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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Atletica / Quale utilita' nel cronometraggio al millesimo?

Sabato 4 Febbraio 2012

Lo strapotere e la popolarità di Usain Bolt nelle ultime stagioni (all’inizio del 2012 i suoi ammiratori su Facebook hanno superato l’incredibile quota di 5 milioni e 720.mila!) hanno finito per accantonare una questione che, secondo alcuni, meriterebbe maggiore attenzione da parte della IAAF: l’estensione del cronometraggio al millesimo di secondo sulle distanze dello sprint, almeno limitata ai 100 metri. Un tipo di rilevamento presente già in altre discipline. Per l’atletica una decisione in tal senso è stata sempre rimandata, ma sarebbe necessario affrontarla, almeno per le competizioni di alto livello (anche se in alcune regioni del globo il cronometraggio automatico permane ancora un miraggio). Tornando a Bolt, almeno sul piano statistico la sua superiorità apparrebbe meno marcata di quanto si creda. Considerando infatti la media dei 10 migliori "tempi" ottenuti in condizioni regolari, il giamaicano risulta saldamente in testa con 9”753, ma non troppo distante dal connazionale Asafa Powell che lo segue ad appena 21/1000. Considerando poi i soli velocisti in attività, troviamo nell’ordine Tyson Gay (9”781), Nesta Carter (9”898) e la new-entry Yohan Blake (9”912). Numeri che da soli, ove non fossero sufficienti più articolate valutazioni tecniche, concorrono a presentare la finale olimpica dei 100 metri del prossimo 5 agosto come una sfida epocale.


La questione del cronometraggio elettrico, almeno per la distanza breve, appare un falso problema, dal momento che, già da tempo, il rilevamento elettrico viene “apprezzato” al millesimo di secondo. Ma – a stare alle regole attuali – i responsi finali vengono comunicati con arrotondamento al centesimo di secondo. In passato, la vicenda tornò di attualità in occasione della finale mondiale di St-Denis del 2003, quando i primi sei della gara vinta da Kim Collins risultarono compressi nello spazio di soli 63/1000! Ma ancora di più nel biennio 2005/06 quando Powell e Justin Gatlin si rincorsero a livello di record mondiale sul piede di 9”77, un “tempo” che venne siglato quattro volte in 14 mesi come si rileva da questa tabella che riporta anche i tempi ufficiosi al millesimo:

9”77/1,6 (9”767), tempo reaz.: 0”150 – Powell (Atene, 14 Giugno 2005)
9”77/1,7 (9”766), tempo reaz.: 0”169 – Gatlin (Doha, 12 Maggio 2006)
9”77/1,5 (9”763), tempo reaz.: 0”145 – Powell (Gateshead, 11 Giugno 2006)
9”77/1,0 (9”762), tempo reaz.: 0”148 – Powell (Zurigo, 18 Agosto 2006)

Una cronologia che, curiosamente, finiva per dare ragione a Powell anche in chiave millesimale. Tanto più che Gatlin incappò in palese peccato di violazione delle norme anti-doping (positivo al testosterone durante le Kansas Relays dell’aprile 2006, come dire qualche settimana prima della volata di Doha). Da ricordare che in un primo momento il risultato di Gatlin era stato comunicato come 9”76 e tale era rimasto per cinque giorni, fino ad una revisione del fotofinish e alla successiva rettifica. La IAAF, dopo aver inizialmente congelato il “tempo” di Gatlin, lo annullò definitivamente comminando una squalifica di 4 anni che chiuse la carriera del velocista di Brooklyn. In ogni caso, il 9 settembre 2007, Powell pose fine alla diatriba correndo una batteria del meeting di Rieti in 9”74 con vento +1,7 (in finale, con vento nullo, non fece meglio di 9”78). L’irruzione di Bolt, di lì a poco, avrebbe azzerato ogni elucubrazione.

Questo per la storia. Si può chiudere ricordando che sui “tempi” dello sprint breve, ancor prima del cronometraggio, vanno ad incidere altri fattori, senza voler ricordare le mutate e controverse regole sulla partenza falsa: innanzi tutto la velocità del vento a favore (un parametro introdotto dopo i Giochi del 1936: analisi recenti affermano che un vento di +1,0 sarebbe in grado di regalare un vantaggio di 5-6 decimi) e, soprattutto, l’altitudine delle piste rispetto al livello al mare. Una questione, quest’ultima, sulla quale la IAAF (peraltro molto sensibile su altre vicende: si pensi agli emendamenti sul record femminile della Maratona) continua a mantenere un atteggiamento pilatesco. Vento e altitudine hanno così suggerito ad alcuni studiosi di riscrivere i “tempi” con l’adozione di fattori di correzione secondo i quali, a mo’ d’esempio, il 9”74 di Powell a Rieti (località posta ad un’altitudine appena superiore ai 400 metri) si tradurrebbe in un meno eccitante 9”83.

Ma non si può infine escludere che almeno uno dei due parametri – in specie il rilevamento del vento – può a volte risultare errato, se non proprio palesemente falsato. Questo è il caso del 10”49 ottenuto con vento nullo da Florence Griffith Joyner ai trials di Indianapolis, il 16 luglio 1988, un record mondiale straordinario, se vero, probabilmente destinato a durare all’infinito (un po' come quelli siglati dalle tedesche-est). Su quel “tempo” gravano ancora forti perplessità. Secondo il responso di un anemometro posizionato a 91° rispetto alla direzione di corsa, infatti, il vento aveva una forza pari a +2,80. Ma un altro congegno, parallelo alla pista (la sola posizione riconosciuta dalla IAAF), indicava un più rassicurante 0,0 m/sec. Si può solo ricordare che il secondo miglior risultato in carriera della Griffith resta il 10”61/1,2 ottenuto proprio quel giorno in finale. Tutte considerazioni che concorrono a fare dell’introduzione del cronometraggio al millesimo un fattore secondario nella storia dello sprint, utile semmai nelle gare indoor.

 

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