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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Un sogno generoso e (forse) un po' scemo

Venerdì 20 Dicembre 2019

 

riva 


C’è stato un tempo, più o meno cinquant’anni fa, in cui ci godevamo il gesto, forse lo rivedevamo una volta ed era tutto. Come un colpo di fulmine che lascia tracce. Accarezzarle oggi è magnifico.

Giorgio Cimbrico

In questi giorni di sdilinguamenti per lo stacco marassino di Cristiano Rolando, non c’è stato un cane che abbia riesumato un paio di immagini che da mezzo secolo sono patrimonio di noi, cavalieri senz’averi di un sogno generoso e un po’ scemo. E così – bao bao, arf arf – ci penso io. Sono entrambe in bianco e nero, i colori della storia, dell’eleganza. Chiedere a Robert Capa e a Henri Cartier Bresson. Ne sanno qualcosa. La prima è stata scattata in una palestra di Mosca: Valeri Brumel, principe di Tolbuchino, dà un calcio al ferro del canestro: chiedere al nostro guru Oscar Eleni quando dista da terra.


La seconda ha una data certa, 22 novembre 1969, San Paolo di Napoli, Italia-DDR 3-0, qualificazioni per i Mondiali di Messico: cross molto teso, molto forte di Angelo Domenghini da Lallio e tuffo di Gigi Riva da Leggiuno. Tuffo non va bene, è sbagliato, è offensivo. Riva si trasforma in ariete senza nessuno che lo spinga, perfettamente orizzontale al terreno, una specie di applicazione pratica del volo leonardesco, ma senza ali di tela. Le ali che danno portanza sono le braccia. Una botta di testa come avesse colpito di piede. Croy, uno dei primi giocatori alti due metri (già beffato da Riva a Berlino Est con un colpo di testa in mischia), guarda e raccoglie.

Cinquant’anni dopo, credo che sia il più bel gol che io abbia mai visto. Ne parlai con Riva in un’intervista per i suoi sessant’anni e lui si stupiva per l’accuratezza dei particolari che in molti altri campi non mi è propria. E così lo interruppi: “Riva, lei per noi era un eroe”. Noi, gli studentelli del liceo che si apprestavano a vivere l’estate della maturità con la fatale distrazione di Mexico. Brera era il nostro sakem, il nostro capotribù. E anche se spesso capivamo poco di quel che scriveva sull’Arcimatto, di un aspetto eravamo certi: Brera era il nostro capo spirituale. C’è un titolo che non ho dimenticato: “Arriba Riva, Mexico Adios”. Questo di Tuttosport, dopo la vittoria sul Messico che apriva le porte della semifinale con i tedeschi. Primo gol di Gigi dopo un girone mediocre. Bel diagonale di sinistro. Così ne ha fatti tanti, ma quello era importante.

Dopo il gol di CR7 qualcuno lo ha accostato alla frustata di testa di Pelè che dà il vantaggio al Brasile nella finale del ’70, bruciando Burgnich. Pare che stessero cambiando marcature perché il buon Valcareggi non ci aveva capito molto e così Tarcisio aveva raggiunto quella zona proprio mentre partiva il cross di Gerson. Dietrologie a parte, Pelé alto non era ma aveva un tempo pazzesco e infatti su un suo colpo di testa molto simile Gordon Banks fece quella che venne etichettata la Grande Parata. Sempre su Pelè: dicono che la rovesciata in “Fuga per la Vittoria” venne alla prima, senza altri ciak ordinati da John Huson. Anche quel gesto, non male.

Il professor Luciano Fracchia da Asti, Dio lo abbia in gloria, aveva girato più chilometri di pellicola di quanto disti la Terra dalla costellazione di Orione. Esaminando i salti di Volodja Yashchenko, cosacco di Zaporozje, rapito giovane dal diavolo annidato nella bottiglia, si accorse che la sera del 12 marzo 1978, al Palasport milanese che non c’è più, il giovanotto angelico e diabolico aveva quel che rozzamente chiamiamo “cavallo” a 2,58 di altezza. Non avvenne per l’ascensione a 2.35, ma in un salto precedente, a 2.27 se ricordo bene. A 2,58 Volodja aveva il “cavallo” e più in alto il resto del corpo. Sulle capacità di elevazione dell’essere umano esistono studi e test attitudinali. Molti anni fa il professor Renato Carnevali mi raccontò che aveva provato un certo stupore constatando che Faina Melnik, a lungo primatista mondiale di disco, superava il metro da ferma, senza slancio.

Sono un po’ di cose che ho cavato fuori dal cassetto, ancora piuttosto capace, della memoria, per ricordare il tempo in cui non eravamo sottoposti a bombardamenti di ripetizioni. Ci godevamo il gesto, forse lo rivedevamo una volta ed era tutto. Come un colpo di fulmine che lascia tracce. Accarezzarle è magnifico.

 

 

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