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Duribanchi / Una inimicizia impossibile da sanare

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Mercoledì 22 Marzo 2023


rabiot 

 “Tra polemiche e rigori rivendicati, tra insulti e risse sul campo, più la vicenda del 2006 con uno degli scudetti revocati alla Juve e assegnato all’Inter, hanno sancito un inguadabile Gran Canyon tra i due club”.


Andrea Bosco

Juventus e Inter sono due rette parallele. Vicine ma impossibilitate a toccarsi. Si detestano dal 1960 per una vicenda relativa ad una gara (giocata, sospesa per pacifica invasione, assegnata a tavolino all’Inter, poi revocata e replicata a campionato assegnato tra la Juventus di Sivori e Charles e i ragazzini dell’Inter dell’esordiente Sandro Mazzola, che Moratti Angelo, presidente e Helenio Herrera allenatore, mandarono per sfregio a Torino. Fini 9-1, Sivori che aveva il sangue caliente ne fece sei. Mazzola su rigore realizzò il gol della bandiera) che segnò l’inizio di una inimicizia impossibile da sanare.

Tra polemiche e rigori rivendicati, tra insulti e risse sul campo, la vicenda del 2006 con uno degli scudetti revocati alla Juve e assegnato all’Inter benché in quel torneo terza classificata, da Guido Rossi commissario straordinario dal passato interista, ha sancito un Gran Canyon del Colorado tra le due società. L’improvvida dichiarazione dell’ex presidente Andrea Agnelli un anno fa (“Voglio bene all’Inter”) invece di smorzare i toni ha finito per esasperarli. Si detestano perché sono antropologicamente diverse: nelle strutture societarie e in chi le guida.

La Juventus branca oggi di una Multinazionale e fino a ieri giocattolo della famiglia Agnelli è diventata la squadra più popolare d’Italia dagli anni Sessanta in poi. Quelli della grande migrazione interna dal Sud verso il Nord, Torino soprattutto. Raccontava Giovanni Arpino che i battilastra della Bertone tifavano Torino. Ma alla catena di montaggio della Fiat i campani, i pugliesi, i calabresi, i siciliani, i sardi, tifavano Juventus. Gianni Agnelli lo comprese a tal punto da investire sui talenti del Sud, magari nati a Torino: i Furino, i Causio, i Cuccureddu, i Longobucco, gli Anastasi, gli Schillaci, i Brio, i Conte.

La Juventus considerata un club borghese divenne in realtà la squadra del popolo a livello nazionale. Quanto il Torino lo era (e in parte ancora lo è) a livello regionale. Poi il Torino ha una allure unica nel mondo: è la squadra di Superga, è la squadra di Loik e Mazzola, è la squadra che stupiva il mondo composta da soli italiani, è la squadra che dopo la guerra diede al Paese la più romantica speranza di ricrescita.

La Juventus durante il Quinquennio era la squadra degli oriundi che brillavano anche in Nazionale. Era “fascista”, benché Agnelli che la fece diventare grande avesse un rapporto complicato con Mussolini. Che prima della guerra durante una visita agli stabilimenti del Lingotto, per marcare la distanza tra lui e il senatore si presentò a bordo di un magnifico cabriolet Alfa Romeo.

“Fascista” era anche l’Inter: il suo giocatore simbolo Giuseppe Meazza era soprannominato “il Balilla”. Di destra erano i dirigenti. Fino all’avvento di Angelo Moratti e al binomio Mattei-Moratti che si fondava sul comune interesse per gli idrocarburi. Mattei faceva parte della corrente democristiana di sinistra. Quella che secondo Indro Montanelli “puzzava di petrolio”. La Juventus aveva (oggi non più) una informazione amica nella Stampa (anche se molti dei suoi redattori tifavano Toro) e in Tuttosport.

L’Inter ha sempre avuto il sostegno della Gazzetta dello Sport, in buona parte del Corriere della Sera ma soprattutto negli anni d’oro di Helenio Herrera del Giorno, il giornale fondato da Mattei con i soldi pubblici che annoverava firme eccellenti (da Gianni Brera a Piero Dardanello) del giornalismo italiano. Non è che Il Giorno tifasse (anche perché la maggior parte dei cronisti adorava Nereo Rocco gran sacerdote del difensivismo: una mezza balla considerato che il Paròn con il suo ultimo Milan dei “veci” schierò un attacco con Hamrin, Angelillo, Sormani, Rivera e Prati. E con il fine dicitore Romano Fogli che aveva lo stile di Beckenbauer, in mediana).

