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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Italian Graffiti / Ricci Bitti: "Lo sport italiano merita rispetto"

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Mercoledì 18 Dicembre 2019

 

ricci bitti-intervista 

 

A colloquio con Francesco Ricci Bitti, il dirigente italiano di maggior peso internazionale, per analizzare nel dettaglio il quadro storico dello sport nazionale all'indomani della "riforma" voluta e imposta dal Governo senza una preventiva e necessaria analisi dell'esistente. Ma, quel che più conta, con lo sguardo rivolto ad un preoccupante futuro neppure tanto lontano. 


(gfc) Ad un anno esatto dall'avvio della "riforma" imposta non tanto allo sport italiano, quanto al CONI, facciamo il punto della situazione parlandone con Francesco Ricci Bitti, il dirigente italiano che - come presidente dell'ASOIF e membro della Giunta CONI, oltre che per i tanti altri incarichi ricoperti - occupa la posizione di maggior rilievo nel panorama sportivo internazionale. Sin dall'inizio, la sua voce è stata - se non l'unica - la più critica nei confronti degli eventi che si sono dipanati negli ultimi 12 mesi e che in buona sostanza hanno portato a frantumare l'unitarietà dell'universo sportivo nazionale creando incertezza negli addetti e sconcerto nell'opinione pubblica. Un allarme, il suo, più volte ripreso e rilanciato ancora oggi. In questa intervista, il presidente Ricci Bitti compie un'approfondita analisi del complesso fenomeno sportivo italiano in quanto tale, ma soprattutto indica le strade da percorrere per uscire dal clima di conflittualità e di stallo creatosi. Una condizione tanto più rischiosa a pochi mesi da una verifica fondamentale come i Giochi di Tokyo. 

Intervista con
Francesco Ricci Bitti

di Gianfranco Colasante


Ad un anno dall’entrata in vigore della cosiddetta “riforma” dello sport italiano, perseguita attraverso norme che in buona sostanza hanno finito col “ridurre” se non “mortificare” il tradizionale ruolo del CONI, quali riflessioni se ne possono trarre?

R: L’idea di riformare è di per sé positiva. Purtroppo il chiaro intento destabilizzante della Legge delega del dicembre 2018 ha già prodotto seri danni all’ecosistema sportivo in Italia.

E più nel dettaglio, ritiene che questa “riforma” governativa fosse tanto urgente e necessaria al punto da doverla imporre tout-court e senza consultare le strutture sportive nazionali che pure, in settant’anni, hanno portato lo sport italiano al 6°/7° posto nel mondo: posizione che il Paese non occupa in nessuno altro ambito qualificante, sia economico che sociale o culturale?

R: Con tutti i suoi limiti, il mondo dello sport era ed è una attività di relativo successo nel sempre più modesto panorama italiano e credo avrebbe almeno meritato il rispetto della consultazione che non c’è stata o è stata sporadica e selettiva. Una legge delega frettolosa ed incompleta ha lasciato lo sport italiano in una situazione paradossale in termini giuridici ed organizzativi che porterebbe avere effetti deleteri anche nel breve termine in vista di Tokyo.

Per di più la “riforma”, voluta dal passato governo M5S-Lega ed ancora priva delle norme di attuazione, è stata imposta senza una preventiva analisi dei “dati” della galassia sport, sia organizzativi che economici. Non le pare di rintracciare in questa operazione una ingerenza della Politica sullo Sport che trova riscontro solo risalendo agli anni del Fascismo?

R: I presupposti e le motivazioni del legislatore non sono certo stati la conoscenza e l’analisi del sistema in essere per cui senza fare dietrologie su un passato doloroso del nostro Paese questa riforma mi ricorda i metodi verticistici di alcuni Paesi est europei o asiatici.

Che la “riforma” non sia mai stata apprezzata dal presidente Giovanni Malagò, non è un mistero. Ma non ritiene che nella difesa dell’atipicità del CONI stesso – il solo organismo di natura pubblica i cui vertici non vengono “nominati” dall’alto, ma che si rinnovano ogni quattro anni attraverso un processo elettivo – Malagò avrebbe avuto più forza facendo fronte comune con le Federazioni piuttosto che reagendo con una chiamata in causa del CIO?

