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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / CIO: obbedienza cieca e silente

Lunedì 29 Giugno 2020

cio-museo 

 

Quel silenzio d’oro, d’argento e di bronzo può avere i mesi contati. Qualcosa si sta muovendo, molti non vogliono più star zitti o inerti come manichini. E ora devono affrontare “tutti gli uomini del re”, quelli di Losanna.  

Giorgio Cimbrico

Chi comandava e chi comanda non ha mai badato per il sottile: Giochi di Garmisch e di Berlino inaugurati da Adolf Hitler; Olimpiade di Messico aperta da Gustavo Diaz Ordaz che pochi giorni prima aveva fatto sparare sugli studenti e sulla povera gente radunata in piazza delle Tre Culture; elevazione al ruolo di membro del CIO di personaggi di non specchiata virtù (politica e finanziaria), una lunga presidenza affidata ad Avery Brundage che ne ha combinate così tante da obbligare a un rapido riassunto: è all’origine dell’esclusione di Glickman e Stoller, ebrei, dalla 4x100 USA di Berlino; al ritorno in patria pronuncia un discorso di plauso al regime nazionalsocialista.

Nel ’72 si rammarica dell’esclusione della Rhodesia, dove vigeva un’apartheid ancora più dura di quella sudafricana; dopo l’orrore del Villaggio Olimpico di Monaco di Baviera e dell’aeroporto di Furstenfeldbruck decide che i Giochi devono andare avanti; e, essendo lui molto ricco, attacca ferocemente chi con lo sport vorrebbe rimediare qualche quattrino.

Tra i tanti ideali propugnati dal CIO c’è anche l’obbedienza cieca e silente di tutti quelli che hanno l’onore di partecipare ai Giochi e così, dopo più di mezzo secolo, a Tommie Smith e a John Carlos va riconosciuto il coraggio di quel gesto. Sapevano di rischiare, rischiarono, pagarono. L’articolo 50 proibisce gesti politici, religiosi, razziali in tutti i luoghi olimpici. A Pechino, nel 2008, venne ipocritamente allestita un’area, lontana dagli impianti e dal Villaggio, in cui era possibile manifestare per il Tibet, che dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale venne occupato con brutalità dalla Cina comunista.

Il mese scorso, prima dell’ondata di proteste seguite alla morte di George Floyd, l’associazione che governa i Giochi del Commonwealth ha annunciato che nel 2022, a Birmingham, gli atleti potranno esprimere le proprie opinioni senza incorrere in sanzioni, allontanamenti, cacciate da un presunto Eden.

E’ stato il primo squarcio, in questa rigida cortina di intolleranza, che, insieme a tutto quello che sta succedendo nel mondo, ha indotto il comitato degli atleti olimpici e paralimpici americani a chiedere l’abolizione dell’articolo 50. Tra i firmatari, non c’era da dubitarne, un vivacissimo 75enne: John Carlos.

Chiedono che il CIO e il Comitato internazionale per lo Sport Paralimpico non punisca chi manifesta le proprie idee seguendo le orme di Smith e di Carlos (e del povero Norman, che li appoggiò). Vogliono libertà di espressione, intendono creare una struttura che porti gli atleti di tutto il mondo ad esprimersi sui diritti umani che sono molto diversi in Svizzera o in Malawi, in Danimarca o nel Myanmar.

Thomas Bach, detto – come Quinto Fabio Massimo – il Temporeggiatore (sul rinvio di Tokyo voleva temporeggiare anche in piena, violentissima pandemia), ha risposto che qualcosa si può rivedere e che certo si può dialogare perché “gli atleti possano esprimere il loro supporto ai principi della Carta Olimpica”. Pugni chiusi, bocche aperte e ginocchia piegate saranno ammessi?

 

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