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Fuoricampo / Il topolino che si fece tigre

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Giovedì 28 Luglio 2022

 

seghi-celina


Un commosso addio a Celina Seghi, scomparsa il 27 luglio a 102 anni. In epoca di dibattiti feroci su gender, transgender, livelli di testosterone e doping, fa quasi tenerezza il ricordo di Celina, campionessa di uno sci alpino d’altri tempi.

Gianluca Barca

Soprannominata “topolino”, Celina Seghi è stata quanto di più distante possa esistere dall’idea dello sport “turbo” e muscolare che accompagna i nostri giorni. Fisico minuto, carattere di ferro, bella come un’attrice, elegante e vivacissima signora, fece parte, insieme al fratello Gino, vent’anni più grande di lei, a Zeno Colò, Rolando Zanni, Vittorio Chierroni, Franco Sisi, Gualtiero Petrucci di quella fucina di campioni che fu l’Abetone e che Fosco Maraini raccontò in uno splendido documentario intitolato “il Nido delle Aquile”.

Coetanea e compagna di scuola di Colò era cresciuta sfidando sulle piste gli uomini che con orgoglio, ricordava, spesso faticavano a stare attaccati alle code dei suoi sci. Nel 1940, a Forca Canapine, sui Monti Sibillini, una gara in cui si narra batté realmente Zeno e tutti gli altri partecipanti di sesso maschile. “C’erano i lupi – scherzò l’olimpico di Oslo 1952 –, lei se l’è data a gambe, per quello è andata così veloce …”.

Nel 1934, a soli 14 anni, Celina conquistò il primo dei suoi 37 piazzamenti sul podio ai campionati italiani, terza nella “discesa obbligata” (allora non si poteva chiamare “slalom”) dietro la gardenese Paola Weisinger, dominatrice delle discese negli anni Trenta, e Clara Frida campionessa di Bolzano.

Della Seghi colpiva la leggerezza dei gesti entro cui canalizzava una determinazione e un coraggio feroci.

Nel 1949 a Sankt Anton si ruppe una spalla nella discesa libera del Kandahar, riuscì in qualche modo ad arrivare comunque al traguardo, si fece fasciare e prese parte allo slalom in cui si piazzò quarta, conquistando anche il sesto posto nella combinata. Le avversarie la premiarono con un’aquila di bronzo per l’orgoglio e la forza d’animo dimostrate in quella prova.

Al Kandahar, Celina era aggiudicata la combinata sia nel 1947 che nel 1948, in quest’ultima edizione, a Chamonix, vincendo addirittura sia lo slalom che la discesa libera.

Era uno sci d’altri tempi, un foulard per copricapo e sci di faggio, o di frassino, costruiti da artigiani del paese.

Il fascismo le regalò tre anni di istruzione, ammettendola all’Accademia femminile fascista di educazione fisica d’Orvieto, “l’università della donna sportiva”, come era chiamata all’epoca. Ma la guerra le negò un titolo che probabilmente meritava, quello di campionessa del mondo di slalom del 1941.

La manifestazione fu organizzata a Cortina e vi presero parte di fatto solo le potenze dell’Asse – la Germania Nazista assieme all’Italia Fascista e al Giappone – e i regimi collaborazionisti: il disegno era celebrare il “nuovo ordine sportivo mondiale”, legittimare con lo sport i successi militari e rassicurare nel contempo la popolazione. Dodici le nazioni partecipanti, due sole delle quali, l’Italia e la Germania, sono rappresentate nel medagliere: Alberto Marcellin fu secondo in discesa libera, Vittorio Chierroni medaglia d’argento in slalom.

I due azzurri salirono sul podio anche in combinata dietro l’austriaco Josef Jennewein che gareggiava per la Germania e che, due anni dopo, sarebbe stato dichiarato “disperso in azione”, a Orel nell’omonima oblast, a metà strada tra Mosca e Stalingrado. Non miglior sorte ebbe il vincitore dello slalom, Albert Pfaifer, pilota della Luftwaffe, abbattuto ad agosto del 1943 nel cielo dei Paesi Bassi. Un’edizione dei Mondiali, sotto tutti i profili sfortunata.

In slalom, Celina Seghi vinse rifilando ben tre seconda a Christl Cranz dominatrice assoluta delle gare dell’epoca. Terza fu un’altra tedesca, Annelsie Schuh-Proxauf.

La Cranz, nel 1936, aveva vinto la combinata ai Giochi di Garmisch Partenkirchen aggiudicandosi lo slalom con un vantaggio sulla seconda classificata di oltre 21 secondi, un record mai più superato. Quel risultato la rese un’icona dello sport nazista e della Gioventù hitleriana, motivo per il quale, finita la guerra, fu internata per collaborazionismo e mai più reintegrata nell’insegnamento (educazione fisica) nelle scuole pubbliche tedesche.

Nel 1946, FIS, la Federazione internazionale dello sci, non riconobbe l’edizione dei Mondiali del 1941 e revocò tutti i titoli assegnati compreso quello della Seghi che, almeno dal punto di vista tecnico era più che meritato.

Nove anni più, tardi, nel 1950, ai Mondiali Aspen, quelli del doppio trionfo di Colò, Celina, ormai trentenne, conquistò la medaglia di bronzo in slalom, dietro due austriache, Dagmar Rom e Erika Mahringer. Gli americani, sempre amanti degli eccessi, la soprannominarono “The Aspen Tiger”. Il topolino aveva messo gli artigli, ma il fatto che il fratello Gino, suo allenatore, non avesse potuto seguirla nella trasferta per dissapori con la FISI, lasciò la campionessa delusa e amareggiata.

Celina Seghi ha sciato fino a 90 anni e ancora in occasione del suo centesimo compleanno, a marzo del 2020, dispensava sorrisi e buon umore. Le sia lieve la terra, anzi la neve.

 

 

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