R: I Comitati Olimpici Nazionali hanno due riferimenti normativi molto chiari con cui confrontarsi:

- La legislazione vigente nazionale ed internazionale (Europa)
- La Carta Olimpica

Le conseguenze giuridiche ed ancor più operative della legge delega contravvengono chiaramente alcuni principi della Carta Olimpica per cui era doveroso per il CONI segnalarlo. Aggiungo che il CIO per la mia presenza a Losanna mi ha spesso consultato per chiarimenti sulla situazione e ha poi deciso di attivarsi formalmente ed autonomamente nei riguardi del Governo Italiano e il dibattito è in corso.

In una intervista al Corriere della Sera (25 agosto) il presidente Rocco Sabelli, calato di autorità al vertice di “Sport e Salute”, ha chiarito che la società intende perseguire “obiettivi importanti rivolti allo sport di base, alla salute del cittadino, a migliorare cultura ed educazione sportiva”. Progetto ambizioso e di problematica realizzazione: dovranno essere le Federazioni, dichiaratamente soggetti privati, a doversene far carico sostituendosi allo Stato? O chi, in alternativa?

R: Ho già avuto modo di dissentire da varie iniziative del Presidente di Sport e Salute nella forma e nella sostanza. In questo caso si tratta di parole in libertà forse per giustificare il nuovo nome della Società totalmente inappropriato.

• A proposito del presidente e AD di “Sport e Salute” Rocco Sabelli – un funzionario pubblico senza alcuna esperienza nel settore e il cui mandato scadrà nel 2021 – non ritiene che il suo “impatto” con l’universo CONI-Federazioni-Enti, sia stato sbagliato quando non proprio “punitivo”, come dimostra la continua emanazione di “Ordini di Servizio” che – a chi ha memoria storica – ricordano tanto i “Fogli d’Ordine” con il quale il PNF governava lo sport d’anteguerra?

R:
La visione del Presidente di Sport e Salute più ancora che punitiva sembra essere sostitutiva dell’istituzione CONI e non complementare o di servizio come dovrebbe essere in un sistema funzionale. Mi limito inoltre a rilevare che l’istituzione CONI non può delegare o rinunciare a funzioni che derivano dal suo stato di emanazione italiana del CIO come ad esempio:

- La missione che spazia dall’agonismo di vertice alla base che include la vigilanza sportiva (non necessariamente finanziaria) sulle federazioni che in altre parole è la politica sportiva
- L’autonomia nel senso di autodeterminazione per le proprie strutture politiche ed organizzative (incluso il territorio)
- La gestione e la proprietà non delegabile del marchio e del brand CIO

Il che comporta la necessità del ritorno ad uno staff proprio, permanente e non distaccato e di un finanziamento adeguato che dovrebbe provenire da una parte delle risorse assegnate allo sport dal Governo.

• Uno dei primi effetti, se non il primo, della “riforma” è stato il rapido scollamento delle Federazioni dal CONI, da sempre inteso come federazione delle federazioni (sono state le Federazioni, oltre un secolo fa, a fondare il CONI). In particolare le maggiori tra loro, sia per risalto mediatico che per disponibilità economiche, in cerca di vantaggi hanno cercato per proprio conto canali privilegiati con la Politica. Come si potrà in futuro restituire compattezza d’indirizzo all’intera struttura?

R: Non mi preoccuperei oltremisura di questo. La mia opinione è che la vigilanza sportiva non è mai stata il punto di forza del CONI. Ho già avuto modo di fare la previsione che questi indipendentisti dell’ultima ora alla lunga rimpiangeranno la passata condizione.
 
• Dato per scontato che la Politica ha imposto la “riforma” poiché lo Sport, autonomamente, non ha saputo/voluto affrontare i cambiamenti intervenuti nell’ultimo ventennio pagandone oggi le conseguenze con questa specie di “commissariamento”, non ritiene che sia ancora più urgente intervenire sulla “classificazione” delle Federazioni (un po’ come fa il CIO con le F.I.) cominciando da una realistica definizione del professionismo rispetto allo sport olimpico?

R:
Il vero addebito che faccio al CONI è di essersi adagiato negli ultimi 15 anni sulla comodità operativa della identificazione con la CONI Servizi dopo la sua creazione come entità strumentale allo svolgimento delle attività dell’ente. Si sarebbero dovuti definire anche giuridicamente i campi di azione e le missioni. Si sarebbe cosi evitata questa insostenibile e paralizzante schermaglia.

