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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Il falso raffronto Mancini-Pozzo

Lunedì 18 Novembre 2019

  

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L’Italia sventata, superficiale, ignorante sembra avere un dannato bisogno di storicismo d’accatto. Tranquilli, nasce tutto dall'ignoranza: nel senso di chi ignora, come dire di chi non sa ed improvvisa ritenendo di creare.

 

Giorgio Cimbrico

Roberto Mancini meglio di Vittorio Pozzo, annotano gli statistici  e gli obbligati corifei che marciano verso l’Europeo VentiVenti: è più o meno come dire che oggi chi salta 8.14 è meglio di Jesse Owens, 8.13 (pardon: 26'8"1/4) con un unico salto su un pedana, quella di Ann Arbor, Michigan, che le fotografie non rendono come particolarmente scorrevole. L’Italia sventata, superficiale, ignorante sembra avere un dannato bisogno di storicismo d’accatto. Tutto è improvvisamente storico, e perdonate la raffica di virgolette. Figurarsi per chi, come me, considera storica la battaglia di Waterloo, la pubblicazione di Madame Bovary, la prima bavarese del Tristan (und Isolde) e poco altro.  

Pozzo, che con il calcio non diventò ricco e che anche in tarda età scriveva minuziosi resoconti per la Stampa (più giornalista che commissario tecnico: vedi opera libraria del nostro direttore), non ebbe in sorte di affrontare avversari che, un tempo, quando il politicamente scorretto era consentito (spesso gradito), venivano bollati come postelegrafonici. O, se gli capitò, liquidò con disarmante sicurezza: se non sbaglio, 8-0 al Giappone, nella fase eliminatorie del ’36 a Berlino.

Già, Pozzo non ha solo vinto due Coppe Rimet, ma anche un oro olimpico, l’unico a esserci riuscito. Un suo successore, Rocca detto Kawasaki, incassò quattro gol dallo Zambia a Seul ‘88 in una delle più drammatiche rotte del calcio azzurro. La foto di Kalusha Bwalia che alza i palmi al cielo – ma questi sono troppo scarsi, sembra dire – fa parte della gallerie degli orrori, più o meno come la giornata di Middlesbrough.


Al tempo di Pozzo l’Armenia e l’Azerbaijan facevano parte del giovane Impero sovietico, il Liechtenstein era un minuscolo principato incuneato tra Svizzera e Austria, noto soprattutto perché il Principe possedeva un Leonardo; le tre baltiche stavano per esser assorbite dalla vorace URSS; Malta e Cipro erano possedimenti britannici; Gibilterra, una base navale e con Suez, Aden, Singapore e Hong Kong una delle serrature dell’Impero; la Jugoslavia era una sola, dall’alpina Slovenia alla maomettana Bosnia; la Moldavia (perché oggi la chiamano Moldova?) apparteneva alla Romania; la Cecoslovacchia era ancora fresca di nascita sulle carte geografiche; l’Ungheria si era separata dopo il crollo dell’Austria e con l’ex madre patria – e con i boemi - teneva alto il prestigio del calcio danubiano.

I contatti on il calcio dei maestri e inventori erano rari ma quando, nell’autunno di 85 anni fa, Pozzo portò i suoi a Highbury (filmati e foto sono avvolti in un’affscinante nebbiolina), ne uscì con quella che i giapponesi chiamano nobiltà della sconfitta e con un’etichetta, "I leoni di Highbury", appiccicata addosso, per sempre, ai suoi giocatori, a lungo in inferiorità numerica e proprio in quella condizione in grado di portare la minaccia ai padroni di casa, quel giorno sostenuti nel royal box dal baffuto Arthur, duca di Connaught.

L’attuale CT non possiede profonde nozioni storiche. Ricordo che molti anni fa, quando in mezza Genova era adorato e vezzeggiato, disse che lo stadio portava il nome di un genoano. Ero presente e di fronte al silenzio degli altri cronisti replicai che Ferraris era un modesto calciatore, un ingegnere e soprattutto un ufficiale caduto all’attacco del Monte Nero nelle prime settimane di guerra. “Io con te non parlo” disse Bobbygol e io non rovinai nella disperazione tipica di altri che costruivano le loro corrispondenze su sette piani di virgolette, per citare un antico slogan merceologico. Su Ferraris non ho dubbi che Pozzo sarebbe stato meglio informato.

PS. - Cinque anni fa ho avuto il pian terreno invaso dell’acqua e così ho deciso di intaccare i miei rispami. Mi sono rivolto a un’azienda di Prato che ha costruito il mio Mose: una porta stagna azionata da un compressore. Ho speso 6000 euro, funziona e, sotto le continue piogge, mentre i miei vicini sono sempre alle prese con sbarramenti da erigere nottetempo, io dormo tranquillo e asciutto come diceva la vecchia pubblicità televisiva di un pannolino.

 

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