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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / Orologi da tempo fuori tempo

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Lunedì 30 Novembre 2020

basket-20


“Ci dispiace se vi eravate illusi, come il basket che aspetta la ripresa appena torneranno a casa i ragazzi che giustamente Sacchetti ha portato alla ribalta europea, forse stanco delle mummie che girano oggi.”

 

Oscar Eleni

In esilio volontario sotto il faro tricentenario di un’isola svedese. Troppe lacrime da asciugare, molti motivi per non sentirsi ben rappresentati in un Paese dove i politici, magari gli stessi che giuravano sulla nipote di Mubarak, spiano se uno di una scorta, magari senza ordini, va ad aiutare chi si sentiva molestato da iene qualsiasi. Mentre le salive schizzano sulle feste da celebrare anche con tanti morti intorno, ci fermiamo in silenzio davanti ad un palazzo pubblico milanese dove l’orologio in entrata segna le sette meno cinque da almeno due anni.

Fuori tempo come troppe cose e allora non aspettiamo neppure la partita dell’Italia cestistica nella farsa delle qualificazioni europee dove la Svizzera, onore a lei e ai suoi naturalizzati serbi, ha battuto proprio la Serbia che fa dormire sulle ortiche papa Petrucci perché potrebbe avere una squadra diversa quando ci saranno le qualificazioni olimpiche. Un mal di denti che dura dal 2005. Certo queste bolle FIBA per qualificazioni europee farsa, chi organizzerà i gironi può anche perderle tutte, ma sarà comunque in pista, mentre la Lituania, magari, dovrà soffrire anche se contro il Belgio i suoi veterani, Kuzminskas in testa, si sono divertiti. Noi li avremo i veterani in campo?

La NBA, voce di Scariolo guida della Spagna e vice a Toronto, non favorirà viaggi fuori dagli Stati Uniti. Pazienza diciamo noi, tenetevi Gallinari e Melli, qui siamo ancora tutti eccitati dal rientro in Italia di Marco Belinelli, nato in Virtus, cresciuto bene in Fortitudo lasciata con lettera d’amore e ora, rientrato in casa Vu Nera prendendosi le stesse pietre fortitudine che i fiorentini hanno riservato a casa Chiesa dopo la firma con la Juventus. Campanili di cosa e casa nostra. Bentornato ad un eccellente interprete del gioco anche se non ce la sentiamo di condividere la dichiarazione del patron virtussino Zanetti, non soltanto caffè e grande ciclismo nella mente del sior trevigiano, quella che considera il ragazzo di san Giovanni in Persiceto “il miglior italiano di tutti i tempi”.

Lui pensa che se hai vinto l’anello NBA, in Italia lo ha fatto soltanto il ragazzo che vinse lo scudetto con Repesa alla nascita del VAR cestistico, sei il migliore di tutti. Non siamo d’accordo, ma non litigheremo con uno che al basket guarda con ottimismo, bei progetti e ora vorrebbe davvero poter sfidare la Milano imbattuta senza paura. Se lo meritano in Virtus per la stagione mutilata chiusa al comando e senza premi. Hanno il diritto di sfidare l’altro colosso che continua a lasciarci perplessi quando affronta le trincee europee, anche se rivincere a Tel Aviv dopo 33 anni porta euforia, proprio come nei giorni in cui Peterson ebbe la geniale idea di far allenare, seppure in blue jeans, con McAdoo e la sua Olimpia, prima della sfida allo Yad Elihau che oggi ha un nome più roboante, il Richardson virtussino ai tempi di Messina, se la memoria aiuta, appena bandito dalla FIBA dopo che gli avevano fatto trovare in tasca roba presa in America. Cambio di ritmo per tutti e il giorno dopo il Maccabi se ne accorse.

Ci dispiace se vi eravate illusi che davanti ad orologi sempre fermi, come il basket che aspetta la ripresa appena torneranno a casa i ragazzi che giustamente Sacchetti ha portato alla ribalta europea, forse stanco delle mummie che girano oggi in Fortitudo nei giorni del lutto per la morte di Walter Bussolari, la voce sul campo, il canto della passione per il torneo ai Giardini Margherita, l’ultima isola di felicità per un basket che allunga le braghe e le scuse pur di non ammettere di avere governanti lenti e forse neppure bravi, di certo non coraggiosi. Effe che ieri ha dovuto anche salutare quel galantuomo di Andrea Vicino, l’uomo che aiutò Tesini a tenere la rotta e la società a salvare il magistero inventato in via San Felice con la Furla del signor Furlanetto, con Parisini e Lamberti come dei della montagna.

Lacrime senza fine. Certo. Per Maradona che nei giorni dal trasferimento dal Barcellona a Napoli ci fece vivere ore elettrizzanti, guidati dalla splendida follia di Antonio Corbo, seguendone le tracce insieme ad Armandino Aubry e al suo taxi delle meraviglie. Dopo quei giorni Maradona era incanto, mito, come al Messico, un po’ meno nell’albergo di Bologna dove lo inseguiva l’amico Pea, molto meno nel mondiale italiano dove, comunque aveva ragione lui a dirci che, come italiani fischianti l’inno, eravamo figli di puttana.