La classificazione delle federazioni a livello CIO non è una classifica di merito, ma tenta di valutare il contributo di ogni disciplina al successo dei Giochi. Devo riconoscere che per quanto ci si sforzi non esistono criteri totalmente oggettivi e la gestione del processo risulta, per esperienza diretta, complessa e poco popolare.

Credo infine che non sia attuale parlare di sport professionistico e sport olimpico come due mondi diversi, basta ricordare le entrate del CIO per un quadriennio olimpico (circa 8 miliardi di dollari). Preferirei dibattere sulla diffusione dei valori olimpici e sull’inquadramento degli atleti e operatori sportivi nelle varie condizioni e livelli in cui vengono a trovarsi.

• Pur con un approccio critico alla “riforma”, va riconosciuto che la stessa ha almeno posto in chiaro la profonda dicotomia oggi esistente tra sport agonistico e sport sociale o salutistico, sempre che se ne vogliano trarre degli insegnamenti. Tanto più che l’Italia risulta prima in Europa per numero di adulti (36%) iscritti a palestre o centri fitness, un numero in costante crescita. Un altro dato indica in circa 7 milioni gli italiani che praticano abitualmente forme di jogging o di corsa. Attività che nell’insieme producono un fatturato di circa 10 miliardi, come dire quasi la metà della spesa ogni anno dedicata alle attività sportive in genere. Di fronte a questo scenario, non appare risibile la “mission” di “Sport e Salute” che considera una conquista di grande impatto l’aver destinato 13 milioni a un fumoso progetto denominato “Sport di tutti”?

R: Non darei il merito della riforma per una dicotomia che è nei fatti e va valutata nella sua valenza quantitativa ed economica. Quanto al progetto citato di Sport e Salute, la cifra è talmente irrilevante che non può certamente essere considerata una conquista.

• In una recente intervista in occasione della sua uscita dal CIO, un uomo di esperienza come Franco Carraro ha indicato i tre postulati che dovrebbero essere prioritari in qualunque ipotesi di “riforma”. Tenere cioè presente: a) che lo sport italiano è basato sul volontariato; b) che è il ministero della Pubblica istruzione e l’organizzazione scolastica a decidere se incrementare o meno lo sport nella scuola; c) che la salute la gestiscono le Regioni con i soldi dello Stato. A riguardo lei che cosa ne pensa?

R:
Sono come spesso succede totalmente d’accordo con Franco che ricorda realtà ovvie ma che sono volutamente trascurate. Nei paesi normali della salute e dell’educazione se ne occupano le rispettive autorità delegate (ministeri e regioni) e lo sport può solo avere un ruolo di strumento di facilitazione per ottenere alcuni obiettivi divulgativi per i valori olimpici e per indicare gli strumenti utili ad alcune tendenze importanti come la gender equality, lo sport per disabili e la sostenibilità.

• Infine, come ritiene che si possa risolvere in senso vantaggioso per l’organizzazione sportiva etichettata CONI-Federazioni-Enti – strutture tutte che vivono, appunto, di volontariato – le diversità d’indirizzo e di opinioni con la società pubblica “Sport e Salute” interamente finanziata dal MEF?

R:
Questo è il vero interrogativo dei mesi futuri se non si aggiustano molte cose. In primo luogo il ruolo di una società di diritto privata creata per favorire la mission di politica sportiva del CONI, ma guidata al momento da un leader nominato dalla politica e con due ruoli totalmente conflittuali (Presidenza e AD) di controllore e controllato. La cosa non fa onore ad un Paese avanzato e per usare una parola abusata in questo periodo, si tratta a mio avviso di “discontinuità” peggiorativa. Un altro nodo che non mi appassiona è la distribuzione dei fondi pubblici alle federazioni. Come tali, se la politica decide che il CONI non è l’autorità giusta per tale compito, la cosa va accettata. Ma è singolare che con un Ministero dello Sport operativo si debbano far gestire e transitare queste risorse pubbliche attraverso una società di diritto privato per tutt’altri obiettivi costituita e che non mi risulta abbia alcuna capacità di fornire valore aggiunto. L’esempio più recente ne è una riprova essendosi basato sugli algoritmi predisposti dal CONI nel passato con alcune varianti discrezionali poco comprensibili.

 

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