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Duribanchi / Storie di ordinaria quotidianita'

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Martedì 10 Novembre 2020

 

giustizia

Teatro dell’assurdo o così fan tutti? Forse un Pirandello seconda maniera ne avrebbe tratto una delle sue straordinarie novelle dove la realtà ha i contorni della finzione, nell’eterno gioco tra l'essere e l'apparire.

Andrea Bosco

Siamo dentro ad una gigantesca bolla di parole. Dove tutti predicano bene e razzolano malissimo. Dove è diventato impossibile fidarsi. Se non ti fidi non sei disposto ad “accettare”. Perché dovresti fidarti? Di chi? Di cosa? Degli uomini? Di alcuni, sì. Delle istituzioni? Domanda di riserva, per favore. Della giustizia? La storia l’ha scritta Luca Fazzo su Il Giornale. E’ emblematica. La riassumo: giudicate voi.

La signora ha un nome e un cognome, ma è stata chiamata Effe. Da otto anni sta lottando contro lo Stato italiano. Aveva, dopo mille maltrattamenti, la signora, denunciato il marito (ormai ex). Ma quando i suoi legali hanno chiesto lumi sul suo fascicolo alla Procura di Prato, ha scoperto che il caso era stato archiviato. In quanto il reato era “prescritto”. Tradotto: il fascicolo della signora Effe non aveva fatto un centimetro oltre il tavolo del pubblico ministero. A quel punto Effe chiede almeno i danni per la durata scandalosa di un processo mai iniziato. Ma ancora scopre, Effe, che proprio perché mai iniziato, quel procedimento non esiste. E quindi Effe non ha diritto ad alcun risarcimento.

La Corte d’Appello di Firenze (scandalizzata?) trasmette a quel punto gli atti a Roma alla Consulta: sarà la Corte Costituzionale a decidere nel merito. La vicenda risale al 2012: una storia d’amore finita male. Con coda di insulti, botte, telefonate minatorie, gomme dell’auto squarciate, ricovero in ospedale. Il pm delega le indagini alla Polizia. Solo che la delega alla Questura non arriva. La Questura al legale di Effe scrive di non averla mai ricevuta e che il fascicolo “risulta irreperibile”. Spiegazione? Surreale. Il Pm invia la delega per fax. Solo che alla Questura il fax non esiste più, considerato che “questo mezzo di comunicazione è stato dismesso a favore della posta elettronica certificata”. Di solito un fax prevede la “conferma di consegna”. Che ovviamente, mancando fisicamente il fax, non sarà mai arrivata. Ma il pm non deve essersi chiesto il perché.

Finito? No: c’è di peggio in questa storia. Nel dicembre del 2013 Effe scrive al pm inviando copia dei referti medici attestanti le lesioni subite. Silenzio dalla Procura. Altra richiesta nel 2015: egual silenzio. La Procura però si fa viva nel 2018 a ridosso della prescrizione chiedendo, ad Effe: “Perché non ritira la querela?”. La signora rifiuta. Per tutta risposta la Procura, il 29 novembre del 2018, le notifica quale persona offesa “la richiesta di archiviazione dalla Procura della Repubblica di Prato, in quanto le violazioni ipotizzate risultano estinte per prescrizione”.

Come si chiama il procuratore di Prato? Che faccia ha? Quale è la sua storia professionale? Quale è la storia del suo ufficio? Quanti altri fax senza risposta dal suo ufficio possono essere stati inviati? E per quale motivo, nonostante le lettere di Effe, nel corso di molti anni, il procuratore di Prato non ha mosso il deretano per appurare il perché di tanta inefficienza?


Verrà certamente fuori che detto procuratore è un bravo professionista, oberato da mille indagini, con mezzi inadeguati in Procura. Che la denuncia di Effe è stata “superata” nel corso degli anni da altri procedimenti, più gravi e più urgenti. Il suo fascicolo finito al fondo di una pila di altri incartamenti. Che non c’è stato né dolo, né incapacità: solo un intoppo burocratico. Il Procuratore resterà anonimo, contro di lui non sarà preso alcun provvedimento: e all’insegna della “dura lex , sed lex”, considerato che il fascicolo di Effe in realtà è pura teoria, può anche darsi che Effe non otterrà un centesimo di risarcimento.

Mi sono dilungato su questo episodio di mala giustizia perché appare emblematico di un mondo dove gli individui possono finire stritolati dal sistema. Dove la vita, per dirla con il romanzo di Luciano Bianciardi è “agra". E dove alla fine ti rendi conto che forse sei, come spiegava Schopenhauer, un “insetto". Una infinitesima parte della natura. Un “niente" che la natura ogni giorno stermina senza rimorso. E se finisci nel tritacarne della giustizia italiana risulti ancora più “insetto".


Vedere e rivedere il bellissimo film di Alberto Sordi sul “detenuto in attesa di giudizio". Effe da otto anni sta lottando. Finora, lei vittima, è stata la sola a pagare: le parcelle del suo studio legale. Con la speranza di poter trovare, ora, un “giudice a Berlino". Che ne sposi la causa. A Berlino o a Roma. Visto che a Prato ha trovato solo un fax che “era esistito". Come quei bar dell’Avana, cancellati ai tempi della “economia pianificata". Che avevano solo un numero barrato di quattro cifre e si chiamavano “unità etiliche".  

 

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