Giorni per andare sulla collina a ricordare chi ci ha lasciato, ma ad ogni ora, come la campana di San Vittore, il suono annuncia una condanna o, forse, una liberazione perché è dura sopportare tutto, vivere in questo modo mentre hanno mandato in vacca persino le elezioni statunitensi. Pensavamo che il loro sistema fosse l’ideale. Sbagliato. Come quando credevamo che i cattivi fossero gli indiani e che nelle guerre gli stupidi fossero sempre i loro avversari.

Dalla collina addio a Francesca Cipriani, azzurra, campionessa d’Italia, madre di Claudia argento olimpico, moglie di Aldo Giordani il Mosè del nostro basket che con lui attraversò il mar rosso dell’indifferenza televisiva, l’uomo dei pallini al curaro, delle pallonesse, quello del vero Superbasket, delle grandi storie cestistiche. Con lei passammo giornate felici ai mondiali di Manila vedendola sorridere quando con Franco Grigoletti cercavamo di convincerla che i pancit malabon erano meglio delle fettuccine. Non sapevamo ancora che un tiro da metà campo ci avrebbe tolto un bronzo che Primo meritava anche se eravamo ben lontani dalla Yugo di Nikolic con Tanjevic come assistente.

Dalla collina un saluto vero a Carlo Rinaldi, allenatore di qualità, ricordato con affetto da tutti quelli che hanno viaggiato con lui sui campi, da Pesaro, maledicendo il pugno di Pickens e le mattane di Joe Pace, al Gira, passando per lo splendore al Brill Cagliari, il lavoro per portare Siena in fase di decollo con la maglia Antonini e prima dell’età dell’oro. Per capire l’uomo, gli affetti che ha lasciato, basta dire che il più affranto è stato Cappellari compagno al corso allenatori di Porto San Giorgio, che pure non riusciva a capirlo quando volle il ricovero per una palla di carta lanciata dalle tribune del Palalido. Era arte, cultura, simpatia questo gentiluomo di Ancona che perdeva il suo stile soltanto quando vedeva oltre le donne con le gonne.

Lacrime con sorriso salutando il viaggio che ha deciso di fare Enzo Rossi, la volpe della Zagarolo, anche se il sindaco è andato a farlo nel reatino, uomo di campo e di strategia come ha detto bene Cimbrico, uno che fra i professori sapeva ascoltare e fra gli atleti capiva subito come diventare amico capace di stimolare anche il più spaventato, persino quelli pigri. Aveva imparato a superare ostacoli come nella sua modesta carriera di atleta, dal calcio aveva imparato che si può far diventare personaggio, dare importanza a tutto se ancora oggi vediamo idolatrare certi scarponi, certa gentaglia che si è buttata via senza avere l’umiltà di ammettere come Maradona nel film di Kusturica “io sono la mia colpa”.

Gli abbiamo voluto bene quando ci raccontava della sua vita come responsabile del Gruppo Sportivo Esercito, ma non di meno quando si litigava fino all’alba. Sapeva ascoltare, era ironico anche se alla fine, come tutti noi vecchi, borbottava le stesse cose senza rendersi conto di non essere ascoltato. Lui nella sua amata atletica, altri a casa, nei giornali dove hai lavorato per quasi quarant’anni, negli sport dove si erano illusi di avere ancora qualcosa da dire. Lui, almeno, si risparmierà, il compatimento dei contemporanei, anche se lo aspettano sulla nuvola un Nebiolo arzillo, il professor Vittori, magari Marcello Pagani. Sai che quieto riposo.

Facendo a sapere a Julio Velasco che lui resta la grande mente a cui ispirarsi anche sulla strada uscita ci scusiamo per aver considerato così tanto Cysterpiller, l’amico del Pibe come guida sicura. In quei giorni, in quel volo, da Barcellona a Napoli, sembrava davvero così. Superficialità da piccole jene che inseguono la sfortunata compagna di un premier a cercare rifugio nel supermercato che è già prigione per i bulimici della spesa.

Senza votare per la lista gazzosa sull’allenatore dell’anno, domandandosi perché chi ha vinto tanto nel volley, sci, nuoto è fuori lista, senza ansia per il ritorno di un campionato a porte chiuse e teste all’ammasso, ammettiamo di essere imbarazzati perché siamo ancora stupiti dalla scelta della “maso” Rai per la diretta alle 16 del 6 dicembre dell’esordio in Virtus del Beli contro il suo ex compagno Pozzecco che allena a Sassari. Ben fatto.

Intanto speriamo che Lino Lardo accolto benissimo dal basket italiano femminile, anche se lo avvertiamo che all’inizio furono rose e fiori per tanti, da Arrigoni a Sales, ci faccia conoscere due ragazzine che nel fine settimana hanno segnato più di trenta punti nei tornei più elevati. La Matilde Villa di Costa Masnaga, in A1, e la Carlotta Zanardi, altra del 2005, che gioca a Brescia in A2. Sono insieme nella nazionale giovanile, la numero 5 e la numero 6. Diciamo che nei campionati femminili, seppure in maschera, c’è meno circolazione di soldi e quindi di mercenari. Più facile osare, rischiare. Dovevano farlo anche nella maschile senza prosciugare casse già esauste.

 

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