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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / Bianchini e Recalcati, a voi la palla

Lunedì 27 Luglio 2020

 

bianchini 

 

Intrigante la prospettiva di una presidenza congiunta per un basket virtuoso ma senza idee, progetti, proposte che potessero scuotere un ministro, in questo gioco perduto se resterà a porte chiuse.

Oscar Eleni

Fra le aquile calve della Sierra Nevada implorando pietà per i piccioni che restano gli unici fedeli quando tutti se ne vanno. Lo fanno, sia chiaro, perché così mangiano, perché hanno buona memoria, non riconoscenza. Come tanti. Sotto le sequoie della contea di Mariposa uno prova a dimenticare i coccodrilli di Piacenza dell’arma che non ha sempre avuto soltanto gente fedele e che adesso vorrebbe anche guidare rivolte contro una Europa senza frontiere e senza voglia di sbranarsi a Ypres fra gas tossici.

Per consolarsi la registrazione della chiacchierata TV organizzata benissimo da Nasso e Lo Muzio fra Velasco e Zorzi, aquile reali che hanno esplorato il mondo da Mao al Covid. Che invidia, ma quelli del volley non hanno mai perso il gusto di studiare evolversi anche quando furono investiti dai soldi dei sciuri, combattendo lealmente anche con i beceri di casa loro. Invidia come per la grinta e la testa del fratello di Riccardo Pittis sul suo triciclo che gli permette di muoversi, vivere, creare.

Gelosie da prigionieri, soprattutto il popolo del basket che aspetta, non certo con l’ansia di SKY, la ripresa a Disneyland del campionato NBA, un mondo dorato come ci scrive il Melli nella bolla, un regno dove non tutti devono essere grandi competenti se il figlio di Manute Bol, un 2 e 20 che gioca esterno, è stato scelto con il numero 44. Certo dovremmo stare zitti noi che andiamo a prenderci quello che resta per mettere in piedi il teatrino del “basket un altro sport”.

Meglio quello organizzato da Fabrizio Noto per il suo sito ribelle. Parole al vento, come al solito, ma certo intrigante la prospettiva di una presidenza congiunta Recalcati-Bianchini per il basket virtuoso alla don Abbondio fin da aprile, senza idee, progetti, proposte che potessero scuotere un ministro, in questo gioco perduto se resterà a porte chiuse, oltretutto decapitato da Spadafora, con Petrucci fuori dal ring. Nel salotto Skype è venuto fuori anche il nome di Bulgheroni come triumviro per la rivoluzione alla slava e da noi Tanjevic ci avrebbe guidato verso la luce sul serio: gente che sul campo c’è stata davvero, peccato che i voti siano in mano ad altri come capirono quasi subito Rubini e Porelli tenuti lontano dalla guerra dei pennini che anima molti comitati regionali come certe caserme dove il record di arresti sa davvero di doping mediatico.

Voglia di basket, di vera atletica, respingendo subito chi ci invita a riflettere sul Tortu fotografato al Foro Italico: certo pallido per uno che si allena all’aperto, ma vogliamo credere anche se infastiditi da troppi staff che comunicano fra le lenzuola. Non è il momento di litigare tipo Pidi, meglio unirsi nell’applauso collettivo che ha finalmente liberato Fischetto, Bottiglieri e Fiorella dalla trappola del grande marciatore che aveva perso la fede scoprendo che il tacco punta è soltanto sofferenza, meditazione per cieli grandi, mai ricchezza.

Fiori sulla tomba di Olivia de Havilland che era grande attrice davvero anche se prigioniera dei mostri del cinema pilotato, garofani sotto il monumento di Ben Jipcho, re del mezzofondo, che Cimbrico ci ha fatto rivivere alla sua maniera, ma lui è un genio che farebbe innamorare di sport persino quelli del fantacalcio. Olivia, due Oscar, aveva 104 anni, tanti amori e forse anche quello per la sorella Joan Fontaine che, per tattica dei famosi Studios de mierda, invece doveva pubblicamente odiare.

Jipcho, 77, e Keino. Che grandi, che atletica e ancora benediciamo la fede del Turri di San Vittore Olona che portò ai Mulini, sull’Olona già impestata, questi campioni, persino Akii Bua. Adesso chi lo farebbe? Vero che qualcuno tenta ancora di rianimare la pianta, ma è durissima e in giro non c’è gente con grande senso dell’ironia per capire il Sarri campione d’Italia con la Juventus, stritolato come soltanto quel mondo riesce a fare, triste abbastanza vedendo non giocare i suoi bianchi e i suoi neri, ma ancora lucido per spiazzare: “certo dovete essere forti voi giocatori se avete vinto uno scudetto con uno come me.”

Aspettando il rogo di Champions, pensate a Pioli che per settimane veniva trattato da caro estinto, invitando il Milan a pensarci bene, poi, al momento del rinnovo rinunciando al genio tedesco, ecco la reazione: sì, bravino, ma soltanto al primo anno, poi ... Chiodi per una bara da portar via quando e se si tornerà a giocare davanti alla gente. Certo che le porte chiuse fanno tristezza, le partite sembrano soltanto lavoro a cottimo con bestemmie da porto di mare per certi rigori.

Mentre il volontario appicca il fuoco alla cattedrale di Nantes, noi ci barrichiamo avendo nelle orecchie il canto libero dei due giganti del volley. Zorzi, artista e fiero ex pallavolista che non sopportava più di perdere, dovevamo scrivere un libro con lui e ci diede buca dopo una sconfitta con Treviso. Seguendo Velasco che ci consola, ci sprona, come faceva da grande allenatore per la squadra del secolo, chiarendo che altrove non è che tutto vada così bene, come vi direbbero in tanti Paesi disperati come e più di noi che godiamo affidandoci all’incompetenza, cerchiamo briciole di basket perduto.

Affranti se a Milano, regno Armani, alberi del pane e dell’oro oltre che dell’arte, Messina si mette a litigare con chi lo critica perché allenando in Sardegna Datome e Moraschini portava i pantaloncini del CSKA. Bisogna fare i conti con quelli che neppure Cimbrico riuscirebbe a convertire e ci auguriamo che la reazione messiniana sia stata soltanto un modo per aggiungere qualcosa alle brevi sulla palla al cesto. Un mondo che si muove felpato, dove la fede è superiore alla speranza.

Certo ogni tanto un messaggio in bottiglia dai naufraghi ci dà speranza. Sacripanti a Napoli, Boniciolli a Udine, Trento e la sua saggezza, la Bragaglia per Brescia e il circolo legaioli, la costruzione di squadre con un filo logico, anche se gli ammutinati incerti che non ci fanno ancora capire se il prossimo campionato sarà a 16 o 14 squadre. Insomma vorremmo avere la fede di Brugnaro e di Sardara, il cuore di Ario Costa, un ministero dell’immaginario che potesse obbligare i comuni a cambiare l’impiantistica sportiva di città piene di buche morali. Stufi, come dice sempre Velasco, di sentire chi si lamenta su quello che non si può fare e non si muove per quello che realmente si potrebbe fare.

 

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