I sentieri di Cimbricus / Noah Lyles, duecentista naturale, ...
Lunedì 5 Agosto 2024
… è riuscito a portare sulla distanza breve i picchi di velocità che possono essere raggiunti solo intorno ai 120 metri se la curva è stata solcata con le modalità giuste, con l’assetto necessario. Mentre Thompson è “solo” un centometrista.
Giorgio Cimbrico
Le ricostruzioni della finale che, per media dei tempi, deve essere archiviata come la più veloce della storia (otto in dodici centesimi e Oblique Seville ultimo in 9”91, media 9”839) vedono Lyles in coda dalla partenza ai 50 metri, settimo ai 60, per iniziare la progressione che lo porta a un picco di 43,6 orari attorno agli 80.
Kishane Thompson se lo ritrova addosso, cede per cinque millesimi –, 9”784 a 9”789 –, che equivalgono a cinque centimetri. Chi ha detto che il nuovo giamaicano non tiene i turni, ha detto una corbelleria: 9”80 in semifinale, 9”79 in finale. La differenza risiede in una banale constatazione: Thompson è un centometrista puro, uno sprinter a due gambe motrici. Lyles è un’altra cosa, è il capolavoro della forza elastica, è la tecnica di corsa portata alla conseguenze finali, sino a sfociare in un gesto molto simile all’arte. Bravo lui, bravo Lance Bauman che lo allena.
Non è facile produrre il meglio nell’occasione più difficile: Noah ci è riuscito ed è diventato campione olimpico con quello che nel gergo dell’atletica viene etichettato come “il tempo maledetto”, 9”79. Quel che costò la dannazione di Ben Johnson è diventato l’esaltazione del 27.enne di Gainesville, seguito a Parigi da Snoop Dog. La fama della “maledizione” può reggere per Thompson: non deve essere facile digerire una sconfitta sotto i 9”80. Per chi ama le omonimie, un altro Thompson, Richard, di Trinidad e Tobago, finì secondo in una finale olimpica dei 100, ma il distacco in quel caso risultò di venti centesimi: 9”69 a 9”89 per Usain Bolt.
Lyles ha riportato negli USA un titolo che mancava da vent’anni: ultimo, Justin Gatlin ad Atene 2004, prima della “Golden Age” di Bolt e della vittoria di Marcell Jacobs. Quei cinque millimetri aprono una strada molto vasta: Noah vincerà i 200 e le superscarpe marchiate Adidas (che gli ha assicurato un contratto annuo da 10 milioni di dollari) e la scorrevolezza della pista made in Gallo d’Alba possono portarlo nella sfera del sub 19”30: il 19”19 del Lampo di Giamaica continua a essere uno dei suoi obiettivi, delle sue ambizioni. A seguire, la 4x100.
A quel punto, se la missione sarà stata portata a compimento, come negargli un posto nella 4x400 e la chance di un poker olimpico di nuovo formato? Quando vengono portati in ballo certi argomenti, gli americani vanno con i piedi di piombo o, pensando ai criteri di selezione, possono apparire anacronistici, ma concedere a un neofita del giro di pista, con un record personale fissato a 47”, la chance di raggiungere Jesse Owens e Carl Lewis può smuovere anche i più duri tra gli integralisti.
Avviato ai 30 anni, Marcell Jacobs ha corso la sua seconda finale olimpica finendo a quattro centesimi dal podio, a sei dall’oro. Aveva detto che era necessario correre in 9”85, il tempo che ha ottenuto. Era in testa ai 30 metri, è mancato dai 50 a 70, ha finito forte, per tratti ha riproposto quella rapidità di tocco che aveva offerto a Tokyo. Uscire a testa alta: è proprio quel che ha fatto. A Los Angeles, quando sarà prossimo ai 34 anni, sarà arduo ritrovare un posto tra gli otto più veloci. Godiamoci il presente.
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