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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / L'atletica e la guerra dei nostri giorni

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Venerdì 5 Agosto 2022

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I nomi frettolosamente citati in tv o sulla carta stampata in queste cronache di guerra – ormai scomode in una campagna elettorale che mangia tutti gli spazi – riempiono cuori e menti di noi, indomabili suiveurs, di languori e di ricordi. 


Giorgio Cimbrico 

E così, quando sentiamo citare Zaporizja e la sua centrale atomica, la ritroviamo quando si chiamava Zaporozje, era una delle capitali dei Cosacchi d’Occidente, la città dove vide trovò la sua breve e violenta luce Volodja Yashchenko (nella foto), ultimo e perfetto esecutore dello stile che venne affondato da Dick Fosbury. Volodja era bello, era simpatico, sapeva anche essere strafottente: una volta, ai Millrose Games, subì l’eccitato assalto di Franklin Jacobs che ebbe il suo momento di notorietà per via del differenziale tra statura esigua e altezza superata.

“Stasera ti batto, ti batto. Ho i muscoli duri come l’acciaio”. “Non mi batti, sei piccolo”, sorrise Volodja, che trovò il suo diavolo nella bottiglia. Se ne andava solo quando era vuota e tornava, visitatore che non concedeva tregua. 

E poi sentiamo citare Lugansk, che una volta, in onore di un fedele maresciallo che si salvò dalla purghe staliniane, si chiamava Voroshilovgrad, il luogo natale di Sergei Bubka, che tanti pensano sia di Donetsk dove arrivò adolescente con il fratello Vasili. Una volta Igor Ter Ovanesian, generoso nel concedere fatti memorabili, raccontò che, prima dei Mondiali di Helsinki, ancora indeciso sul da farsi, organizzò una selezione per alto e asta allo stadio Kirov di Leningrado e che il ragazzo saltò una misura pazzesca. Quanto? Tanto, sorrise Igor. Tra la leggenda e la storia, come dice il direttore dello Shinbone Star, noi stampiamo sempre la leggenda. Quel giorno Igor diede fiducia, venendone ampiamente ripagato, anche a un lunghissimo ragazzo: era Gennady Avdeenko, nato nella città portuale, Odessa, che i russi tengono sotto tiro. 

Da Kherson, al centro di furiosi combattimenti, viene Andriy Protsenko, appartenente alla non estesa tribù di coloro che sono riuscii a valicare 2.40. Non è più giovane e quell’exploit solitario è ormai lontano otto anni. Quel che sta succedendo al suo paese, alla sua città lo hanno scosso riportandolo su un podio importante. E tutti gli hanno stretto la mano.  

Yaroslava Mahuchikh, dagli occhi color del fiordaliso, è fuggita da Dnipro, un tempo Dniepropetrovsk, quando le prime bombe, le prime salve d’artiglieria hanno investito la sua vita, la sua città. La sua vittoria ai Mondiali indoor di Belgrado è stata all’insegna della commozione, non solo la sua. 

La galiziana Leopoli o Lvov o Lenberg (i luoghi al centro della storia hanno molti nomi), attraversata dalle colonne di profughi che si dirigevano verso la Polonia, è la città di Valeri Borzov e Donetsk, capitale del conteso Donbass, è quella di Vitali Petrov, il tecnico che ha spedito e continua a spedire atleti verso l’alto. Un giorno Vitali raccontò di quel che il padre visse a Kharkov, quando ancora non si chiamava Kharkiv: la città perduta dai sovietici, riconquistata dopo la prima offensiva, ancora perduta in fondo a una delle più spaventose battaglie cittadine della storia (un’armata panzer delle SS contro le divisioni corazzate della guardia), finalmente liberata. Della vecchia Kharkov non era rimasto nulla. 

Tutto questo ha, perché deve avere, una colonna sonora. La Grande Porta di Kiev, di Modest Mussorgsky, tormentato il giusto per far parte di tutte queste storie. 

oOo

Un caro amico, Stefano Semeraro, mi ha inviato un vecchio librino che ha rinvenuto in una di quelle rivendute dell’usato che a Londra attraggono come calamite. E’ il manuale, costo 5 scellini, che Harold Abrahams aveva scritto e compilato per l’Olimpiade del 1948. Titolo, “Olympic Records”. Sono riportati i partecipanti e i risultati di tutte le finali dal 1896 al 1936 ed è previsto uno spazio in bianco per annotare quelli di Londra. A precedere la parte statistica, Abrahams tende una succinta storia delle edizioni precedenti. Giunto a Parigi 1924, loda Liddell e Nurmi e sulla finale dei 100 non scrive né un rigo né una parola. Modesto? Snob? 

 

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