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Una foto, una storia / La solitudine dell'Arms Park

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Mercoledì 23 Settembre 2020

 

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Detto dello scenario, non resta che ricordare la data sul retro, 16 gennaio 1971, e dire del personaggio che è Gerald Davies, o meglio “l’arte in movimento”. Leggendo l’articolo capirete perché.

Giorgio Cimbrico

Qualcuno, al tempo delle telefoto, disse che si capiva subito quando un’immagine veniva dalla Gran Bretagna: lo sfondo era sempre soffuso di nebbiolina. In primo piano potevano esserci i cavalli del Grand National e le zolle che volavano, i grappoli in area su uno dei tanti cross che fischiavano in aria, i mezzofondisti che sciaguattavano nel fango, e dietro, quel grigio mai compatto che non nascondeva il muro della folla, le vecchie tettoie. Questa foto non è la solita foto di rugby: spesso, molto spesso, i fotografi privilegiano il cozzare delle mischie, le battaglie aeree in touche.

Questa è particolare come il soggetto, Gerald Davies, che avevano soprannominato “l’Arte in Movimento”. E così, come un inconsapevole omaggio, è nata questa immagine di solitudine in uno stadio molto pieno, il vecchio Arms Park di Cardiff, nel pieno ventre della città, a un tiro di sasso dalla stazione che riversava e riversa i gallesi che vengono dalle valli, dai luoghi dai nomi fatati, dalla pietosa contea, come la chiamava Dylan Thomas di Swansea, poeta ubriacone.

La foto ha una data: 16 gennaio 1971. Il mezzo secolo non è lontano. Al primo impatto può apparire più antica, immersa nel tempo perfetto della memoria da non smarrire. Il Galles sconfisse l’Inghilterra 22-6, Gerald, che giocava per i London Welsh, segnò due mete. Risultò la base per la vittoria nel Cinque Nazioni, per la Triplice Corona, per il Grande Slam. Gerald oggi ha75 anni, è di Llaansaint (due elle in gallese si leggono cl), ha studiato a Cambridge ed è uno dei magnifici sette del Principato che hanno allineato tre Slam.

Era un Galles di ragazzi irresistibili. Barry John era il Principe, quello che camminava sulle acque, quello che passava attraverso i muri (“pensavo che tu non avessi bisogno di passare da questo corridoio”, gli disse uno scozzese trovandoselo al fianco in un dopo match), elegante, elusivo, enigmatico nella sua scelta di chiudere in fretta; Gareth Edwards aveva l’intuizione, la capacità di farsi trovare nel posto giusto con il tempo giusto (e due anni dopo, su quel prato, avrebbe segnato agli All Blacks la più bella meta in 150 anni di storia del gioco, la META) e il dottor JPR Williams dalle basette come quelle di Gladstone o di Lord Salisbury sapeva accendersi come un candelotto di dinamite e seminare il panico con le sue irruzioni. E là, sull’ala, c’era Gerald, l’Arte.

Quando il 27 marzo, a Colombes, i dragoni gallesi vennero a capo dei galli-galletti in fondo a un durissimo scontro dal punteggio basso (5-9) e dalle emozioni alte e festeggiarono il bottino molto pieno, Gerald aveva segnato cinque mete, Edwards quattro e John aveva disegnato parabole, scritto le sue rapsodiche sonate.

Tutti questi meravigliosi giocatori, che oggi nel nuovo rugby potrebbero trovare occupazione come magazzinieri o videoanalisti, stavano per spiccare il volo. Passati da una maglia rossa con le tre piume a una maglia rossa con i segni araldici delle quatto Unions, quella dei British and Irish Lions guidati da un dimesso e acuto condottiero, Carwyn James, anche lui gallese, avrebbero vinto la serie con gli All Blacks: due vittorie, un pari, una sconfitta. Mai più capitato. Gerald lasciò i suoi segni: tre mete. Altre immagini memorabili, scattate nel mondo alla rovescia.

“Quando tornammo a casa – racconta Edwards – ad aspettarci a Heathrow c’era più gente che per i Beatles dopo il primo tour in America, ma la vera difficoltà venne quando arrivammo in Galles. C’erano tavoli imbanditi dappertutto. Un goccio, dai; un altro, forza”. Il piccolo popolo ringraziava i suoi artisti nel modo più semplice e commosso.

PS. Il Qualcuno che “leggeva” le telefoto e capiva da dove arrivassero era ed è Giampaolo Ormezzano.    

 

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