- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / "Sono sicuro che ti farai onore"

Martedì 12 Novembre 2019

 

nutrizio 3

 

Dal grigiume dei giorni nostri a consolanti ricordi di un giornalismo che non c’è più, quando “fare” un giornale s'intendeva una missione più che una professione ben remunerata.

Andrea Bosco

Fatevi male, fratelli. Von Masoch è lì e lotta assieme a voi. Parlo della Lega e della RAI che propongono Venezia-Sassari di basket nel medesimo orario di Juventus-Milan. Magari hanno ragione loro. Al Taliercio finisce 55-54 con percentuali di tiro (per entrambe) grottesche, con spettacolo rude tra sudore, gomiti, sequela di falli e di blocchi irregolari, finale thriller e tempo riequilibrato alla moviola, provocazioni di Pozzecco alla curva, gestaccio finale (ai contestatori suoi, per cose sue) di De Raffaele.

A Venezia non si rendono conto che Brugnaro e De Raffaele hanno realizzato il miracolo di due scudetti (e una coppetta europea) in tre stagioni. C’è gente che ha il mal di pancia, dentro ad un Palazzetto (brutto e inospitale) di 3500 persone che raramente riesce a fare il tutto esaurito.

Invidia per Bologna, che il Palasport lo farà da 15.000 persone: nuovo di pacca e con la possibilità ha spiegato il patron Zanetti di arrivare a molte di più grazie alle magie dell’architettura moderna. Invidia a Venezia, perché Zanetti è veneto e per un Palazzo dello sport che a Venezia mai verrà realizzato.

Il tema è conosciuto, non mi spendo oltre. Non manca solo un decente Palasport a Venezia. Manca uno stadio degno di tal nome. Mancano piscine. Manca una filiera impiantistica. Che non esiste perché ogni anno Venezia ha sempre più turisti e sempre meno residenti. Gli impianti, la burocrazia, il businnes. Come andrà a finire a Milano la vicenda del nuovo stadio? Forse non come si ipotizzava. Forse non a San Siro ma a Sesto San Giovanni. Questione di cubature.

Fatevi male, fratelli. Mettete in un angolo i giocatori italiani che la sorte, il caso, i genitori hanno portato all’estero e non consentite loro di giocare con la maglia azzurra se non sono passati per le giovanili italiche. Fatevi male. Del resto lo ius soli non c’è, qui al massimo c’è lo ius sola: quindi Tam Tam fuori dai “maroni” e continuate pure così.

Siamo bravi a farci del male, in questo paese. Basta aprire i giornali. Puoi essere liberale, tollerante, puoi indignarti per i razzisti ed i razzismi (Balotelli compreso) di ogni tipo. Puoi interrogarti quale sia il confine tra tutela della salute e tutela del posto di lavoro. Puoi chiederti nei giorni in cui si celebra la caduta del Muro di Berlino se il continuo “ritorno al passato” (muri compresi) non sia solo un incubo dal quale prima o poi ti sveglierai.

Che altro? Che sostituire Ronaldo non deve apparire (a Ronaldo soprattutto) “lesa maestà”. Che per sostituire Ronaldo ci vogliono “colleones” ma anche una società che ti pari il fondoschiena. Considerato quanto sta vivendo Napoli (non mi addentro ma l’ammutinamento appare indifendibile) e quanto nel megafono interista sta vociando Conte, la Juventus sembra un’oasi felice. Non lo è. Chiunque abbia fatto parte di una squadra o di una società sportiva sa che non è così. Ci sono momenti (rari) di grande unità. A fronte di molti momenti di competizione e slabbrature interne. Oggi – nella stagione nella quale gli atleti sono diventati aziende, più che nel passato –, diciamo che a Torino sono più bravi a gestire le cose che non vanno. E che neppure alla Juve si fanno mancare.

Applausi a Sinner. Con la speranza che troppe mosche cocchiere non vogliano salire a cassetta accanto alla sua racchetta.

Mai conosciuto Cotelli, ma da lontano mi è sempre sembrato uno “vero”.

In NBA volano i Celtics ma Gordon Hayword si è fratturato una mano mentre (a due anni dal grave infortunio) stava giocando da dio. A conferma che se la fortuna è “cieca”, la sfiga al contrario ci “vede” benissimo.

