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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Uno dei tanti che non tornarono

Lunedì 2 Novembre 2020

 

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“In un film verrebbe usata la dissolvenza e il tenente colonnello Edgar Roberts Mobbs infangato, insanguinato, morente, apparirebbe sedici anni più giovane, un 19enne alto, biondo, con gli occhi azzurri che posa per una foto di famiglia”.

Giorgio Cimbrico

“Piegati in due come vecchi straccioni, sacco in spalla / le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango / sinché volgemmo le spalle all’ossessivo bagliore delle esplosioni / e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare … / ubriachi di stanchezza, sordi persino al sibilo / di stanche granate che cadevano lontane, indietro”. (da Dulce et decorum est).

Novembre, i giorni del ricordo e dei papaveri trasformati in simboli degli anni della strage: sbocciavano e morivano rapidi sui campi di Fiandra. Wilfred Owen, soldato e poeta, morì una settimana prima dell’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese e sua madre ricevette il telegramma il giorno dell’Armistizio.

È la Grande Guerra, quella che doveva por fine a tutte le guerre. Lo sport offrì il proprio contributo e il rugby pagò il prezzo più alto. Il 1° gennaio 1920, quando il 5 Nazioni riprese, a Colombes scese in campo la metà dei francesi e degli scozzesi che si erano affrontati nel ’14. Questa è la storia di uno dei tanti che non tornarono: Edgar Mobbs.

La meta è a 40 yard, la palla è una granata a mano. Le prime dieci vanno via lisce, poi il mitragliere tedesco lo placca con una raffica alla gola. L’attendente lo trascina in una di quelle buche che hanno trasformato il saliente di Ypres in un paesaggio lunare. «Devo scrivere». Gli fa cenno a gesti: blocchetto, matita, un messaggio per l’artiglieria con le coordinate del nido che sta massacrando i suoi e un post scriptum: «Sono gravemente ferito». L’attendente parte in uno slalom di miagolii, di schianti. «Lo recupererò», pensa e sa già che recupererà un cadavere. È il 31 luglio 1917 a Passchendaele, il solito giorno di una mattanza che durerà sino a novembre. Nessuno troverà il corpo di Edgar Mobbs, tenente colonnello comandante del 7° battaglione dei Northamptonshire Regiment.  

«È dentro la terra di Fiandra, insieme a tanti di noi e non averlo ritrovato rende ancora più necessario mantenerne il ricordo», diranno i sopravvissuti quando si ritroveranno nel 1921: sono 85 su 264. Una marcia nelle strade di Northampton, un busto per ricordare che Edgar fece sino in fondo il proprio dovere e poi a Franklin’s Gardens per East Midlands-Barbarians.  

In un film verrebbe usata la dissolvenza e il tenente colonnello Edgar Roberts Mobbs infangato, insanguinato, morente, apparirebbe sedici anni più giovane, un 19enne alto, biondo, con gli occhi azzurri che posa per una foto di famiglia nel giardino di casa, Dartmouth House, Olney, Buckinghamshire. Nel 1903, a 21 anni, va a Northampton e gioca da mediano di mischia. Alto e pesante – 1.86 per 90 chili – non convince e lo fanno fuori e così nel 1905 non gioca contro gli All Blacks di Dave Gallaher, che vivrà il suo stesso destino in Fiandra.  

Quando capiscono dove usarlo, Mobbs diventa nembo e tempesta: da ala segna 177 mete in sei anni. Il giocatore che corre a ginocchia alte è indomito in campo, anticonvenzionale e polemico fuori. Yesman, mai. Pagherà. La sua lotta contro la federazione inglese inizia nel 1907 quando i Saints vengono accusati del peccato più grave: professionismo. Tutto risulta a posto ma i meschini addebiti vanno avanti: «Se i giocatori vogliono avere tè e sigarette negli spogliatoi, il club deve provvedere, non regalare». Le sigarette negli spogliatoi in questa nostra età proibizionista destano impressione ma nello stesso periodo gli All Blacks passavano le serate fumando sigaro e pipa.  

Mobbs dice sempre quel che pensa e così non lo chiamano in nazionale, ma nel 1909, quando arriva l’Australia, non possono farne a meno. Meta dopo due minuti ma l’Inghilterra perde 3-9. Quando torna a casa, parla con un amico cronista: «Quelli di strategia di gioco capiscono poco». Risultato: per la prima partita del Championship, con il Galles, il suo nome non c’è. Recuperato per il match vinto 22-0 con la Francia, con una sua meta. Le altre segnature arrivano con Irlanda e Scozia. «Era più braccato lui che il Primo Ministro dalle suffragette», scrivono. L’anno dopo lo fanno capitano per la partita con la Francia: a Parigi è 3-11 e finisce anche la carriera in maglia bianca di Edgar. «Era chiaro: mi hanno dato il grado per farmi fuori con eleganza». Quando nel 1913 si ritira, il Northampton organizza una soirée: dirigenti della Union presenti, zero.  

Edgar ha 31 anni, lavora con il padre nel settore in espansione dei concessionari d’auto, ma qualcosa gli rode dentro: vuole emigrare in Canada ma lo studente bosniaco Gavrilo Princip fa fuori a revolverate Ferdinando arciduca d’Austria e sua moglie Sofia. Va all’ufficio arruolamento: «Per far l’ufficiale, troppo vecchio», gli rispondono. Figurarsi se uno come lui si rassegna. Ha un’idea e i manifesti con i baffoni a manubrio di Lord Kitchener fanno il resto: organizzare uno Sportsmen Battalion. Batte il terreno degli amici, dei giocatori, ne convince 400, ne accettano 264: sono costretti a formare l’unità e a farlo tenente. Il battesimo del fuoco è nel settembre del ’15, a Loos: primo macello. Gli avanzamenti sono rapidi e seguono le citazioni del suo nome nei dispacci: maggiore, facente funzioni di comandante, tenente colonnello, senza mai chiudersi nella tana dove si danno ordini.

Ad agosto del ’16 il battaglione finisce sulla Somme, settore di Guillemont che aveva già portato via Jack King, 12 caps per l’Inghilterra. Edgar viene ferito da uno shrapnel che gli si conficca vicino alla spina dorsale. Gli danno il DSO (Distinguished Service Order) e lo spediscono in un ospedale in Inghilterra. A settembre, con la cicatrice ancora fresca, comincia a strepitare: «Possibile non mi facciano abile?». Qualcuno mette il timbro e lo rispediscono verso l’inferno: il girone è quello di Arras. È la primavera del ’17, quella che inonda la Gran Bretagna e l’Impero di telegrammi firmati da re Giorgio V: “Mi è doloroso informarVi che vostro marito (figlio, fratello …) è caduto sul campo dell’onore”. La Fiandra divora la divisione scozzese, le guardie gallesi, i fucilieri del re, gli australiani, i sudafricani, i canadesi.  

Il 7 giugno Mobbs è ferito a Messines: «Sono stato fortunato: la scheggia era piatta e mi ha solo stordito», scriverà alla sorella. Dopo venti giorni è in linea, il 29 luglio è nella trincea “Canada” e lo informano che una mitragliatrice tedesca sta facendo strage. È estate piena, il fango è un mare, attraversato dai topi di trincea. «Vado io»: lo conoscono e nessuno prova a fermarlo. E sparisce. Per chi vuole guardarlo in volto, il busto di Edgar Mobbs è ad Abington Square, Northampton. A novembre è circondato dai papaveri.

 

 

 

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