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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Una bugia? Solo la verita' in maschera

Mercoledì 27 Maggio 2020

 

orlando

 

Gli effetti dell'intolleranza ai divieti saranno verificati tra qualche tempo. Magari la stampa italiana potrebbe fare quanto ha fatto il New York Times: la prima pagina con migliaia di nomi e cognomi. Quelli dei morti.


Andrea Bosco

Supercazzola: era inevitabile. Il senatore di Scandicci il film “Amici miei” lo conosce a menadito. Quindi dopo aver dato “la fiducia, ma ...” a Bonafede, salvando la testa del barbuto ministro ecco il nuovo exploit sulla vicenda di Matteo Salvini (richiesta di processo per il “sequestro” di una nave imbarca-migranti, raccolti in mare dal solito gommone sgonfiato). Come se fosse antani: con scappellamento a destra. La giunta per le autorizzazioni a procedere non ha (a maggioranza) autorizzato. A Scandicci si sono astenuti. La palla passa al Senato. Salvini, visto che le accuse mosse dai magistrati siciliani sono gravi (e che se confermate potrebbero costargli fino a 15 anni di galera) meriterebbe un processo giusto.

Oggi, in Italia, è possibile averlo? La giustizia, in Italia (da quella penale a quella civile, fino alla giustizia sportiva), è da riformare. Un magistrato, Luca Palamara (attualmente indagato per corruzione) ex vertice della Anm (Associazione Nazionale Magistrati) ha definito in una intercettazione Salvini “una m ...”. Invitando un collega dubbioso “a dargli addosso” (a Salvini, dico) anche senza elementi validi per farlo.

Le intercettazioni hanno fatto emergere anche i legami di alcuni giornalisti con la magistratura. I giornalisti non dovrebbero essere i megafoni delle procure. I magistrati dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto. Ma troppi fanno politica: sono ideologicamente schierati. E disponibili, per la carriera, a sbranarsi. Salvini ha esternato timori al Presidente della Repubblica.

Anni fa un altro presidente della Repubblica, il “picconatore” Francesco Cossiga definì l'Anm: “Una associazione a delinquere”. Nello studio televisivo nel quale arrivò la telefonata era presente Luca Palamara. Il quale si è scusato con Salvini con un “cinguettio”.

C'è la corrente di “Magistratura Democratica” e quella di “Magistratura Indipendente”. L'ossimoro non deve far parte della cultura dei magistrati. I vertici dell’Anm si sono dimessi (questione di poltrone) dopo il tornado che ha investito l'associazione. Ora la magistratura vorrebbe riformare se stessa. Guardate attentamente alcuni “profili”. E ditemi se Lombroso non ci aveva “preso”.

Berlusconi da sempre si proclama vittima di un accanimento giudiziario. Ora Berlusconi non è Biancaneve. Ma che qualche magistrato abbia tentato di impossessarsi del suo scalpo è innegabile. Luigi de Magistris, ex magistrato, oggi sindaco di Napoli, a Non è l'Arena ha raccontato: “Fino a quando attaccavo il Cavaliere andava tutto bene. Quando ho indagato sulla sinistra sono stato impallinato”. Bingo.

Parliamo ancora di politica? Del governo che vorrebbe statalizzare aziende come l'ex Ilva di Taranto, quella (autostrade e dintorni) dei Benetton, magari quella sanguisuga nota come Alitalia? Vogliono una nuova Iri? Consultino il professor Romano Prodi: in materia, in Italia, è il più competente.

La sapete l'ultima? Dalla prossima stagione a scuola spariranno i voti. Verranno sostituiti dai pareri. I numeri non si prestano ad interpretazioni: i pareri sono una fucina di “interpretazioni”. Chissà come faranno durante l'ora di aritmetica: 7x4? Diciamo che fa più di venti e meno di trenta.  

Beppe Sala che fa proclami, minacciando come un miles plautino sanzioni e “chiusure” contro la movida, dopo che i trincatori avevano invaso (e dove se no?) i Navigli, Brera, Corso Como, l'Arco della Pace, Piazza Gae Aulenti, fa sorridere. La chiamano “voglia di socialità”. E prende giovani e “diversamente giovani” con l'età del dattero. Gli effetti dell'intolleranza ai divieti saranno verificati tra qualche tempo. Magari, nel frattempo, la stampa italiana potrebbe fare quanto ha fatto il New York Times: la prima pagina con migliaia di nomi e cognomi. Quelli dei morti. Persone: non numeri. Persone: cari figli, nipoti, mamme, papà, zii, nonni che “non ne potete più di stare a casa”.