E’ che all’Inter un occhio di riguardo lo dedicava sempre. Anche perchè Il Giorno era nato come quotidiano concorrente del Corriere della Sera che all’epoca dedicava allo sport uno spazio contenuto rispetto all’innovativo quotidiano diretto da Italo Pietra che era subentrato a Gaetano Baldacci. Quando negli anni Settanta Giampiero Boniperti “soffiò” all’Inter Italo Allodi, l’uomo che aveva imparato da Gipo Viani e che avrebbe insegnato a Luciano Moggi, e mise sotto contratto Armando Picchi che aveva smesso con il calcio e si avviava ad una grande carriera da allenatore (interrotta da una malattia che lo avrebbe stroncato), Gianni Brera con efficace crasi, scrisse: “Allobonicchi, maledetti voi, so che mi porterete l’amarezza di un altro quinquennio”.

Non andò così, ma quella Juventus, poi presa in mano da Vyckpalek (zio di Zeman), si tolse tante soddisfazioni. L’Inter è borghese, da quartieri alti (a Milano il Milan è sempre stata considerata la squadra del popolo, persino quando la prese in mano Silvio Berlusconi portandola a conquistare ripetutamente il mondo). E’ la squadra dei salotti buoni della finanza meneghina (ergo italiana). La squadra del mondo dello spettacolo e dell’informazione. La squadra degli Amadeus e Bonolis, dei Mentana e dei Severgnini. E’ la squadra dei politici tifosi militanti. Il sindaco di Milano Beppe Sala è interista. Per dire: Almirante e Togliatti, agli antipodi politicamente, tifavano entrambi Juventus. Ma nessuno dei due, mai, si azzardò ad intervenire sulle vicende della società torinese.

Non così i politici di fede interista. Come in un libro (“Calcio verità”), introvabile e semisconosciuto, racconta Manilio Cipolla, ex medico dell’Inter a proposito di un paio di delicati episodi. L’Inter è solidale (con la presidenza di Massimo Moratti l’impegno è decisamente aumentato) e lo fa sapere. Con i suoi ex campioni e con millanta iniziative. Anche la Juventus è solidale ma la sua esposizione mediatica è contenuta: in stile sabaudo. L’Inter si sente storicamente danneggiata e vittima di macchinazioni. La maggior parte della quali sarebbero “firmate” Juventus. La quale a sua volta per bocca dei suoi tifosi lamenta un atteggiamento troppo remissivo da parte della società per le tante polemiche delle quali è fatto oggetto.

La Juventus ha vinto il doppio degli scudetti dell’Inter e di qualsiasi altra società italiana. Al punto tale da confermare (anche oggi) una irridente battuta di Gianni Agnelli: “Sono curioso di vedere se arriveremo prima noi a trenta o loro a venti”. Legenda: la Juventus viaggia verso i quaranta, nonostante i due scudetti del 2005 e 2006 cancellati per i fatti di Calciopoli. L’Inter è detestata dai cugini del Milan e ovviamente dagli juventini. Anzi no: ci sono anche i tifosi della Pro Vercelli. Ma quella è una storia incredibile. La storia di come l’Inter vinse il suo primo scudetto. Degli “inimici” della Juventus (dalla Roma al Napoli, dalla Fiorentina all’Atalanta, dal Verona alla Lazio, dal Bologna all’Udinese) si perde (a consultare gli archivi), il conto. Facciamo tutte. Se vinci per nove volte di fila diventa inevitabile.

E come spiegava un potente ad una cena romana: “Fai male al sistema”. Per tutto questo (e molto altro) Juventus e Inter si detestano. Le polemiche a fine gara sono fisiologiche. E i media fanno la loro parte. Un quotidiano dopo la recente gara del Meazza ha riempito due pagine sui “tentacoli” di Rabiot: Polpo e Arsenio Lupin e seconda dei paragrafi. Fa niente se quasi tutti gli ex arbitri-moviolisti da divano (Paolo Casarin, cassazione assoluta del lunedì) abbiano spiegato che non ci sono immagini bastanti per verificare se quel tocco non intenzionale abbia o meno fatto cambiare la traiettoria al pallone. Per “lorsignori” il fallo è un “mani” e andava punito. Ha ragione quindi Inzaghi? No: neppure le più accanite tricoteuses lo scrivono. Ma serve ad alimentare la gazzarra per almeno una settimana. Presto ci sarà un’altra Juventus-Inter valevole per la Coppa Italia. Insomma: casino assicurato. Come da copione. Scommettiamo?



 

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