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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Nel bel paese degli Stati Generali ...

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Giovedì 11 Giugno 2020


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“... e dei navigator, degli influencer, degli youtuber. Di quelli che mettono i dischi in discoteca, di quelli che rifiutano la fabbrica, il laboratorio artigiano, l'ambulatorio o il negozio: di quelli che scelgono il bancone dell'aperitivo”.

Andrea Bosco

Si è sempre detto che il calcio italiano è lo specchio del Paese. Mai come in questi giorni l'affermazione appare consona. Risparmio le litanie sul governo e sul capo della comunicazione del presidente del Consiglio: tale Rocco Casalino, ex concorrente del Grande Fratello che si è inventato gli Stati Generali. Quelli che portarono il re di Francia da Versailles alla Rivoluzione e subito dopo alla ghigliottina. Dicono che (nonostante le sferruzzatrici da tempo lavorino sotto al palco), il collo di Giuseppi si salverà. Al massimo farà un suo partito, che oggi, secondo i sondaggisti varrebbe il 14 e mezzo per cento. Miracoli dell'apparire: stai fisso in televisione a discettare del Dialogo dei Massimi Sistemi e diventi uno di famiglia.

Del resto, come vengono realizzati i sondaggi? Con il medesimo pubblico che segue i Fratelli, le Isole, gli Amici, gli Uomini e le Donne, quelli che Valgono e le Madri Natura. Una “gnocca” di Bonolis, potrebbe mandare in tilt le certezze di Piepoli e soci.

Stati Generali: la task force di Colao ha prodotto 125 pagine con un centinaio di suggerimenti. Sapete di quante pagine è composto il similare documento tedesco? Venticinque (25!). Ma quelli sono luterani. E Lutero come ha scritto Cimbricus sarà stato anche un voltagabbana, ma quando le inchiodò sul portone le sue riflessioni erano poche. E soprattutto comprensibili. Quelli sono luterani: se dicono che faranno lo faranno. Da noi, Mes e Bond Europei sono visti come il tesoro di Ali Baba: con i Quaranta (quaranta?: salga ragioniere, salga) Ladroni pronti al saccheggio.

Questo è il paese dei navigator, degli influencer, degli youtuber. Di quelli che per vivere mettono i dischi in discoteca, di quelle che ballano sul cubo, delle modelle copertina, di quelli che rifiutando la fabbrica, il laboratorio artigiano, lo studio di un avvocato o di un commercialista, l'ambulatorio o il negozio, hanno scelto il bancone dell'aperitivo. Una volta, almeno, eravamo solo noi che spiegavamo del nostro mestiere: “sempre meglio che lavorare”.

Questo è il paese dell'immagine dove ai politologi, nel tempo, si sono alternati gli stilisti e a loro gli chef. Che se li chiami “cuochi” ti sputano in un occhio sibilandoti che stanno “muorendo”. Oggi è il momento dei virologi. Oggi paghiamo tutto. Tutto quanto in passato abbiamo concesso, girando la testa, perché era più comodo. Abbiamo tollerato le metropoli da “bere”, gli inutili e dispendiosi “piani per il Sud” (dai tempi di Salvemini la questione è sempre quella: Meridionale), i mafiosi e i camorristi collocati (per legge) al Nord (con la conseguenza che ora anche in Trentino la 'ndragheta fa carne di porco del territorio) con una magistratura di cui si fida ormai solo il 27% degli italiani e che una nota giornalista ha definito (nelle sue malavitose correnti) “cloaca”. Con una costituzione “intangibile” che fa acqua da tutte le parti. E con un calamaro gigante che ha avvolto il paese con i suoi tentacoli peggio che le mafie: la burocrazia.

Caro Colao che da Londra è venuto fin da noi a lavorare, cosa si è messo in testa? Di dare indicazioni? Di spiegare cosa sarebbe indispensabile fare? Di ipotizzare “tagli” alla spesa pubblica, alle migliaia di “partecipate” (che pesano come voti di scambio), ai consigli di amministrazione che a livello nazionale, regionale e locale si riuniscono due volte l'anno, ma “mangiano” con pantagruelica voracità? Ma come osa, lei, Colao? Torni a Londra, che adesso ci pensiamo noi. Con gli Stati Generali, poi con i vertici di maggioranza, poi con la discussione parlamentare e poi con il solito decreto che da tempo sta barbarizzando la Costituzione nel silenzio (impotente?) del Capo dello Stato.

