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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / “Questione di uomini, dicono gli inglesi”

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Venerdì 18 Dicembre 2020

 

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Addio corale a chi ci ha riempito la vita: il primo ad andarsene è stato Sean Connery, poi è toccato a Jan Morris e a John Le Carrè, tutti malati di vecchiaia: 90, 94 e 89.

Giorgio Cimbrico

Di Sean qualcosa ho già scritto quando se n’è andato. Posso aggiungere che di recente l’ha ricordato Jackie Stewart, scozzese come lui e vecchio amico. “Sapete quale era il film che amava di più? ‘The Hill’ (in italiano La Collina del Disonore, bianco e nero di Sidney Lumet, annata 1965, un ‘carcerario’ senza sbarre: il dramma è ambientato in un campo di detenzione militare nel deserto) perché, mi diceva Sean, ho capito di saper recitare”.

È stato formidabile anche in altri: “Il vento e il leone” di John Milius; “L’uomo che volle farri re” di John Huston. E da attore non protagonista: “Indiana Jones e l’ultima crociata” di Steven Spielberg. Posso anche andare avanti ma chi appartiene al club dei fan può farlo da solo. Sean, lo dice di se stesso in “Casa Russia”, era come un vecchio letto sfatto con sopra una borsa della spesa. Altro che 007.

Ho un incolmabile debito di riconoscenza con Jan Morris, nata James: metà della sua lunga vita da uomo (cinque figli) e metà da donna. Mi ha rivelato che la storia è un gran fiume in cui confluiscono rivi, rigagnoli, affluenti per formare un corso che procede inglobando i grandi personaggi, le guerre, le calamità, i commerci, le arti, il pensiero, le mode, gli sport, per formare un unicum dai mille volti. E tutto questo è finito nella trilogia sulla storia dell’Impero Britannico narrata con uno spirito, con una verve, con una disinvoltura che avrebbero potuto proiettarla nel genere “pericoloso” dei divulgatori, per non dire volgarizzatori. E invece non è mai stato così.

Trovai “Pax Britannica” in una libreria a metà prezzo nei vicoli di Genova e comprai gli altri due volumi, il primo e il terzo, a Londra, nella libreria di Harrods: il commesso era in marsina e mi procurò una certa soggezione. Qualche amico e qualche altra mia visita al di là del Canale hanno rimpolpato la collezione: un bel libro su Trieste scritto quando James non era ancora Jan, tenente del 9° Dragoni nella città occupata dagli alleati e dai titini; uno sulla Serenissima; uno sul Galles e sulle sue radici (Jan era metà gallese, ha vissuto a lungo nel nord del Principato e lì è morta a fine novembre); un’antologia dei suoi reportage.

Il più famoso lo vide, non ancora trentenne, a seguire per il Times la spedizione che portò Edmund Hillary e Tenzing Norgayi, in cima all’Everest: lo scoop vide la luce nel giorno dell’incoronazione di Elisabetta. Era “sul campo” anche per la crisi di Suez, per il processo a Adold Eichmanne e più tardi per l’ultimo ammainabandiera, a Hong Kong. Il più fresco è un volumino molto legante sull’affondamento della corazzata Yamato, l’ultima guerriera di un Impero che stava per esser spazzato dalle bombe atomiche americane. La fine di un mondo.

Ian Fleming creò Bond, James Bond, corredato di Dom Perignon, di Martini, di caviale Beluga, di Aston Martin e di ragazze buone e cattive e comunque belle e bellissime. David Cornwell, sotto il nom de plume di John Le Carré, inventò George Smiley, basso, tozzo, con il vezzo di pulire gli occhiali servendosi della cravatta e con una moglie, Anne, propensa al tradimento, all’abbandono, al ritorno perché George, gelido e razionale nel suo lavoro, è sempre pronto a perdonare.

Fedele a chi ha detto che disgraziato è il paese che ha bisogno di eroi, Le Carré non ne ha mai creato uno. Smiley è un entomologo delle coscienze altrui (neppure l’iridescenza di un’ala può sfuggire nella ricerca del traditore, dei suoi moventi); Magnus, il protagonista del suo capolavoro (“La spia perfetta”) è un irrimediabile “doppio”; Leamas, che al cinema ebbe il volto pietroso di Richard Burton, ha vissuto troppe notti di attesa, troppe albe tragiche per sperare di uscire dal freddo.

Le Carré, il più grande autore di spy story, non ha mai scritto una spy story. Da antico attore nel “grande gioco” della guerra fredda, da testimone di un nuovo, intricato, spietato mondo che la fine di quel conflitto ha generato, ha allineato caratteri in cui il diamante sfaccettato della coscienza ha preso il sopravvento. Dove sta il bene? Dove sta il male? Quanto è sottile il confine tra tradimento e lealtà?

 

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