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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / “Se alla Francia si toglie Parigi …”

Lunedì 22 Giugno 2020


arras


"Ricordi del tempo in cui scannarsi era un piacere, di zone d'ombra in cui è agevole entrare in un mondo fatato e sotterraneo con l'aiuto di Puck o di un  coniglio eternamente trafelato".


Giorgio Cimbrico

Corrado Augias, sull’ultimo Robinson: “Se alla Francia si toglie Parigi e all’Inghilterra Londra non resta granché, ma se si toglie Roma, all’Italia resta un mondo”. L’ho letta qualche ora fa e sono preda di quel disturbo che si può liquidare come un peso sullo stomaco (o sull’anima), o di quell’irritazione sorda che porta a dire cose spiacevoli, cattive, specie sul conto di una persona saggia, equilibrata, di vasta esperienza e di altrettanta cultura. Potrei dire ad Augias che tutti i borghi umbri che vengono citati sono magnifici – beati quelli che hanno avuto la previdenza e i fondi per acquistare un alloggio – ma che non lontano da lì, viaggiando in treno o in auto da Firenze a Roma, i segni della devastazione sono evidenti, tanti come i capannoni eretti e abbandonati o le violente mutazioni dovute alla costruzione della linea ad alta velocità. L’elenco può continuare, naturalmente.

Si sono ormai affermate certe spicce formule che hanno sempre navigato sulle creste di un certo orgoglio nazionale: “Bella come l’Italia non c’è niente”, “Bene come in Italia non si mangia da nessuna parte”. Specie sotto il profilo della gastronomia si può anche andar oltre: “Come si mangia male in Francia”, “E in Inghilterra, brrr …”. Non è raro scoprire che i defensor più strenui della cucina italica non si sono spinti più in là di una Nizza estiva o invasa o che in una rapida visita londinese si sono rifugiati, ahi loro, in uno di quei “ristoranti italiani” sempre accuratamente evitati in 45 anni di personale frequentazione. Ma credo di aver dedicato anche troppo spazio al cibo.

Il fascino della lista sedusse Umberto Eco e io, in una scala così ridotta da obbligare all’uso di un potente microscopio per rilevarne la presenza, intendo segnalare una delle tante cittadine che si stringono attorno a una meravigliosa cattedrale e la prima che mi viene in mente è Laon, nell’Aisne, e, subito dopo, i borghi dell’Alsazia (Riquewihr, ad esempio, o Colmar, dove è possibile ammirare il drammatico capolavoro di Matthias Grunewald) e la costa bretone o quella normanna, mai sottoposta a scempio: visitare le spiagge dello sbarco è scivolare in una macchina del tempo. Non ho citato i castelli della Loira, un po’ troppo frequentati, ma potrei citare il cuore dell’Alvernia o la fascia pirenaica che va dalla mediterranea Beziers all’atlantica Biarritz o la magnifica piazza di Arras, luogo natale dell’avvocato Robespierre.

Di là del Canale, una vacanza di un paio di settimane può essere appena sufficiente per visitare le contee a sud, sudest di Londra: i luoghi della prima e unica invasione riuscita (William il Conquistatore, 1066), di Turner, di magnifiche residenze di campagna (e Turner ritorna, accanto ad immancabili van Dijck e Canaletto e a statuaria romana, frutto non di saccheggi ma di acquisti durante i Gran Tour del Settecento), di ricordi del tempo in cui scannarsi era un piacere, di zone d’ombra in cui è agevole entrare in un mondo fatato o sotterraneo con l’aiuto di Puck o di un coniglio eternamente trafelato. E questo non è che un angolo del sudest.

Con una rapida puntata verso la metropoli, ma restando lontano dalla pazza folla, vorrei aggiungere la breve cronaca della mia visita, tre anni fa, a Kenwood House, quartiere collinare di Hampstead, dove è conservata, oltre un magnifico autoritratto di Rembrandt, la “Ragazza con la chitarra” di Vermeer. Una delle gentilissime custodi, curiosamente innamorate del proprio lavoro, volle sapere cosa ne pensassi e io le confessai che, a parte quello rubato alla Gardner Collection di Boston, a quello della collezione principesca di Braunschweig (Brunswick, quando gli Hannover presero il potere in Inghilterra) e, ancora, quello acquistato da Henry Frick per la sua residenza newyorkese, tutto il resto dello scarno lascito del pittore di Delft era passato al modesto esame dei miei occhi. La signora, dipendente del National Trust, ebbe un moto di eccitazione e comunicò la notizia alle colleghe. La mia metamorfosi in illustre visitatore fu immediata.

 

 

 

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