Detto tra noi i giudici hanno spiegato al ministro Bonafede che lui “non è nessuno”. Alla Alberto Sordi. Decreto d'urgenza per rimandare in carcere i mafiosi dopo la “grezza” dei domiciliari? Come ti permetti, ministro? L'indipendenza della magistratura: tu la calpesti. Noi giudici abbiamo deciso che i mafiosi andavano messi ai domiciliari e quindi facciamo ricorso. Magistrati che fanno ricorso contro il ministro della giustizia? Non siamo nella trasmissione di Maurizio Crozza: Kaggenger non c'entra. E' accaduto.

Dell'avvocato del popolo non mi fido. Sono convinto che un'auto comprata da lui mi lascerebbe per strada. Ma gli altri? Avevo una simpatia (benché non abbia mai votato per il suo partito) per Pierluigi Bersani. Ma dopo averlo sentito dire che “se avesse governato il centrodestra non sarebbero bastati i cimiteri” mi sono detto che l'ideologia è una incurabile malattia che ti porta a straparlare. Chissà cosa ne pensa quel Giaguaro, che Bersani voleva “smacchiare” e che ora con Bersani vorrebbe dialogare. Da quelle parti non se lo fumano ma il Felino (con le natiche contemporaneamente su due “tane”) sogna di tornare “ago della bilancia”. Da mesi non compare, ma parla e scrive. Mi hanno spiegato che sta cavalcando la sindrome Battisti-Mina: scomparire per produrre l'effetto attesa. E in attesa di rivederlo “ruggire” i sondaggi (suoi) rivelano che sarebbe lui l'ago del centrodestra. Come noto, in certe aziende non serve avere il 50% delle azioni per “governare”. Ora: il 7 è poco. Ma con l'11/12 puoi fare la voce grossa.

Italia fotocopia, ormai, delle “Istruzioni alla servitù” di Jonathan Swift. Sì: l'irlandese dei Viaggi di Gulliver. Scrive, ad esempio, nei “Precetti” che riguardano i servi in generale: “Quando hai fatto un danno, sii sempre spavaldo e insolente e comportati come fossi tu il danneggiato. [...] Se vedi il tuo padrone danneggiato da qualcuno dei tuoi colleghi, tienilo ben nascosto, per non farti la fama di spia. […] Cuoca, maggiordomo, stalliere, chi fa le compere al mercato: si comportino come se l'intero patrimonio del padrone fosse destinato alla particolare attività di quel servitore. […] Non prestarti mai a muovere un dito fuorché per lo specifico lavoro per cui sei stato assunto. [...] L'amministratore di lord Peterborough, che gli demoliva la casa, si vendeva il materiale e gli addebitava le riparazioni. Prendere denaro dagli inquilini per non esigere i pagamenti. Rinnovare i contratti d'affitto e guadagnarci sopra e vendere la legna. Imprestare al padrone il suo stesso denaro”. Centosei (106) paginette concepite (forse) nel 1704 e pubblicate a Dublino ventotto anni più tardi.

Siamo in Irlanda ma c'è qualche cosa di famigliarmente italico. Di primo acchito pensi a Plauto, a Goldoni e ai loro servi truffaldini. Ma poi pagina dopo pagina ecco apparire Guicciardini e Machiavelli: il genio irlandese era “uno di noi”. Sfrontatamente italiano. Se volete: Piccola Biblioteca Adelphi nella traduzione di Lodovico Terzi. Imperdibile.

Decisamente “perdibile” viceversa quanto successo in FIGC: 18 a 3 per Gabriele Gravina. Il calcio, come noto, ad ore ripartirà. Nel segno della soperchieria. Regole cambiate in corsa, in barba all'etica sportiva. Si giocherà con le sagome al posto del pubblico, con ritmi e contatti da “scapoli-ammogliati”, con un protocollo sanitario ancora ambiguo, con play off da disputare a quattro (ma in caso di pareggio non si va a rigori e vince che gioca in casa) e con l'algoritmo più osceno mai, da mente umana, concepito. Ho provato la volta scorsa a spiegarlo: rinuncio. E' stato peggiorato. Basti dire che se uno è primo con un punto di vantaggio sulla seconda all'ultima di campionato, lo scudetto non viene egualmente assegnato. Tutte le restanti posizioni sì: non il titolo.