Dice che “er virus sta ad arretrà”: impagabile Lotito. La ronfante Procura Federale ha aperto un fascicolo (a un mese di distanza) per le dichiarazioni del patron della Lazio, relative a Juventus-Inter. L'assunto è da Magritte: Juve-Inter può essere mai stata “addomesticata”? Va bene tutto: ma una Inter (allenata da Antonio Conte e diretta da Beppe Marotta, tra l'altro) che si flette alla Juve di Agnelli è cosa da tela surrealista. Da donna con baffi e battacchio di Salvator Dalì. Su Lotito, comunque, grandina. Altro giro: le “Iene” avrebbero scoperto che il sor Claudio, il bizzoso argentino Zarate lo pagava in “nero”. Tutto, ovviamente, da accertare: la Procura Federale ha avuto un sussulto e ha aperto un faldone. Un fremito lo ha avuto anche Lotito che ha querelato la rosea.

Parliamo di vero sport. E di Federico Berni del Corriere della Sera “che ha splendidamente raccontato la storia di Alberto Pollini, medico brianzolo, ucciso dal Covid-19 a soli 54 anni. Era conosciuto, Pollini, per il suo impegno nel basket. Tifoso dell'Olimpia era andato volontario all'Ospedale di Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo. Il “dottor basket” che ha lasciato una moglie e sei figli. Di una Sara (che oggi ha 25 anni) fu anche allenatore nella Polisportiva Veranese. Cinque dei suoi figli (tre femmine e due maschi) hanno indossato la maglia del Costamasnaga in provincia di Lecco, realtà vincente nella pallacanestro giovanile. La sesta figlia, Sofia, ha solo cinque anni: immagino che la mamma e i fratelli, indirizzeranno anche lei verso quella canottiera.

A proposito di racconti: vi giro questo.

Come sapete l'NBA finirà la stagione ad Orlando nel complesso Disney World. Dove per il giorno dell'inaugurazione mi inviò il Tg2. Rammento che iniziai il dossier con canoniche immagini locali. E con un bimbetto afroamericano che, sceso da un autobus, pompava un pallone da basket sull'asfalto incurante della pioggia che lo bagnava. Il collega operatore che era venuto con me era un mago delle immagini: quel bambino con la pioggia sul viso e con il suo pallone nel palmo, nella sequenza montata al rallentatore, divenne una impareggiabile clip. Ad Orlando c'erano autentiche meraviglie. Tra le altre un futuristico robot- taglia-erba alimentato ad energia solare. Il parco era immenso.

In uno stand conosco una bella hostess franco-canadese. Io parlo così-così l'inglese ma lei è di lingua madre francese e ci capiamo. Accetta l'invito di vederci la sera in città. A diversi chilometri dal parco Disney dove con la mia troupe, alloggio. Morale: alle 19,15 mi infilo in un taxi. Ho l'indirizzo del ristorante dove la signorina mi ha dato appuntamento. Percorsi un paio di chilometri si scatena un nubifragio. Pioggia così fitta che il tassista deve fermare l'auto. Io brutalizzo l'inglese, ma il driver lo conosce meno di me. E' un immigrato pakistano e viene da un remoto villaggio del suo paese. Dove abbondano le capre ma il televisore è una rarità. E' negli States solo da due mesi. E' giovane e ha una faccia simpatica. Gli dico che ho un appuntamento. E che sono maledettamente in ritardo, visto che da mezz'ora non schiodiamo da dove ci siamo fermati. Lui annuisce ma restiamo fermi. Dopo 50 minuti la pioggia se ne va: di botto. Il driver è simpatico ma non c'è verso di farlo accelerare. Lo capisco: la polizia negli States non perdona se superi il limite di velocità.

Arriviamo in città. Il pakistano, che si chiama Raza, si ferma tre volte a chiedere indicazioni. Finalmente, eccoci: con 70 minuti di ritardo siamo davanti al “Cafè de France”. Chissà se esiste ancora. La franco-canadese, che si chiama Josienne, è incredibilmente ancora lì: un metro oltre la porta. Dico in italiano a Raza: “è lei”. Lui mette le mani a uovo per indicarmi che Josienne ha un bel “personale”. Scendo dal taxi e scende anche lui. Gli pago la corsa e aggiungo una mancia. Mi abbraccia e dice una cosa in pakistano che secondo me deve essere stata “Dio ti benedica”. Poi mi allunga il foglietto che gli avevo dato con l'indirizzo del ristorante. Lo metto meccanicamente in tasca. Entro nel locale e mi scuso con Josienne. Lei sorride e dice: “Ho immaginato, con quel diluvio". Ci sediamo ad un tavolo e ordiniamo. Il resto è personale. Solo tre giorni dopo, alla partenza, in aeroporto, ritrovo il foglietto che avevo messo in tasca la sera del diluvio. Sul retro, il driver pakistano aveva scritto. “Raza = hope". Il mio collega l'inglese lo maneggia bene. “Significa speranza: ma anche attesa", dice. Io rido. Lui mi guarda con aria interrogativa. “E' una lunga storia" gli dico.

Fino ad oggi non l'avevo mai raccontata. Sarà (mi sarà) davvero accaduta? Il fatto è che io sono come Holden Caufield: dico bugie. Spiegava Byron: “Una bugia? Solo la verità in maschera". Quindi: decidete voi. Ma confermo che ad Orlando una Josienne l'ho conosciuta: bella, bionda e franco-canadese ...  

 

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