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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Questo silenzio, simile a una tenebra

Domenica 7 Febbraio 2021

 

stadio-senza spettatori


Lo sport senza pubblico, una dimensione inusitata, tanto da far nascere un’industria del camuffamento (pannelli e sagome) e dell’inganno sonoro (applausi e boati registrati).

Giorgio Cimbrico

Gli americani sono sempre più avanti: dicono di avere cani che possono sniffare i malati di Covid per via di certe molecole rilasciate dall’organismo Per questo i cani poliziotto, i cani per le valanghe, i cani antidroga e quelli abili nella ricerca delle sigarette di contrabbando (uno springer ha ricevuto un encomio da Scotland Yard) sono tutti finiti nella famiglia dei cani molecolari. A me l’etichetta fa un po’ ridere, più o meno come i diversamente pettinati, i calvi et similia.

La faccenda dei cani è venuta in superficie perché in queste ore a Tampa è in scena il SuperBowl, parzialmente aperto al pubblico, 22.000 spettatori, circa un terzo della capacità dello stadio dei Buccaneers. Un’odorata può esser utile, spegnere possibili focolai.

L’utilizzo di animali in tema di sicurezza nell’ambito di manifestazioni sportive non è una novità: ai Giochi del Commonwealth del 2010, a Delhi, la polizia della capitale indiana arruolò diverse scimmie – soprattutto macachi – per dar la caccia ai serpenti che frequentavano abitualmente il Villaggio degli atleti. Per le Olimpiadi potrebbero esser convocati quei cagnotti dalla pelle pendula, a pieghe, gli sharpei. Sono nipponici e quindi hanno il senso del dovere.

I padroni dello sport, che non sono più i dirigenti dello sport, vanno avanti come le armate cingolate di Guderian, con una sempre minore attenzione al mondo di prima. Non c’è più il pubblico. Pazienza, se ne può fare a meno. Esistono tanti strumenti (telefoni, streaming, ecc.) che rendono la “presenza umana” un dettaglio, un’anticaglia.

La nostalgia, propria degli anziani, diventa lancinante in questi giorni di avvicinamento al 6 Nazioni che da 130 anni, sotto altre etichette (Home Championship, 5 Nazioni) ha reso il pubblico meraviglioso protagonista per doti canore, per competenza, per passione, per consumo alcolico. .

Sono giusto cinquant’anni da quando il Galles vinse a Murrayfield, quando lo stadio di Edimburgo non era un unico anello ma presentava due terrapieni in erba su cui la gente si accalcava come gli uomini dei clan prima della battaglia di Bannockburn. Quel giorno in 104.000 ebbero la ventura di assistere a quella che, autore John Taylor, venne definita “la più famosa conversione della storia dopo quella di San Paolo”. Intraducibile il gioco di parole, come capita di leggere in certe noticine a pie’ di pagina? Non proprio. Conversion è la nostra “trasformazione”.

Il record ovale dei 104.000 di Edimburgo tenne sino al ’99 quando Australia-Nuova Zelanda richiamò al nuovo stadio di Sydney 106.000 fans che diventarono 109.000, pochi mesi dopo, per un altro faccia a faccia tra Wallabies e All Blacks. Il “limite” dello stadio sarebbe stato abbattuto il 25 settembre 2000: la sera della finale dei 400 sarebbero stati in 112.524 ad accompagnare con un boato l’apoteosi di Cathy Freeman e di un’Australia che provava a regolare i conti con il proprio non inappuntabile passato.

Valletti del potere, reggicoda del progresso a tutti i costi, sicofanti del connesso è bello e imprescindibile stanno raccontando che va bene anche così, a porte chiuse o in una dimensione di urla nel silenzio, dove i microfoni indiscreti segnalano spietati anche la più sconsolata delle bestemmie.

È nata un’industria del camuffamento (pannelli, sagome, ecc), dell’inganno sonoro (applausi e boati registrati) e tra il personale non più richiesto figurano le bande: le Guardie gallesi con caprone dalle corna d’argento, la Guardia della Regina in cappotti color tortora, i sorridenti gurkhas nepalesi, la Garde Republicaine, i Pipes and Drums scozzesi che riempiono l’aria del loro lamento, gli immensi cori, degni di un oratorio handeliano che pescano in un commosso passato e che nessuna maledetta apparecchiatura potrà sostituire.

Lo sport ha un fascio di colonne sonore, anche cacofoniche, e possiede rivoli di odori, spesso di cibi che provocano il terrore dei vegani e dei macrobiotici e costituiscono seri attentati al colesterolo, o di treni stipati, di toilette non troppo igienizzate, di scalpiccii, di respiri e fiati. Ora, questo silenzio, simile a una tenebra.    

 

 

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