Che neppure è stato attribuito nel calcio femminile. Campionato sospeso: ragazze trattate come pezze da piedi. Dice che non tutte le società avevano le risorse per rispettare il protocollo. Beh: sarebbe bastato uno stanziamento straordinario. Mancavano solo sei gare al termine della stagione. La verità è un'altra: le ragazze avevano avuto le “palle” di rifiutare i play off. Tutte in campo, la richiesta. Le ragazze sono brave e solidali tra di loro. Hanno alzato la testa? Punite. In FIGC sono vendicativi. Già dimenticate le fanfare del Mondiale, già dimenticate le emozioni di un torneo che aveva fatto diventare “adulte” le calciatrici italiane, portandole all'audacia di chiedere di essere sciolte dai “remi” e di poter ottenere il “professionismo”. Già dimenticata Fiorella Mannoia e il suo “Io non ho paura”. Dovevate averne, ragazze: dovevate avere paura di Gravina e dei suoi sodali. A parole intortano il mondo, ma quando si tratta dei fatti: algoritmo.

E vai con le decisioni a “tavolino”. Là dove la FIGC, storicamente, esprime il meglio di sé. La FIGC è da riformare. Il calcio italiano è da riformare. Non aspettatevi lo faccia Gravina. Ha fino alla fine del 2021 “poteri straordinari”: farà, come ha fatto finora, l'accidente che gli pare. Ha i voti: i 6 dei Dilettanti, i 4 dei Giocatori, i 3 della Lega Pro, i 2 del vertice (“leninista” per sua stessa affermazione) degli allenatori. E poi il voto degli arbitri, quello della serie B. Persino Gravina ha a disposizione un voto. Poi nel 2021 ci saranno le elezioni: è già noto chi vincerà.

L'elezione del presidente della FIGC è, dal 2006, una barzelletta che non fa più ridere. La Lega di Serie A una mucca che la FIGC munge con 150 milioni annui di mutualità all'intero movimento. Ma che conta zero: in Federazione dispone di tre voti. Tra l'altro inquinati da chi, in evidente conflitto d'interessi, possiede contemporaneamente società di Serie A e di Serie B. Al momento del voto, se va bene, si astiene. Perché nessuno può chiedere ad un cristiano di votare contro se stesso. Specie se (tra l'altro) il “cristiano” è il candidato in pectore di una coalizione politica per la poltrona di sindaco di un “borgo”. Celebre per siti archeologici, scandali, faccendieri, furbetti dei quartierini, uomini che “sussurrano” ai potenti, labari ed antagonisti. E soprattutto: voragini nelle strade.

Silente Giovanni Malagò (ma non spetterebbe al CONI “vigilare sul regolare svolgimento delle competizioni sportive nazionali”?), il calcio italiano resta in coma vigile. Con una governance dispotica, con i conti in rosso e molti libri contabili prossimi al tribunale.

C' è una sola cosa che la Lega di Serie A può fare per sottrarsi alla dittatura di Gravina: sbattere i pugni sul tavolino della FIGC, pretendendo l'intervento riformatore del legislatore. Una Lega di Serie A che si stacchi dalla Federazione e dai suoi gattopardi. Una Lega – azienda che sia autonoma – che versi una cospicua mutualità al resto del calcio. Ma che pretenda che del calcio-sociale dei dilettanti si occupi lo Stato. Autonomia: con poche carte. Ma certe. Meglio il modello NBA per cautelarsi. Perché l'Italia è il paese di Swift. Quello delle “Istruzioni ai TAR”. Dove come Penelope, disfano di notte qualsiasi tela, per quanto robusta, sia stata confezionata di giorno. Il legislatore non interverrà? Ociooo, dicono nella mia laguna. Perché potrebbe arrivare, prima di quanto non sia stato detto, la Superlega. Dove non ti permettono di perdere tempo (per salvare il risultato), chiedendo ai raccattapalle di buttare in campo più palloni contemporaneamente. Quelli così, proprio non li vogliono.

Marco Tardelli, candidato in Associazione Calciatori, alla poltrona di Tentenna Tommasi ha tuonato: “Calcio da rifare”. Ok, Schizzo: basta non dimenticarsi di queste parole una volta seduti sul seggiolone. Marco Urlo di Munch ha spiegato che si impegnerà allo spasimo per far ottenere il professionismo alle ragazze. Alle quali dico: se vi capiterà di vincere qualche cosa di importante (e capiterà perché siete brave) non stringete la mano che Gravina vi porgerà: è una mano con gli indelebili detriti dell’opportunismo.



 

 

 

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