I sentieri di Cimbricus / Una chitarra per le nuove frontiere
MercoledĂŹ 9 Dicembre 2020
La musica attraversa ed ha attraversato la storia dello sport, una delle attivitĂ umane che va di pari passo con la storia del mondo, non di rado contribuendo al cambiamento.
Giorgio Cimbrico
Olivia Fox verrĂ ricordata: è stata la prima a cantare lâinno australiano, âAdvance Australia Fairâ, nella lingua della Eora Nation, la tribĂš che abitava attorno alla baia di Sydney. Ă capitato a Sydney, prima di Australia-Argentina, ultimo match del Tri Nations di rugby, unâaltra tappa nel processo di riconciliazione tra lâAustralia bianca e lâAustralia dei Nativi. Un momento storico e di portata globale ventâanni fa, quando Cathy Freeman, aborigena, conquistò il titolo olimpico dei 400 davanti al mondo e a un pubblico la cui entitĂ nessuno ha dimenticato: 112.524.
Nel 1994 Cathy, dopo la vittoria nei Giochi del Commonwealth, sventolo la bandiera aborigena â nera, rossa e con un gran sole giallo â e venne severamente redarguita. Ora quei colori e quei simboli ancestrali vengono orgogliosamente esposti: la nuova maglia degli australiani ne è ricca. Sei anni dopo, la piĂš grande atleta aborigena dopo Evonne Goolagong, era diventata lâimmagine dei Giochi e delle scuse porte a un popolo perseguitato, emarginato, sottoposto al ârattoâ dei bambini, affidati a famiglie o a istituzioni bianche. LâOlimpiade era lâoccasione â e la vetrina â migliore per dare una ripulita al passato. E venne ben sfruttata.
Quella del Parksouth di Parraamatta, sobborgo di Sydney, è stata una âprimaâ ma avrebbe potuto esser preceduta, tre settimane fa, dal âprotocolloâ della partita decisiva dello State of Origin, il tradizionale derby di rugby league tra Queensland e New South Wales, uno di quei momenti, con la Melbourne Cup di galoppo e la Gran Final di football australiano, in cui il paese si ferma, dalle cittĂ della costa ai deserti profondi, ma pressioni politiche bloccarono lâiniziativa. Reminiscenze del vecchio slogan âWhite Australiaâ? Basta dare unâocchiata ai volti e leggere i nomi di chi gioca, gareggia o va in pista per lâisolona per capire che le cose sono molto cambiate.
Cominciarono a cambiare quasi settantâanni fa: i piĂš vecchi ricorderanno â e i meno vecchi avranno letto âquel che avvenne nel â52 ai Giochi di Helsinki: al momento della premiazione di Marjorie Jackson (oro nei 100 e, quattro giorni dopo, anche nei 200) tutti attendevano il âGod Save the Queenâ (Elisabetta era regina da cinque mesi, vale a dire dalla scomparsa di suo padre) e invece giunsero le note del giovane e ancora ufficioso âAdvance Australia Fairâ.
La musica â e le parole che la accompagnano â attraversano e hanno attraversato la storia dello sport, una delle attivitĂ umane che va di pari passo con la storia del mondo. LâIrlanda del rugby ha due inni: âSoldiers Songâ, lâinno della Repubblica, e âIreland callâ perchĂŠ spesso capita che nella squadra giochino anche uomini delle sei contee dellâIrlanda del Nord, parte del Regno Unito.
Il passaggio dal marziale â e non troppo vagamente nazionalsocialista â âDie Stemâ a âNkosi Sikelele i Afriikaâ (in sei lingue, compreso lâafrikaans dei vecchi padroni boeri), ha segnato il passaggio, scandito da Nelson Mandela, dallâera dellâapartheid a quella dellâuguaglianza, almeno formale. E il riconoscimento dedicato a una civiltĂ preesistente a quella dellâarrivo dei bianchi si riflette nellâinno della Nuova Zelanda/âAoteraoaâ: la prima parte di âGod deend New Zealandâ è in amori, la seconda in inglese. Con la sua performance, accompagnata dalla suggestione di una chitarra acustica, Olivia Fox non ha fatto che imitare quel che è giĂ in uso da tempo, al di lĂ del mare di Tasman.
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