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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / La vita, se vogliamo, e' tutta un caso

Sabato 27 Giugno 2020


stahl


La cronaca non consente di annoiarci: oggi giorno, diceva un vecchio adagio, ha la sua pena. Noi, ben più allenati, non facciamo che rimbalzare da un avvenimento all’altro. Ben attenti a non approfondire.


Giorgio Cimbrico

Il caso Totti. Alcuni organi di informazione, quelli che vengono chiamati e pronunciati midia, hanno dato spazio allo smarrimento del Rolex Daytona di Francesco Totti che ha chiesto aiuto rendendo pubblico un numero di cellulare (di solito questi numeri sono più segreti del piano Overlord) e promettendo un incontro - in presenza si direbbe oggi – con chi abbia la ventura di rintracciare l’orologio. A questo punto si apre un dibattito: anche l’anziana signora che abbia smarrito l’amato gattino o il novello Werther privato dell’amore e della speranza o chi, a suo dire, si sia stato defraudato dell’onore può chiedere spazi nell’arena sempre più vasta e sempre più vana che ci circonda, confidando in una restituzione. La terza categoria, a dire il vero, è già piuttosto attiva.

In un vecchio racconto – “Effetto Larsen” – l’approssimarsi di una nube tossica che avrebbe portato all’annientamento della razza umana, portò a una serie di singolari eventi: il presidente degli Stati Uniti lasciò, per quelle poche ore che rimanevano, il posto nella Sala Ovale al suo vice e Tiffany vendette per cinquanta centesimi a un ragazzino un collier da 200.000 dollari. Passata la nube senza effetti catastrofici – la terra era già abbastanza avvelenata per risentire di quella minaccia – nessuno sentì il bisogno di restituire quello che aveva avuto dalla sorte. Chi trova serba, dice un vecchio proverbio.

Il caso atletica. Devo dire che essendo della vecchia scuola, sono un po’ stufo delle gare virtuali, a distanza, etc etc. Lo spirito mi si è risollevato grazie a un gruppetto di titani che hanno rispolverato un’etichetta della mia adolescenza: “un disco per l’estate”. Il giamaicano Fedrick Dacres quasi 70 metri, lo svedese Daniel Stahl più di 70 (e il numero due di Svezia, Pettersson, oltre i 67), l’austriaco Lukas Weisshaidingerr vicino ai 69 (e un nullo a un soffio dai 70), il nuovo sloveno Kristian Ceh (miglior risultato della storia per un under 23, strappato a Wolfgang Schimdt) anche lui nei pressi dei 69. Grazie a loro le magre graduatorie dell’annus horribilis , registrano un’impennata degna di una giornata vivace a Wall Street. Credo di aver usato il termine titani a proposito: Ceh è alto 2,06, Stahl 2,05 e a occhio la scheda deve dire la verità sul suo peso: 155 chili (la trippa c’è e si vede), Weisshaidinger è 1,96x136 e il cucciolo della compagni è Dacres, 1,94 per 115. Un Bolt con qualche chilo in più.

Il caso Coleman. Bella frase di lord Sebastian Coe: “Non è necessario avere una laurea in logistica a Cambridge per organizzarsi”. Senza mai nominarlo, Il presidente di WA (IAAF era meglio, pazienza …) liscia il pelo a Christian Coleman che, dopo il terzo controllo saltato in meno di dodici mesi e la sospensione, ha definito eccessiva una squalifica di due anni e ha fatto capire che un accordo, chissà … “Sarei sorpreso se qualcuno pensasse alla possibilità di accordi in casi del genere. Non è quello che l’Athletics Integrity Unit persegue. Gli atleti devono dare reperibilità un’ora al giorno: non capisco dove sia il problema”, ha detto Coe. Non esiste solo l’affaire Coleman, salvato prima di Doha da un cavillo che ha retrodatato uno degli “appuntamenti” mancati: un’altra laureata di Doha (Salwa Eid Naser, terza di tutti i tempi sui 400) di controlli ne ha evitati quattro, tre prima dei Mondiali ai quali è stata ammessa. Commento della bahreniana: “Può capitare a chiunque”. Per Tokyo 2021 vedo male l’uno e l’altra.

Il caso scuola. Il turbine tecnologico ha impoverito il linguaggio. Sennò non si spiega come qualcuno si serva di forme che provocavano il riso quarant’anni fa: “la campanella suonerà il 14 settembre” equivale alla “bianca messaggera dell’inverno”, a “l’ultimo tram”, ai “lavoratori che hanno incrociato le braccia”, a “l’autorevole Times”. Non mi addentro di più sulla scuola che, facendo rapidi conti, ha osservato e osserverà 150 giorni abbondanti di chiusura. Il futuro, dice una graziosa signora, è nei gazebo, nei musei, nei luoghi altri.

Posso fornire una personale testimonianza: ho frequentato la quarta e la quinta ginnasio in due distinti abbaini di vecchie ville che nel tardo Seicento erano state costruite quando Sampierdarena era luogo di villeggiatura delle facoltose famiglie genovesi che prestavano denaro a mezzo mondo, segnatamente al re di Spagna. Le classi erano composte da 32, 34 allievi. Due dei miei compagni di allora sono diventati docenti universitari di storia moderna, uno ha insegnato lingua e letteratura italiana in diverse sedi americane, una quarta è stata a lungo direttrice di una delle maggiori biblioteche cittadine. Per fortuna non c’era la pandemia: in quei sottotetti, con distanziamento attorno al palmo. saremmo finiti male.

Il caso Ustica. Il presidente della repubblica ha detto che continua la ricerca della verità. Ne sono compiaciuto e il mio ottimismo cresce. Quando è successo, avevo 29 anni. Ora ne ho 69. Non ci resta rifugiarci in Buddha, Marco Aurelio, Montaigne. O, meglio, in una rassegna di film di Alberto Sordi.
 

 

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