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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Una foto, una storia / Quando gli Ottocento partivano in linea

Venerdì 30 Ottobre 2020

 

amsterdam-1928-800


Questa rara foto congela lo “sparo” degli 800 olimpici del 1928 (si noti lo starter in spolverino avvolto da una nuvola di fumo). Nove i finalisti: in seconda posizione il britannico Lowe che s’era già imposto quattro anni prima a Colombes, nei Giochi di “Momenti di Gloria”.

 

Gianfranco Colasante

 

L’anno olimpico 1928 era stato l’occasione per la riscrittura delle gerarchie internazionali degli 800 metri e del mezzo miglio grazie ad una serie di prestazioni al di sotto degli 1’52”, crono che fino ad allora aveva segnato il confine dell’eccellenza mondiale. Avevano dato fuoco alle polveri gli americani ai tradizionali Trials di inizio luglio per designare i quattro ottocentisti per Amsterdam: al termine di una battaglia senza esclusioni si era imposto il neofita Lloyd Hahn in 1’51”4 davanti alla sorpresa Earl Fuller.

La risposta europea non s’era fatta attendere. Mentre il campione di Parigi ‘24, l’inglese Douglas Lowe covava i suoi progetti rintanato nella sua Isola, era salita la stella del francese Séra Martin il quale, due settimane prima dei Giochi, aveva portato il record mondiale a 1’50”6, sostituendo nella tabella dei primati il tedesco Otto Peltzer che due anni prima, vincendo proprio davanti a Lowe i campionati inglesi, aveva riscritto il mondiale delle 880 yard con 1’51”6 (un record seguito in pochi mesi da quelli sui 1500 e sui 1000 metri).

Ma il 31 luglio del 1928, sulla pista di Amsterdam – uno dei rari anelli da 400 metri del tempo, ma con fondo lento e poco favorevole a risultati di pregio – le cose presero una piega inattesa con la sconfitta dei favoriti. Come era accaduto quattro anni prima, ad imporsi fu ancora Lowe, un giovane avvocato di Manchester capace di emergere nel finale grazie soprattutto al suo cinismo tattico (1’51”8 il crono finale).

Hahn, che aveva lanciato la corsa nel primo giro, finì quinto mentre Martin deluse i suoi fans con un anonimo sesto posto. Da parte sua Peltzer – che in seguito, in nome dei diritti degli omosessuali, nella Germania nazista pagherà con la persecuzione, l’esilio e, negli anni di guerra, con un sofferto internamento a Mauthausen dal quale lo libereranno gli americani nel maggio 1945 –, anche per i postumi di un infortunio, si era malamente fermato in semifinale.

E a tal proposito si tramanda un aneddoto che è qualcosa di più di una storiella. Può considerarsi l’essenza stessa di un’atletica perduta. Dunque, tornato in patria, Lowe si mise alla scrivania e scrisse una lettera al rivale. “Caro dottor Peltzer, – diceva – gli halfmilers britannici si sentono in dovere di esternarle il loro più sincero rammarico per l’infortunio che le ha impedito di mostrarsi al meglio ai Giochi Olimpici. Ci rendiamo conto della delusione che lei ha provato ma possiamo anche assicurarle che la sua amarezza è pienamente condivisa non solo dai suoi connazionali ma anche dagli sportsmen inglesi”.

Ma questa foto suggerisce altre considerazioni. Come si noterà, a quel tempo la partenza degli 800 veniva data con i concorrenti schierati sulla stessa linea. E tale rimarrà fino ai Giochi del 1948 quando la clamorosa sconfitta dei due favoriti, il francese Marcel Hansenne e l’inglese John Parlett, penalizzati dall’essere stati relegati all’esterno, spinse la IAAF a introdurre nel 1950 una linea di partenza ricurva. Un accorgimento che presto si rivelò solo un palliativo tanto che nel 1959 la federazione internazionale intervenne ancora introducendo l’obbligo di correre in corsia i primi 100 metri.

Ma all’inizio degli anni Sessanta, con le piste uniformate a 400 metri e il livello tecnico elevato fino a rendere possibili tempi dell’ordine di 1’44”/1’45”, si constatò che la nuova norma finiva col favorire una lotta senza esclusioni per la conquista della corda. Tanto che dopo i Giochi di Monaco – a partire dal 1° maggio 1973 –, il tratto da percorrere in corsia venne allungato a 300 metri, più o meno fino alla conclusione della seconda curva, con l’intento di scaglionare meglio gli “ingressi” e rendere la corsa più fluida.

C’è al riguardo un curioso episodio legato a quella novità. Giugno 1973, Helsinki, triangolare “solo corse” tra Italia, Finlandia e Kenya (alla fine gli azzurri, pur privi di Mennea, superarono gli africani per 63 a 60: impensabile oggi, tanto più nelle corse). Ma l’eco di quella nuova normativa non doveva ancora essere giunta in Kenya, dal momento che il muscolare Daniel Omwanza, un insegnante di 22 anni neofita della distanza che correva in sesta corsia, dopo il via si precipitò verso la seconda (che fungeva da “corda”) concludendo in 1’44”2, crono inferiore al primato mondiale (1’44”3) detenuto in comproprietà da Peter Snell (1962), Ralph Doubell (1968) e Dave Wottle (1972). Senza voler ricordare che un paio di settimane prima, Rick Wohlhuter aveva corso le 880 yard in 1’44”6, in termini metrici siglando il primo meno 1’44” della storia.

A conti fatti, visto che l’indisciplinato keniano aveva guadagnato circa 19 metri, Marcello Fiasconaro, autore di una involontaria corsa ad handicap, fu dichiarato vincitore in 1’46”3. E toccò proprio a Marcello, otto giorni più tardi, mettere tutti d’accordo riscrivendo sulla pista dell’Arena il vero “mondiale” col suo famoso e favoloso 1’43”7 e senza alcun problema di decalage, dal momento che, piazzato in partenza alla "corda", ebbe la possibilità di correre in testa dal primo all’ultimo metro.

Quattro anni più tardi, verificato che il lungo tratto in corsia finiva in buna misura con lo snaturare la natura tattica del “doppio giro”, dal 1° maggio 1977 – come dire ai tempi di Alberto Juantorena e Seb Coe – la IAAF tornò sulla sua decisione riportando a 100 metri il tratto iniziale in corsia. Senza alcun pregiudizio per la sostanza e la qualità della gara che, in attesa del primo “meno 100 secondi”, per ora solo sfiorato, resta una delle più eccitanti dell’intero programma olimpico. E, per inciso e per quello che può valore, la mia preferita.

 

 

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