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I sentieri di Cimbricus / In morte di Kyseliov, olimpionico per caso

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Domenica 10 Gennaio 2021


lenin 


Ai Giochi di Mosca il settore lanci fu monopolio dei sovietici, anche se non sono mai stati fugati i dubbi sugli aiuti diretti e indiretti che facilitarono quel successo.

Giorgio Cimbrico

All’Olimpiade di Mosca l’URSS fece piazza pulita nei quattro lanci. Di quei quattro possenti moschettieri è mancato qualche giorno fa Vladimir Kyseliev, ucrainizzato in Volodimir Kyseliov. Aveva 64 anni e non molto dopo la sua sorprendente vittoria venne colpito da una rovinosa e non desiderata dieta che gli strappò 25 chili. Si parlò, al tempo, degli effetti di un disinvolto uso di testosterone.



Kyseliev ottenne il meglio nell’occasione più importante, piegando chi era indicato come il naturale favorito: Udo Beyer, brandeburghese di Eisenhuttenstadt, era primatista mondiale (22.15 nel ’78 a Göteborg) e ai Giochi arrivò con un percorso netto di 34 vittorie consecutive. “Volodja” aprì con 21.10 e allungò a 21.35, di gran lunga record personale. Beyer non fece meglio di 21.06, depose la corona che aveva conquistato a Montreal con un centimetro di meno e lasciò la medaglia d’argento al gigantesco Aleksandr Barishnikov, inventore della tecnica rotatoria e primo a toccare, nel ’76, la linea dei 22 metri.

Nella biografia di Kyseliev c’è poco altro (terzo agi Europei indoor del ’79, quarto a quelli dell’82, settimo all’aperto, ad Atene, nello stesso anno; un record personale portato a 21.58 nell’84) prima che le tracce si perdano.

La stessa vicenda e lo stesso destino di Viktor Rashchupkin, nativo di una località siberiana, Kamensk Uraalski, non lontana dalla freddissima Sverdlovsk che mantenne a lungo il record di località più ghiacciata del globo. Senza il trio americano Wilkins-Powell-Plucknett per il boicottaggio USA, sembrava la volta buona per il bel Wolfgang Schmidt, un Robert Redford XXL, ma il DDR era limitato da un infortunio al piede. Tra sorpassi e controsorpassi la giornata stava sorridendo a Imrich Bugar, successore di Ludwig Danek ma al quarto lancio Viktor si spinse dove non si era mai spinto: 66.64. Da oltre quarant’anni viene riesumato il dubbio sull’ultimo tentativo di Luis Mariano Delis che i giudici sovietici avrebbero accorciato di un buon piede. Un piede equivale a trenta centimetri e il cubano finì terzo con 66.32.

Rashchupkin scomparve di scena, una dimensione magnificamente frequentata da Yury Sedykh che concesse il bis di Montreal con il record del mondo portato a 81.80, il secondo dei suoi cinque acuti. L’ultimo, 86.74 agli Europei ’86 di Stoccarda, non è ancora stato superato. Mosca rappresentò l’apoteosi della scuola sovietica del martello: sul podio, ai due lati di Sedykh, il piccolo e velocissimo Sergei Litvinov e l’estone Juri Tamm. Yuri vanta anche un altro record: è stato marito di due campionesse olimpiche, prima la bella sprinter Ludmila Kondratyeva e poi la lanciatrice di peso Natalya Lisovskaya, tuttora primatista mondiale.

Qualche ombra sul successo del lettone Dainis Kula: al terzo lancio, l’ultimo buono per qualificarsi alla finale, il giavellotto atterrò piatto – qualcuno sostiene di coda – ma venne misurato e quella singolare cifra, 88.88, gli diede via libera per incrementare sino a 91.20, ottenuto dopo che le porte del Lenin erano state opportunamente aperte per dar aria all’aliante. Al contrario dei tre colleghi, Kula non diede il massimo in quell’occasione: un mese prima si era spinto a 92.06. Avrebbe lasciato segni l’anno dopo in Coppa del Mondo a Roma vincendo con un lancio nei pressi dei 90 metri e salendo sul podio, terzo, nella prima edizione dei Mondiali.

 

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