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I sentieri di Cimbricus / A chi va il premio per l'iconoclastia?

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Domenica 12 Gennaio 2020

 

ibra

 

Non c'è soltanto il politicamente corretto. C'è chi prova ad andare oltre, tra l'abbattimento di statue e simulacri fino al ripudio della Royal Family. Sempre per sfuggire alla noia, ...

 

Giorgio Cimbrico

Sono incerto se attribuire il (primo) premio dell’anno per iconoclastia ai tifosi del Malmoe o a Harry e Megan. In realtà i pretendenti sono parecchi. Non resta che andare per ordine. Sin da quando il bronzo dedicato a Zlatan Ibrahimovic è stato eretto e scoperto (svelato, sarebbe più esatto…) davanti allo stadio del Malmoe, l’opera è diventata bersaglio dei tifosi del club che, una ventina d’anni fa, ha lanciato sulla scena il geniale e arrogante giovanotto, ormai non lontano dal promontorio dei 40 anni. Ibra, incautamente, aveva fatto sapere di aver comprato quote dell’Hammarby, storico rivale del Malmoe, con l’auspicio di portarlo presto ai vertici del calcio svedese.


I tifosi, è noto, sanno scalare rapidamente le marce dell’affetto sino a mutarlo in aspra avversione. Dopo una prima vandalizzazione, il monumento, rabberciato, era tornato al suo posto, ma nella notte di Capodanno i fan si sono scatenati, abbattendolo e mutilandolo. La statua che Michelangelo fuse per Giulio II venne trasformata in colubrina quando le truppe spagnole conquistarono Bologna ma un identico destino non sembra esser quello del povero simulacro. Imbrattato e sottoposto a scempio, verrà sottoposto a nuovi restauri? Ibra, che non manca di sostanze, potrebbe farlo trasportare, via cargo, nella sua nuova – e vecchia – sede di lavoro e chiedere un angolo sui prati di Milanello.

L’iconoclastia di Harry e Megan non si esplicita attraverso l’abbattimento materiale di idoli o statue o con lo sfrego di dipinti a olio o a fresco, ma la rinunzia a far parte della famiglia reale (Royal Family, con iniziali maiuscole) è uno strappo che vale il far ruinare un antico e glorioso monumento. Che tirasse nuova aria si era capito con la scelta del nome dell’ex royal baby. Archie. Può andar bene per un pugile, per un trombettista, forse anche per uno di quei tipi che si agitano alla borsa di New York, ma per un principe, …


La Regina, una delle poche che parla ancora un inglese comprensibile, ci è rimasta male ma d’altra parte il “rosso” di casini ne ha combinati una serie. Le gaffe di suo nonno, al confronto, sono esercizi di stile. Di recente Salvino Tortu me ne ha mandati un florilegio. La più bella rimane quella confezionata durante una visita a Papua e Nuova Guinea: “Ehi, sono contento di non essere sul menù”.

Mi ero dimenticato di assegnare il premio per il 2019. Rimedio adesso: va a Gerard Piqué e alla sua nuova coppa per nazioni di tennis. Non uso il nome Davis. Un tempo, per cose meno gravi, si finiva nella gabbia appesa alle mura, in preda alla fame e ai corvi.

Dicevo prima che ci sono altri pretendenti e credo che tra i più autorevoli ci siano i gestori tecnici degli sport invernali: Lo sci nordico è sempre più corto e sempre più sprint (ma non si chiamava anche sci di fondo?) e nel biathlon, che fa regno a sé, hanno inventato così tante gare miste, a coppie, a staffetta che assistere e fremere per una bella competizione classica è diventato un evento raro e, come dice un mio caro amico, prezioso.

Anche quelli dell’atletica non scherzano nel dare martellate alla vecchia classicità. Pochi mesi fa abbiamo assistito a quella faccenda di Misnk che in tanti, senza troppa fantasia, abbiamo etichettato Giochi senza Frontiere o Spiele ohne Grenzen, come dicevano i titoli di testa. Poi è subentrata la WA, ex IAAF, scalpellando i meeting e riducendoli a durate che riportano alla serie televisive. Al proposito confesso che due sere fa ho rivisto Spartacus (del giovane Kubrick), edizione senza tagli: c’era persino la scena in cui Crasso, Laurence Olivier, fa sottili avance ad Antonino, Tony Curtis, Tre ore e mezzo, senza annoiarmi, lo giuro. Adesso pare che dopo un’oretta si annoino tutti. Boh.

 

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