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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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Fatti&Misfatti / Le sirene ingannatrici di Pesaro

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Lunedì 17 Febbraio 2020


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Alzi la mano chi avrebbe scommesso di vedere in finale di Coppa la settima e l’ottava del tabellone, chi aveva previsto di veder alzare il trofeo alla Reyer (73-67 sui pirati di Brindisi) ammessa alle finali solo per uno scarto di punti su Varese.


Oscar Eleni


Da un santuario sulla via Romea Germanica per capire le sirene di Pesaro nel giorno in cui una bella ragazza di Anterselva spara al mondo, dopo essersi truccata, come fa sempre Dorothea Wierer da quando è nel rodeo del biathlon che nella sua terra è tradizione, famiglia, come ci raccontava il grande Prucker nei giorni in cui ai giornali interessavano davvero le sfide. Urlando con Chimizo, lottatore cubano adottato dall’Italia che nega passaporti ai ragazzi del Tam Tam, ma, qualche volta, fa meravigliose eccezioni, come direbbero i pallavolisti, pensando a Juantorena che a noi ricorda da lontano il cavallo di Montreal, l’uomo che ci portò in un'altra dimensione anche se eravamo fraternamente legati a Marcello Fiasconaro e al suo record dell’Arena.

Si parlerà del figlio di una belga aristocratica e dell’aviatore italiano maestro di musica che ce lo hanno dato, nella notte dove il vulcanico architetto Geminiani porterà sul palco al teatro degli Olmi, in via delle Betulle a Milano, la storia della centenaria Pro Patria che nell’era moderna è stata e sarà per sempre Beppe Mastropasqua, ora un po’ triste nella solitudine di Bergamo, ma sempre elettrico anche alla soglia degli 83 anni.

Benedetta atletica che ora vedi combattere più candidati alla presidenza che atleti alla ricerca del minimo per le Olimpiadi di Tokio, culla, reggia, mondo da studiare, da vivere, geniale ritrovo per anime che non si accontentano mai e che puoi ristorare i viandanti della Romea se dalla Coppa Italia del basket di Pesaro arrivano notizie che certificano, una volta di più, come sia futile andare sul treno a vapore con la competenza. Viva il bimbo Duplantis, “Mondo” che abbraccia USA e Svezia, primatista nel salto con l’asta. Lui ci ha liberato dall’angoscia di dover ammettere che il mistero agonistico negli sport di contatto, con uteri arbitrali sempre infiammati, porta alla dannazione.

Alzi la mano chi avrebbe scommesso di vedere in finale per il trofeo la settima e l’ottava del tabellone, si presenti al banco del Bingo chi aveva previsto di veder alzare il trofeo alla Reyer ammessa alle finali solo per uno scarto di punti su Varese. Nessuno, a parte, forse, il caro Claudio che dall’osservatorio Pea segnalava da giorni che la Reyer era più forte della Virtus se soltanto avesse cambiato in regia. Lui forse voleva qualche faccia nuova, ma il livornese De Raffaele sapeva di avere nel branco, dove uno non vale niente se non ha altri quattro ad aiutarlo, partendo da rosellina Daye, l’uomo giusto, il De Nicolao che se non fa il pavone sa scavare nella mente di una partita e la indirizza bene.

Sarà un regalo anche per Sacchetti e la supersperimentale che in settimana a Napoli contro la Russia e poi domenica a Tallin contro l’Estonia presenterà al capodelegazione Meneghin le facce nuove per un futuro tutto da intuire, nel timore che sia spesso oro matto come ci hanno dimostrato alcuni dei convocati nell’arena pesarese dove soltanto De Nicolao e Stefano Tonut hanno detto siamo pronti. Ruoli super coperti dicono in giro, ma sono gli stessi che dovrebbero stare con noi al santuario delle espiazioni dove un frate con il bastone vuole subito l’abiura per aver parlato troppo bene di Djordjevic e Messina, i due che escono con le ossa rotte dal bagno nel mare di Pesaro fra sirene che non dicono la verità se trovano giustificazioni per questo fine inverno delle grandi favorite.

