la società – e, per essa, il presidente Attilio Vaccarossi – facendolo assumere dall’azienda tranviaria, un tranquillo lavoro d’ufficio che gli offre tutta la tranquillità necessaria. 

Intanto a Firenze, nel 1931, viene sconfitto per il titolo italiano dal genovese Mario Lertora, ma convince tutti che la scommessa azzardata da Corrias era di quelle giuste. E con quel viatico potè partire in nave per la lontana America e, in treno, per l’ancora più lontana California. Ed eccolo, finalmente, a Los Angeles. Come andò sul prato del Coliseum? Ancora a lui la parola: “Le gare si svolsero all’aperto, come era d’uso. Un trionfo, per noi: Neri e io medaglia d’oro. Neri nel concorso individuale e alle parallele, io nel volteggio al cavallo; più la medaglia d’oro a squadre. Quella vittoria mi offrì altre possibilità: mi avevano richiesto come controfigura alla Paramount, per le scene difficili e pericolose: mi sarebbe piaciuto accettare … Ma non potei. Ero militare e non me lo avrebbero permesso”.

Nel 1934 va agli Europei di Budapest, ma si perde in fondo alla classifica. A guidare la Nazionale non c’è più Corrias che la federazione ha messo da parte, sostituendolo in vista di Berlino con il genovese Arturo Brombale, un allenatore discreto e attento, ma con minori capacità di intuito. Scelte politiche più che tecniche, si disse, ma che finirono con il pagare gli atleti. Nel 1935 Guglielmetti vince per la prima volta il titolo italiano, un successo che ripeterà per gli anni dal 1937 al ’40.

Poi la guerra. Sarà ancora in campo ai Giochi del 1948, com’era stato a quelli del 1948, ma in entrambe le occasioni non andrà oltre il quinto posto nella competizione a squadre. I tempi erano cambiati: era iniziato il lungo periodo di declino della ginnastica italiana che tornerà sotto i riflettori, finalmente, solo ai Giochi di Roma, con il giovane Menichelli e i fratelli Carminucci.

(revisione: 29 Aprile 2014)
 

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