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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / L'uomo che ha dato un giro a Vladimir Kuts

Domenica 16 Agosto 2020

 

cheptegei 


“L’idea è di dominare in pista per i prossimi cinque, sei anni”, confessa senza una punta di arroganza Joshua Cheptegei dopo aver privato Kenenisa Bekele del suo primato più vecchio, quello dei 5000, annata 2004.

Giorgio Cimbrico

L’annuncio che avrebbe dato l’assalto è stato confermato dalla solidità dei fatti. Non è da tutti. Quando c’è di mezzo un record così, 12’35”36 (media 2’31” e qualche spicciolo), è piacevole trastullarsi con i numeri e con le lancette dell’orologio che non ci sono più, esattamente come il filo di lana: Joshua si è migliorato di 22 secondi, ha corso in un minuto esatto in meno rispetto a Vladimir Kuts (record mondiale all’Olimpico nel ’57: a palmi, un giro), ha avuto buone lepri che lo hanno spinto verso 3000 passati in 7’35” (proprio così; ampiamente sotto il record italiano), ha fatto da solo per i 2000 finali, sbrigati in 5’00”, decisamente un buon tempo sulla distanza e ha steso il suo capolavoro negli ultimi tre giri: ogni tornata, decimo più, decimo meno, un minuto.

La facilità di corsa non trasmette l’idea del ritmo. Le scarpe, che oggi è sempre più necessario nominare, erano Nike ZoomX Dragonfly. Cheptegei ha passato questi mesi difficili a casa, Kapchorwa, 1800 metri sul livello del mare (dov’è nato nel 1996), nella regione orientale dell’Uganda, addossata al Kenya. Ha dato una mano nell’orto di casa e ha dipinto i muri della scuola elementare. E si è allenato, sotto gli occhi di Addy Ruiter, tecnico olandese.

Gli orange hanno un rapporto speciale con l’Africa Orientale, specialmente con l’Etiopia, spesso trapiantata a casa di Jos Hermens, a Hengelo. Ora hanno capito che il nuovo giardino è l’Uganda, un Kenya più verde e meno “sfruttato”. Che gli ugandesi, geneticamente simili ai kenyani, siano forti non è una novità: Stephen Kiprotich divide con l’etiope Genzahgne Abera il doppio scettro olimpico e mondiale della maratona. E non è poco.

Joshua non è neppure il primo ugandese a mettere a bilancio un primato del mondo: quasi un quarto di secolo prima che Cheptegei vedesse la luce, quel buonanima di John Akii Bua diventò il primo a varcare la barriera dei 48”0 nei 400hs senza lagnarsi di esser finito in prima corsia. John, che all’Olympiastadion di Monaco di Baviera diede vita a un giro d’onore simile a un elegante e coinvolgente balletto, se n’è andato nel ’97, a 47 anni.

Che in Uganda, un tempo regno del terrore e della follia dell’ex-peso massimo Idi Amin, fossero in atto buone manovre risultava evidente a quei suiveur che ancora si ostinano a scorrere avidamente gli ordini d’arrivo dei Mondiali di corsa campestre. Proprio Cheptegei, tre anni fa, a Kampala, mise fuori la testa, condusse per almeno tre quarti di gara prima di esser colpito da asfissia muscolare e arrivare al passo, trentesimo.

Ai Mondiali di Londra, prime prove di maturità: mette in imbarazzo sir Mo Farah, cede al britannico di Somalia per 43 centesimi ed entra nella confraternita di coloro che si sono lasciati alle spalle i venticinque giri in meno di 26’50”. L’accoppiata 5000-10.000 ai Giochi del Commonwealth 2018 introduce la stagione che lo incorona re su tutte le superfici: sull’erba di Aarhus, sull’asfalto di Valencia e di Montecarlo, su pista: a Doha doma due coalizioni (l’etiope e la kenyana) e ritocca il personale, 26’48”36 lasciando a un secondo il lungo e pencolante Kejelcha. L’ordine d’arrivo è la dimostrazione in profondità della superiorità degli uomini dell’Africa Orientale: i primi undici, compresi il canadese Mohammed Ahmed, l’azzurro Yeman Crippa e l’americano Shadrack Kipchirchir hanno radici in quella vasta regione di altopiani, solcata dalla Rift Valley.

In realtà la festa ugandese avrà già preso il via con il sorprendente esito degli 800 donne: titolo alla piccola e robusta Halima Nakaayi (1’58”04, record nazionale) con piccolo margine sulla rimontante american Raevyn Rogers e più ampio sulla grande favorita, Ajee Wilson che salva la medaglietta su un’altra ugandese, Winnie Nanyondo. La crescita delle donne è l’elemento necessario per la costruzione di una vera potenza.

PS. Forse non tutti hanno notato che al Louis II Jake Wightman, terzo alle spalle di Timothy Cheruiyot e di Jakob Ingebrigtsen, a meno di vent’anni primatista europeo in 3’28”68, ha chiuso in 3’29”47, il miglior tempo ottenuto da un britannico … non d’importazione. Jake, nato a Nottingham da famiglia scozzese, ha superato per venti centesimi il 3’29”67 che, dopo furibondo testa a testa con Said Aouita, diede a Steve Cram il record mondiale. Capitò nell’85, a Nizza, Stade de l’Ouest. Lord Sebastain Coe, che assisteva in tribuna con mascherina, è dieci centesimi più indietro, 3’29”77 a Rieti nell’86. Il 3’28”81 di Mo Farah, a Montecarlo, è del 2013: record britannico. Wightman, figlio di maratoneti, deve accontentarsi di quello scozzese, ma sicuramente ne sarà orgoglioso.

 

 

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