Sì, certo, la Virtus aveva lividi per ferite prese sul mare delle Canarie dal Tenerife che nella coppa del Rey vinta dal Real e sbagliata dal Barcellona, è stata fatta fuori prima che si accendessero le luci, sì ha perduto con la Reyer al supplementare dopo essere stata graziata nei 40’ regolari, ma nella sostanza ci ha detto che Sasha il saggio deve lavorare ancora molto per portare la squadra a lasciare un aroma di grande miscela nel nostro basket come ha detto sul Venerdì.

Per Milano, invece, le scuse sono le stesse che l’anno scorso aiutavano Pianigiani a nascondere una banda di borghesi peccatori, gente a cui la difesa non piace perché c’è da soffrire. Infortuni, fatica. Vero. Ma la cosa peggiore è che se metti insieme dei borghesi piccoli piccoli allora ti trovi una squadra che non riesce ad essere tale anche fingendo di vivere bene insieme. In occhiali scuri, per le foto pubblicitarie, magari, ma non sul legno duro. Negare del tempo ad un allenatore che ha vinto così tanto, bravo davvero, sarebbe stupido, ma certo dopo cinque mesi non pensavi che ci fossero gamberi nelle belle maglie della nobil casa, rosse, bianche, nere o viola in onore di Kobe come a Pesaro.

Sì, certo, nell’arena che avrebbe dovuto essere quella della vera Scavolini, regale come chi aveva fatto un’azienda bella da vivere, con produzioni da vedere ed ammirare, su quel campo che in quattro giorni ha ospitato oltre 30 mila spettatori, pienoni per semifinale e all’ora della verità, in molti hanno toppato. Djordjevic e Messina lo sanno, ma lo sa pure Pozzecco che non si aspettava di sbattere sul promontorio di Brindisi con la sua ciurma di bei pirati. Certo Banks è stato un chirurgo, certo Vitucci gli ha teso trappole che il Poz ha visto troppo tardi, ma nella sostanza anche per la seconda in classifica sono stati giorni traumatici di cruda verità, come del resto quelli che ha passato Esposito vedendo Brescia rimontata e poi infilzata sull’arrivo dalla Fortitudo che merita il premio speciale degli effetti speciali, la grandezza della sua curva, ma anche la grolla della grande sorpresa perché era davvero la meno attrezzata per giocare due partite dure in due giorni. Miracolo nella prima, flop nella seconda con i soliti noti in fuga, dietro il paravento delle bugie.

Pesaro come approdo per un presidente di Lega come Bianchi che se ne va con dignità, la stessa che non hanno avuto certo quelli complicavano la vita con boriose scommesse tutte perdute, facce di bronzo che avrebbero voluto riproporci se non ci fossero dei nuovi sceriffi in città, una cittadella dove gli orbi prevalgono sui ciechi.

La culla di Alceo per una edizione gestita alla grande, con quelle giovani ginnaste ad intenerire il cuore facendo capire che se hai passione, idee, non devi imitare il barnum altrui, stordirci con il rumore.

Gloria a Brindisi e buona fortuna se davvero il sindaco ha deciso di costruire un’arena nuova chiedendo la finale del 2023 per una squadra che a Firenze, l’anno scorso, e ora al santuario scavoliniano ha lasciato il trofeo che poteva davvero essere suo perché il Vitucci ha spremuto il meglio da un gruppo che ha talento e anima e difetti difficili da nascondere direbbero a Stone.

Petali di rosa al passaggio del Bucintoro con Luigi Brugnaro al timone, anche se il portolano per i viaggi più difficili lo ha sempre decodificato Federico Casarin, il suo cervello nell’azienda sportiva più felice del mondo, anche se l’ammiraglio livornese De Raffele merita di essere considerato come uno dei cervelli più raffinati in un mondo di caciaroni e parolai: fatti non chiacchiere. Ecco. La Reyer oltre i suoi peccati d’inizio stagione, la confusione che si crea sempre se i giocatori credono più ai loro prezzolati adulatori che alla società. Se trovi un bel muro, allora è più difficile far cadere tutto.

