I sentieri di Cimbricus / The Games must go on
LunedĂŹ 22 Febbraio 2021
Ho visto in tv âRichard Jewellâ, girato da Clint Eastwood quando i 90 anni non erano lontani: i vecchi fusti non tradiscono. Una storia esemplare.
Giorgio Cimbrico
âRichard Jewellâ è la storia della bomba al Centennial Park di Atlanta e soprattutto della vicenda che ronzò attorno allâabbondante e ingenuo Richard, lâaddetto alla sicurezza che diventa eroe prima di finir schiacciato dal potere inquisitorio (lâFBI deve trovare un capro e chi meglio di lui?) e dai media, scritti e parlati. Jewell trovò lo zainetto con la bomba, diede lâallarme, contribuĂŹ a far evacuare la gente prima e dopo lo scoppio dellâordigno che fece due morti e 111 feriti, ma venne ficcato nel tritacarne.
Cosa non si combina per conquistare la fama, era il pensiero distorto di chi indagava e di chi era disposto a tutto pur di pubblicare qualcosa di clamoroso. Tenete presente che da allora la situazione, con i social media imperanti, è nettamente peggiorata.
Il suo proscioglimento venne seguito, anni dopo, dalla scoperta e dalla cattura del colpevole, Eric Rudolph, un fanatico, come ce ne sono tanti negli USA, che voleva attaccare âil socialismo globale e gli abortistiâ. Gli diedero cinque ergastoli anche perchĂŠ quella del 27 luglio 1996 non fu la prima nĂŠ lâultima delle sue imprese. Fine del riassunto. Se vi capita, guardate il film: Sam Rockwell, lâavvocato, è bravo e non è una novitĂ , Kathy Bates, la mamma di Richard, è la solita garanzia. La sorpresa è il roseo e paffuto Jon Hamm.
Quasi un quarto di secolo fa ero a Atlanta e la sera prima del botto avevo avuto il mio daffare: ero andato in piscina per lâultima giornata del nuoto e mi ero fermato a chiacchierare con Emanuele Merisi, bronzo nei 200 dorso. Lui era contento, io un poâ meno: i due americani che gli finirono davanti non mi sembravano granchĂŠ. Brusca interruzione del colloquio: Radio Fante comunica che Paolo Dal Soglio è in testa. Esco dalla piscina, miracolosamente trovò un taxi, guidato da un etiope (potrei scrivere un saggio etnografico sui tassisti africani di Atlanta) che mi porta vicino allo Stadio Olimpico. Solo che câè un piccolo problema: è dallâaltra parte della strada che è lâautostrada che porta verso lâAlabama: sei corsie, spartitraffico e altre sei corsie. Come Ulisse riesco a approdare allâisola e mi domando ancora adesso come ho fatto a non finire nel mirino dei cecchini.
Le gare sono appena finite e mi ritrovo a dover risalire controcorrente il pubblico che sfolla. Trovo qualche difficoltĂ , dei guardiani mi fermano, riesco a convincerli a farmi passare, trovo una scaletta che porta nella pancia dello stadio e qui trovo Anna Riccardi che dopo aver osservato lo stato miserando in cui mi trovo, mi assesta la mazzata finale: âLi mortacci, ha fatto quartoâ. Dopo due turni Paolone era in testa con 20.65. Idem dopo tre. Idem anche dopo quattro giri di valzer. John Godina, che a mezza strada, rischiava di finir fuori, si era portato minaccioso a 20.64 ma il riccioluto di Schio rispondeva con 20.74. Negli Stati Uniti, un poâ piĂš a ovest (Los Angeles), dodici anni prima, Alessandro Andrei aveva conquistato il titolo davanti a Mike Carter, futuro titolare del SuperBowl con i San Francisco 49ers e parimenti futuro padre di Michelle, olimpionica di grandi forme.
Gli ultimi atti furono quelli di un dramma con un pessimo scioglimento: la palla di Godina scava un buco a 20.79, il lancio piĂš lungo della serata ed è lâunica novitĂ fornita dal quinto turno, prima che lo scenario subisca una violenta metamorfosi. Ultimo giro di roulette: Randy Barnes, sino a quel momento sesto, spara a 21.62 (allo stesso turno, a Seoul, Ulf Timmermann aveva sfilato allâamericano la medaglia dâoro: 22.47 a 22.39) e lâucraino Aleksandr Bagach, dal volto eternamene minaccioso, ottiene quel tanto, 20.75, sufficiente a far scendere dal podio Paolone che, allâultimo tentativo, risponde da invitto: un lancio attorno ai 21 metri, da medaglia dâargento, nullo di piede. Li mortacci, appunto.
A quel punto ero sudato fradicio, senza cena, ma per il giorno dopo avevo un poâ di materiale: una medaglia nel nuoto, che specie a quei tempi era qualcosa, è la storia da incubo di Paolone. Mi infilo sotto le coperte (aria condizionata a stecca, unico sollievo dopo aver nuotato per ore nellâumiditĂ della Georgia) e dopo quel che sembra un attimo â un paio dâore â squilla il telefono con uno di quei toni che non ammettono repliche, rinvii. âBomba, casino (con âcâ aspirata), svegliatiâ. Ă Sandro Fiesoli, della Nazione. Sono le 3. Mi alzo, raggiungo gli altri. Passa un poâ di tempo e arriva un bus dei trasporti olimpici: strano, di solito non si trovano. Andiamo verso Atlanta e il centro stampa. Lâalba non ha le dita rosate, come diceva Omero. Livida, grigia. Quel che chiamano la Downtown di Atlanta è piena di polizia, di Guardia Nazionale e di quei tipi con il vestito scuro e la cravatta sottile. Dallâalto del centro stampa vediamo il parco, che in realtà è una distesa di asfalto, recintato con quei nastri che si vedono nei film: Crime Scene, scena del crimine.
Non resta che rispolverare il vecchio repertorio: lâOlimpiade colpita, lâOlimpiade ferita. E, subito dopo, lâaltro grande classico: the Games must go on. Nel senso che i Giochi vanno avanti. Il mio Merisi e il mio Dal Soglio vengono stivati in quaranta righe ciascuno, Quattro giorni dopo il Buum, lo Swoosh di Michael Johnson, lâEspresso di Waco: 19â32. Altri tre giorni e mi rubano il computer. In sala stampa. Per fortuna è lâultimo giorno. Ho conservato la copia della denuncia, presentata al posto di polizia della contea di Decatur, Georgia, che non è rimasta on my mind.
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