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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Piste&Pedane / Diamo a Jacobs quel che e' di Jacobs

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Domenica 14 Febbraio 2021

 

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Non sempre “c’era una volta” è sinonimo di “era meglio”. Ma qualche considerazione su certe scelte della stampa sportiva concedetecela. Almeno in questo anomalo anno olimpico.

Daniele Perboni

Ascoltando Jimi Hendrix fare a pezzi l’inno americano con la sua inseparabile Fender Stratocaster, nell’aria gelida della campagna con il Burian che cristallizza barba e capelli, diamo libero sfogo a pensieri peccaminosi e impuri, fors’anche scellerati: il ritorno in quell’Eden dove lo spazio sugli organi di informazione dovevi sudartelo ogni mese, settimana, giorno, a suon di sgroppate, spallate, esplosioni da lasciar stupefatti e storditi redattori e lettori. Candide e ingenue considerazioni.

Forse, anzi, sicuramente superate, frutto dei ricordi di un vetusto e nostalgico (non sempre, eh, c’era una volta per forza è sinonimo di era meglio …) scrivano e osservatore di faccende etichettate come atletica. E mentre la nostra personale lista musicale scivola verso la malinconica Perfect Day dell’indimenticato Lou Reed, prende corpo l’idea di buttar giù qualche migliaio di caratteri sull’argomento foriero delle perverse riflessioni.

Il tutto prende il via da una eccellente prova fornita in quel di Liévin (9 Febbraio) da Marcel Jacobs. Batteria e successiva finale dei 60, vinta agevolmente, dove il desenzanese ha stampato due 6”54. Tempi ottimi, eccellenti, che vanno a migliorare il 6”55 ottenuto a Berlino quattro giorni prima (6”56 in batteria). Guardi la rassegna stampa e non trovi che una ottantina di parole scarse (400/500 battute, spazi compresi) a commento dell’evento. Una miseria, specialmente sulle pagine rosa del quotidiano milanese. Un tantino meglio se la cavano dalle parti di Roma con il Corriere dello Sport e in quel di Torino (Tuttosport).

E allora ricordi che due anni prima, sempre nella capitale teutonica, la RAI mandò un inviato per seguire un altro velocista azzurro. Già, ma quel talentuoso ragazzo, sfacciatamente, aveva osato scalzare Piero da Barletta dal trono di italiano più veloce di sempre e che sul finire del 2019 agguantò una finale mondiale per un pelo … Da allora (Giugno 2018) vive sugli allori di quell’impresa, non riuscendo mai più a migliorarla, ripeterla, avvicinarla. Per sgombrare il campo precisiamo, per l’ennesima volta con forza e convinzione, che non attribuiamo assolutamente responsabilità di sorta al ragazzo sardo. No. Se responsabilità, colpa (?), mancanza di “spazi” adeguati, deve esserci è da imputare alla stampa italica, “rea”, a nostro avviso, di innamorarsi perdutamente di taluni personaggi, dosandoli in qualsivoglia piatto fornito ai lettori, e trascurarne in toto, o quasi, tanti altri.

Per darci un po’ di energia e vincere il freddo intenso, ci viene in soccorso la forza travolgente di People Have The Power, eseguita dalla sacerdotessa maudite del rock:Patti Smith.

Passano tre giorni e l’iper tatuato Marcel si ripete, migliorandosi in quel di Łódź (Polonia). Dopo una partenza da dimenticare, finisce secondo, staccato di un solo centesimo, alle spalle del veterano statunitense Rodgers: 6”52 a 6”53. In poco più di una settimana un miglioramento personale di un decimo dal 6”63 del 2020 ed a soli due centesimi dal primato italiano di Michael Tumi vecchio ormai di otto anni. Sin qui miglior europeo e secondo al mondo, ma si può anche soprassedere. La stagione è appena agli inizi. Inutile fantasticare precocemente.

E sulla stampa? Identico trattamento dei giorni prima. Nulla cambia. Tutto immutato. Già, dimenticavamo: Marcel non è Filippo. Nelle sfide fra i due ha sempre visto la schiena dell’avversario. Soprattutto non ha infranto, colpevolmente, quell’invisibile barriera dei dieci netti, confine alieno per atleti europei, lasciapassare, per chi lo sopravanza, verso la sicura beatificazione. Almeno alle nostre latitudini.

Non sarebbe dunque il caso di dare a Jacobs quel che è di Jacobs? Ma attenzione, non siamo Gesù. Non è nostra intenzione finire sulla croce.

Il “viaggio” è finito e sull’onda de Il gorilla, una delle ballate più irriverenti eseguite da Faber (reinterpretazione di una censuratissima canzone di George Brassens), rientriamo, accendiamo l’infaticabile Mac e, finalmente, diamo concretezza ai pensieri perversi. In fretta però. Twickenham ci attende …

 

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