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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La realta' che rifiutiamo di vedere

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Domenica 20 Aprile 2020

 

LONDRA-3-resize 


Proporre qualcosa di dimesso, provando ad evitare quel che è costato caro ad Atene 2004, il gigantismo di regime di Pechino 2008, l’aria trionfante di Londra 2012, i Giochi appiccicati alla meglio sulla realtà problematica di Rio.

Giorgio Cimbrico

In piena emergenza coronavirus e nel giorno del “ricollocamento” dell’Olimpiade di Tokyo – giusto un anno dopo quanto programmato – Barney Ronay ha scritto sul Guardian uno di quei pezzi che una volta venivano ritagliati e chiusi i un cartellina. Oggi ci pensa la “memoria” archivistica del computer. Conservare, in ogni caso, è salvare una fetta di anima. Il tema è semplice: il Big Sport Circus ha ancora ragione di esistere dopo aver sperimentato che la sua forza, la sua potenza, la sua arroganza sono state spazzate? Dopo che le sue ardite costruzioni sono state demolite come un castello di carte?

Che l’effetto domino dei rinvii, delle cancellazioni ha causato e sta causando effetti che dureranno nel tempo? Che sui privilegi dei prim’attori hanno fatto in fretta a disegnarsi crepe diventate presto rete, come su capolavori difficili da restaurare? Che l’anagramma di Circus è Crucis?

Il Big Sport Circus è prodigo, generoso, ma può trasformarsi rapidamente in Saturno che divora i suoi figli, proprio come nelle “pinturas negras” di Goya dipinte alla Quinta del Sordo. Gli incubi, spesso, sono la realtà che ci rifiutiamo di vedere.

Membri di potenti consigli di amministrazione (uno è marchiato a fuoco con i cinque cerchi), azionisti di maggioranza, titolari di diritti costati miliardi di dollari, costruttori di un mondo dominato dallo spirito del profitto, hanno trovato sulla loro strada un quinto cavaliere, un grande contagio come in quegli Urania da 350 lire e hanno mostrato la loro debolezza, la loro fragilità, in certi casi l’ostinazione, quella che impedisce di negare il naufragio, anche quando l’acqua sale, invade la sala macchine e presto arriverà sui ponti.

Il Big Sport Circus è un Titanic speronato da un iceberg di batteri, messo in ceppi, privo del suo dinamismo frenetico, delle frontiere nuove o inventate: un’Olimpiade invernale a Pechino, perché no? Chissà se qualcuno ricorda come uscimmo dallo stadio Nido d’Uccello dopo la cerimonia d’apertura. Lessi come naselli, cotti come branzini.

L’esercizio della nostalgia è ancora consentito. Non è stato ancora messo sotto controllo, per il momento non rischia la legge marziale. Ronay parla di Londra 1948, dei Giochi austeri in una città a lungo di prima linea, di sistemazioni spartane, di letti a castello lasciati dalle truppe americane, di impianti alla buona. Letture sedimentate nel tempo raccontano di vestiti rimediati da divise o da stoffe rovesciate, di un uovo fresco visto come un piccolo miracolo, di gare memorabili interpretate da atleti all’osso: la guerra, per chi ne era uscito, era stata un esercizio morale e una dieta ferrea.

Uscire da un incubo e proporre qualcosa di dimesso, di umano, provando ad evitare quel che è costato terribilmente caro ad Atene 2004, il gigantismo di regime di Pechino 2008, l’aria trionfante, stile Rule Britannia, di Londra 2012, i Giochi appiccicati alla meglio sulla realtà problematica di Rio. Ma questi sono discorsi che odorano di utopia, come quelli che faceva Fourier: le sue sognate e gigantesche unità abitative, i falansteri, non hanno dato la felicità, l’uguaglianza. Solo degrado, una qualità di vita da slum.

E così il Big Sport Circus sta riunendo i suoi comandanti di divisione, di corpo d’armata, sta studiando un nuovo calendario, sempre più globale, incalzante: Olimpiadi tra poco più di un anno, Mondiali di atletica di Eugene spostati al 2022 (seguiti da un’altra edizione nel 2023, a Budapest), Coppa del Mondo di calcio in formato invernale in Qatar, Mondiali di rugby (che festeggerà le nozze d’argento con un sempre più smodato professionismo) nel 2023, 200° anniversario della nascita di un gioco in cui prevaleva l’entusiasmo, l’improvvisazione, gli eroici furori. E nel 2024 i Giochi di Parigi a un secolo dall’Olimpiade di Nurmi, Liddell, Abrahams, Weissmuller, del canottiere dottor Spock, di William DeHart Hubbard, il primo oro nero, dei 44 paesi, dei 3200 atleti (solo 124 erano donne), di uno sport lontano 100 anni di calendario, 100 anni luce.

Chi ha il potere, chi è seduto ai posti di comando, è sempre pronto a rilanciare. Non è ottimismo, è crudeltà.

Albert Einstein diceva: “La terza non lo so, ma la quarta guerra mondiale verrà combattuta con le pietre”. Crac, crac dicono le cornacchie che riempiono i nostri grandi silenzi.

 

 

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