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Martedì 24 Marzo 2020

 

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Una scelta obbligata e sofferta quella presa da Thomas Bach e da Abe Shinzo: i Giochi di Tokyo vengono rinviati al 2021. Mai accaduto prima. Ma anche uno tsunami per i calendari internazionali.

Gianfranco Colasante

Alla fine, gli ultimi due soldati giapponesi ancora in guerra hanno deciso di deporre le armi, convinti se non battuti dall’offensiva che pare inarrestabile del Coronavirus. Così oggi, all’ora di pranzo, il presidente del CIO Thomas Bach e il premier giapponese Abe Shinzo hanno comunicato al mondo d’aver – di comune accordo – stabilito il rinvio al 2021 dei Giochi della XXXII Olimpiade. Quanto alle date, saranno da stabilire nel dettaglio ma viene precisato che non si andrà oltre l’estate (quindi con una ragionevole possibilità di mantenere gli stessi giorni previsti per quest’anno: 24 luglio/9 agosto). Una decisione che era nell’aria e che in qualche maniera era stata adombrata già nel comunicato del CIO di due giorni fa che esaminava le diverse possibilità, “including the scenario of postponement”.

Escluso quindi l’annullamento dei Giochi (il danno economico e d’immagine sarebbe stato enorme), anche l’idea di posporli al nostro autunno, com’era stato fatto nel 1964 (10/24 ottobre), è apparsa impraticabile. Una posizione dettata dal buon senso. Soprattutto alla luce dell’impossibilità materiale di proseguire “sul campo” il processo delle qualificazioni al momento ferme al 57% del totale dopo che quasi tutti gli eventi previsti erano stati rinviati (per l’Italia sono ad oggi qualificati di diritto 208 atleti, ma molto resta da definire, specie per le due discipline più affollate, atletica e nuoto).

“Il rinvio era la scelta più opportuna per garantire sia la salute degli atleti che la sicurezza degli spettatori”, il primo commento del primo ministro Abe ai giornalisti. “Non c’era risposta diversa allo sconvolgimento causato dalla pandemia: sul rinvio ha concordato al 100% anche Bach”. Si è stabilito che resterà immutata la dizione: anche se svolti nella prima metà del 2021 continueranno a chiamarsi “Giochi Olimpici e Paralimpici di Tokyo 2020”. Quanto alla fiamma olimpica – accesa ad Olimpia con una cerimonia semi-clandestina il 12 marzo e giunta in Giappone, base militare di Matsushima, venerdì scorso – resterà accesa in attesa di tempi migliori, come “una luce di speranza per tutto il mondo in questi tempi travagliati”. Dove sarà custodita non è ancora noto così come dovranno essere ridefinite le date del percorso.

Non sappiamo quanto abbiano influito sulla decisione le posizioni di diversi comitati olimpici – Norvegia per prima, seguita da Brasile, Slovenia, Germania e delle potentissime federazioni USA di atletica e nuoto –, che avevano puntato il dito sull’impossibilità di proseguire nei programmi di allenamento. La tendenza a riconsiderare la partecipazione pareva ormai avviata. Come hanno dimostrato le rinunce di Australia e Canada, due paesi da Top Ten. Tanto che a seguire le autorità di governo inglese e francese avevano esortato il CIO a non voler insistere per l’estate 2020.

C’era stato chi s’era avventurato sul terreno dei costi, uno dei segreti meglio custoditi in materia di organizzazioni olimpiche. I Giochi erano stati assegnati per la seconda volta a Tokyo nella 125ª Sessione del CIO (Buenos Aires, 7 Settembre 2013) dopo che la metropoli giapponese aveva superato Istanbul alla terza votazione per 60 a 36 preferenze. A quel momento il budget previsto era di 7,8 miliardi di dollari. Cifra che, tra maggiori costi degli impianti (specie per lo stadio principale) e infrastrutture diverse sarebbe salito a 38 miliardi, almeno 12 dei quali per il solo evento sportivo. L’annullamento avrebbe esposto il comitato organizzatore e il governo giapponese, che ne è il garante, a massicce e imprevedibili rivendicazioni da parte degli sponsor e dei network televisivi. Secondo quanto ha scritto The Guardian, Goldman Sachs aveva stimata una perdita secca di 4,5 miliardi di dollari (550 miliardi di yen) con ripercussioni notevoli sui consumi interni, già contratti.

Una anticipazione di quanto avvenuto oggi si era avuta la scorsa settimana nei colloqui informali del G7 quando, in teleconferenza, Abe aveva informato i suoi colleghi della determinazione a far svolgere in ogni modo i Giochi “nella loro forma più completa” e con le quote previste “di atleti e spettatori”. Impossibile nel 2020. Ricevendo, sostanzialmente, l’approvazione di tutti. Allo stesso modo s’erano espressi alcuni sondaggi d’opinione effettuati in Giappone la scorsa settimana: oltre il 70% non credeva realistico che i Giochi si sarebbero potuti tenere nel 2020. Sia pure con un misto di delusione e di realismo.

Lo spostamento al prossimo anno apre però scenari del tutto inediti e che avranno ripercussioni pesanti nel futuro. Nel 2021 sono infatti da tempo in calendario la gran parte dei mondiali per gli sport olimpici estivi. Non sarà facile far coesistere gare olimpiche e gare iridate nell’arco di pochi mesi. I mondiali di Atletica sono previsti ad Eugene (dove è stato costruito uno stadio appositamente per quell’evento) dal 6 al 15 agosto, ma la WA sta già pensando a uno spostamento. Ancora più bizzarra la situazione per i mondiali di Nuoto che sono fissati a Fukuoka dal 16 luglio al 1° agosto. Come dire che i nuotatori potrebbero trascorrere tutta la prossima estate in Giappone. Sempre che il Covid-19 sia a quel tempo un lontano ricordo. Come ci auguriamo tutti.

 

 

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