La scorsa settimana nello stesso giorno sono andato a due presentazioni a Milano. La prima, un libro celebrativo sul Milan scritto a due mani da Carlo Pelegatti e Umberto Zappelloni, collega con il quale quando lavoravamo al Giornale andavamo (con altri) ogni settimana a tirare a canestro. C’era anche Peter Gomez che era un mangia palloni ma che non mancava di talento.

La seconda per l'uscita di un volume sulla cronaca (nera soprattutto) de La Notte. Quotidiano del pomeriggio per il quale per qualche mese ho collaborato. Ero stato (con altri praticanti) licenziato dalla Gazzetta dello Sport dopo le dimissioni di Gualtiero Zanetti. Il contemporaneo passaggio di proprietà aveva consentito ai nuovi padroni piemontesi di dare un “taglio” agli organici. Ero senza lavoro. Da poco di più di un anno a Milano. Con poche conoscenze e la necessità di pagare affitto e bollette. E' stato un periodo duro, ma formativo. In mesi da free lance, ho anche patito la fame ma ho imparato cose delle quali mai immaginavo mi sarei occupato e che invece sarebbero diventate fondamentali nel mio futuro lavoro.

Una “leggenda”, a Milano. Dovetti fare poca strada dalla Gazzetta per bussare all’uscio di Nino Nutrizio che La Notte l’aveva fondata. Allora entrambi i quotidiani avevano la redazione in Piazza Cavour, nel Palazzo della Stampa.

Mi affaccio alla sua segreteria e chiedo di vedere “il direttore”. Non se ne parla, mi dicono. Visto che non schiodo mi chiedono il perché di tanta urgenza. Io mi vergogno a dire che mi hanno licenziato. Non ho rubato, non ho fatto il lavativo, ho sempre lavorato con scrupolo: ma forse sono stato troppo ambizioso in una testata dove ero l’ultimo arrivato.

Sono alle strette nell’anticamera di Nutrizio, che ha la porta socchiusa ma che ha “sentito”. Ho in quel momento un riflesso vincente. E dico: “Perché io so tutto sugli Uscocchi”. Nutrizio era dalmata. E io avevo frequentato a Padova, dove mi ero laureato, un complementare di Storia Moderna sulla guerra di Venezia contro i pirati Uscocchi che avevano la loro base a Gradisca.

Una voce autoritaria dietro alla porta, intima: “Lo faccia entrare”. Io entro, saluto, e faccio per sedermi davanti alla sua scrivania.

“Chi le ha detto di sedersi?”, mi apostrofa. Io mi scuso, imbarazzato e impalato.

“Adesso può sedersi”, mi dice. E continua: “Cosa sai degli Uscocchi?”.

Spiego rapidamente. Ma continuo a pensare: “Perché un altro giornale dovrebbe farmi lavorare se la Gazzetta mi ha licenziato?”.

Ma Nutrizio aveva capito. Mi dice: “Domenica c’è il derby”. Io chiedo: “Vuole che vada prima all'Inter o prima al Milan?”.

Lui mi guarda severo: “Ma quale Appiano Gentile! Vai dai tassisti. Chiedi il pronostico. Chiedi chi segnerà. Fatti raccontare qualche episodio curioso su persone che hanno, al derby, portato allo stadio”.

Poi alza il telefono e dice a Crespi che era il capo dello sport alla Notte: “Ho qui davanti uno che pretende di essere un giornalista. Proverà a fare un pezzo sui taxisti pre-derby”.

Ho un grande ricordo di quei mesi, di Nutrizio e di quella redazione sportiva. Dopo il mio resoconto su un Reyer (era la nursery di Tonino Zorzi)-Olimpia, persa da Venezia, ebbi il mio primo “scontro” con Cesare Rubini. Già ci conoscevamo, professionalmente. Alla Gazzetta ero stato io (andato alla Malpesa) a raccontare che faccia avesse Brosterhous, hippy dell'Oregon che amava la birra e i serpenti e assai poco l’allenamento. Poi con Rubini diventammo amici. E a casa sua ho visto per la prima volta le opere di Crippa, che il Principe, collezionava.

Quando mesi dopo il Corriere d’Informazione mi offrì un contratto, andai a congedarmi e a ringraziare Nutrizio che mi aveva generosamente ospitato. Mi disse: “Sono sicuro che ti farai onore”. Non l’ho mai dimenticato.



 

 



 

Cerca