Ed eccola questa Reyer da due scudetti, una coppa europea, ed ora la coppa Italia nel giorno in cui la sua under 18, con il giovane Casarin mattatore, prima di sedersi in panchina di fianco a vulcano Cerella urlando per un trofeo che stava salendo nel museo della Misericordia. Fatti come dimostrano le società che hanno portato le loro giovanili alla fiesta, Reggio Emilia, vincitrice l’anno scorso, finalista quest’anno in testa, per far sapere che non è stato un caso legare Kobe Bryant al ricordo di una terra e di maestri che gli hanno insegnato più dei santoni americani.

Pagelle sparando alla luna …

… con la precisione della Wierer e della Vitozzi, della squadra mista vestita d’argento mondiale:

10 A PESARO per aver rivestito alla sua maniera la culla della 21ª Coppa Italia dell’era moderna; al sindaco Ricci se si batterà per riaverla, al Pieri, cognome sempre nobile nel basket, se garantirà una organizzazione nella sua arena come questa.

9 Al trio laguna, BRUGNARO-CASARIN-DE RAFFAELE la più bella delle famiglie cestistiche nel nome della REYER che unisce tutti e che porta sul campo oltre 400 fra ragazzi e ragazze, perché a Pesaro c’erano anche loro, così come in serie A.

8 A TONUT e DE NICOLAO capaci di stupire anche chi, spesso come noi li ha trattati male. Per questo siamo in penitenza, ma loro, per favore, vadano avanti così e il premio MVP dato a Daye, non siamo d’accordo e non solo perché Watt ha fatto benissimo, è in gran parte dei due italianuzzi che con Mazzola hanno completato la corona ferrea della difesa alla livornese.

7 A MARINO, presidente di Brindisi, paziente nel cullare la nipotina con le mani sudate e lo stress, che alla fine è subito scattato per abbracciare il rivale BRUGNARO. Bella squadra e allenatore che resterà nella storia come il grande Big Elio Pentassuglia, perché Vitucci vale tanto davvero.

6 Al BIANCHI presidente di Lega per come si è congedato con stile dalla confraternita dove la generazione di Giuda sembrava dominante. Fanno pagare a lui la loro incapacità, accusano un galantuomo di non aver saputo capire quello che neppure lorsignori sapevano spiegare.

5 Al PAVAGLIONE bolognese ribollente se davvero qualcuno pensa che Antimo MARTINO potrebbe fare di più con questa Fortitudo che spesso inganna, stupisce, ma in realtà è una neopromossa in tutti i sensi.

4 Al designatore degli ARBITRI per aver concesso a SAHIN, il migliore per lunghezze, soltanto la semifinale di coppa. Niente da dire su chi ha diretto la gara decisiva, ma ci è sembrato ingiusto. Certo per chi sbaglia pronostici con tanta facilità, magari è una presa di posizione che non si capisce.

3 A MESSINA e DJORDJEVIC se dovessero avere soltanto un dubbio nel lasciare a piedi gente che è nata per deludere, che forse non doveva essere scelta, per questo sono colpevoli, uomini che te la raccontano, ma poi hanno il braccino.

2 A TEODOSIC che non rinuncerà alla chiamata in nazionale della Serbia perché noi rosichiamo sapendo che Datome, MVP della finale turca vinta sul Darussafaka prossimo ostacolo spinoso per la Virtus in Europa, capitano di Azzurra fremebonda, starà ad Istanbul.

1 Ai settimini di ARMANI, così fragili nei muscoli e nell’anima, per questa sbandata alla prima vera prova della verità.

0 Alla COMPETENZA spiazzata da una finale fra settima ed ottava del tabellone. Le parole volano, gli scritti, purtroppo, rimangono e chi sbaglia più di noi se ne fa scudo invece di andare a zappare o, meglio, a seminare davvero.

 

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