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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Uno slogan del nostro tempo

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Lunedì 10 Agosto 2020

 

sarri 


C’è anche il “nuovo stile Juve”, che prevede il licenziamento del tecnico che vince lo scudetto: eloquente sul vero obiettivo della società. Il problema è che quell’obiettivo non viene mai centrato. Anzi.

Giorgio Cimbrico

Pandemia e Italiamia: è lo slogan del nostro tempo. Perché, come avrete notato, tutti, in nome del dolce e avviluppante profitto, hanno scoperto, apro le virgolette, “le eccellenze italiane, il made in Italy, il paese più bello del mondo, i biscotti e la pasta fatti con grano italiano, la carne (anche quella di una catena globale, ndr) italiana, lo shampoo italiano (specie quello usato da un famosa nuotatrice e da un anziano portiere, ndr), assicurazioni orgogliosamente italiane”. Chiudo le virgolette ma potrei lasciarle aperte ancora a lungo.

E’ una furia, proposta con voci maledettamente rassicuranti, su cui potrebbero essere appiccicate un paio di etichette: nazionalismo e autarchia. Ma sia il primo che la seconda appartengono a un repertorio lontano. Oggi è tutto finto, tutto forzato, fatto ingozzare come capita alle povere oche che devono farsi un fegato così.

Un fegato così devono farselo anche coloro che, per istinto o dopo aver subito un duro condizionamento che ha impedito loro scelte autonome, palpitano per un paio di italiche passioni.

Se l’Europa, alla fin della tenzone e malgrado qualche inveterato frugale, si è dimostrata generosa con la sua singolare appendice mediterranea, altrettanto non può dirsi con il calcio. Per certi monopolisti su suolo natio l’Europa più che una fortezza inespugnabile si sta rivelando una Fortezza Bastiani. C’è davvero? E’ frutto di fervida immaginazione? Eppure erano state prese tutte le misure per assediarla e farla cadere, cominciando dall’acquisizione della Grossa Berta forgiata a Madera. Malgrado il dato anagrafico, ancora assai efficace.

La verità storica è che la Juventus con l’Europa tanto agognata ha un rapporto difficile: due vittorie (la spaventosa sera dell’Heysel, con rigore inventato, e all’Olimpico; ai rigori) e sette sconfitte, tre delle quali con Amburgo, Borussia Dortmund e un modesto Real, possono tranquillamente esser rubricate come brucianti.

Il “nuovo stile Juve”, che prevede il licenziamento del tecnico che vince lo scudetto, è eloquente sul vero obiettivo della società. Il problema è che quell’obiettivo non viene mai centrato. Anzi, a dire il vero, si allontana sempre più. Questa volta è bastato il Lione guidato da Rudi Garcia che, fosse nato trent’anni prima, sarebbe stato un magnifico interprete di noir. Da buono o da cattivo non importa.

La Signora è strettamente imparentata con la fidanzata d’Italia: bene, la Ferrari non vince il titolo costruttori dal 2008 e quello piloti dal 2007, ultimo Kimi Raikkonen. E fra non molto verrà celebrato il ventesimo anniversario del primo dei cinque trionfi consecutivi del povero Michel Schumacher.

Tra guasti, testacoda, “pacchetto” poco efficace (non so cosa voglia dire ma mi adeguo …), un aspetto incoraggiante esiste: il giovane Leclerc porta lo stesso nome del generale Philippe Leclerc de Hauteclocque che il 25 agosto 1944, alla testa della sua divisione corazzata liberò Parigi e più tardi cacciò i tedeschi da Strasburgo. Qualche maligno può osservare che quei carri Sherman erano più veloci ed efficienti di queste Ferrari ma sarebbe davvero una gratuita cattiveria.

La superficiale visita di un medico alla Thomas Mitchell (vedi Ombre Rosse) suggerisce che le due grandi entità che occupano i pensieri “sportivi” di un grande numero di italiani non godano buona salute, ma certe affermazioni possono essere affrettate, finire nel repertorio delle diagnosi non sostenute da dati esaurienti. Meglio non addentrarsi, meglio non sfociare su un terreno che può portare all’accusa di lesa maestà. O peggio, di disfattismo che in questo clima appiccicaticcio di Italiamia può risultare passibile di violente reprimende, se non di dure condanne.

Avrei volto chiudere con qualche riflessione sul tema della “riforma” dello sport, ma con il direttore che ci ritroviamo, più lucido del miglior inox, avrei rischiato di fare la figura del clown blaterante di cui parla Macbeth e non mi pare proprio il caso.

 

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