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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / Fuga dal pianeta dei beceri

Lunedì 4 Novembre 2019

 

civolani 


“Ricordiamo Gianfranco Civolani, artista e inventore, che ha cantato anni meravigliosi dello sport bolognese, l’uomo sulla barricata del basket femminile a costo di rinunciare a tutto e mangiarsi soltanto una mela.”

Oscar Eleni

Sulla neve del Pamir, in Tagikistan, per raccontare alle antilopi tibetane, questa fuga dal paese dei beceri assolti a prescindere se la stuprata e priva di sensi, dalla gente che ulula per strappare le carni al giocatore sul campo, peggio se di razza e religione diversa. Mondo cane, ma certo per chi ha visto e scritto, magari sbadigliando, il derby di Torino, forse doveva far notare che gli attori in campo, quelli sì, sono antisportivi a prescindere, gente dalla sceneggiata volgare, rotolamenti per essere stati sfiorati e ci fa venire il nervoso leggere che le bestie stanno soltanto in curva. No, sono anche nelle tribune dei sciuri.

No, sono spesso sul campo e allora li capiamo questi arbitri sballottati, vilipesi, mai creduti in buonafede da chi corre con la spugna magica per salvare il giocatore “brutalizzato” con una carezza. Roba che alla finale mondiale del rugby avrebbe fatto ridere persino i nostri raccontatori televisivi che già ci mettevano del loro a farci rimpiangere l’arguzia del Munari, allenatore campione e di campioni.

Vi diremmo una bugia se dovessimo confessare chi ci era più simpatico fra Izzo e Ronaldo. Il granata era un bel tipo, sanguigno, super tatuato, coraggioso. L’altro era il padrone di tutto. Stavamo con l’uomo della difesa, fino a quella sceneggiata offensiva per tutti, cominciando dal giocatore. Poi ci si lamenta se i capibastone del tifo, quelli che incitano senza guardare la partita, spalle girate al campo, diventano eroi per le comiche degli annunci dell’altoparlante: smettetela, altrimenti si va a casa. Mai visto. Salvo nelle amichevoli. Visto invece ammonire il giocatore sfinito dagli ululati. Regolamento. Va bene ma …

Lo diremo alle antilopi se vorranno seguirci mentre intrecciamo cestelli di vimini sulla nave dei desideri, mentre ricordiamo con affetto, simpatia, il “Civola”, Gianfranco Civolani, che ha cantato, alla sua maniera, artista ed inventore, anni meravigliosi dello sport bolognese, l’uomo sulla barricata del basket femminile a costo di rinunciare a tutto e mangiarsi soltanto una mela. Gli hanno voluto bene quasi tutti nel calcio e nel basket, le sue giocatrici lo piangeranno anche quelle sradicate, come la nostra cara Marianna, e riportate alla vita dal Michelini che era allenatore tenebroso, ma geniale, dopo essere atterrata a Bologna da Fontane trovando un cappotto troppo lungo e nient’altro di quello che era stato promesso. Barricate. Il “Civola” cantava e combatteva dove poteva, dove voleva, anche con pochi soldi. Speriamo che almeno la Lega femminile lo ricordi come si deve. Che Bologna lo accompagni nell’ultimo viaggio con l’affetto e la stima che si è meritato.

Certo GFC rimpiangerà di non essere al suo posto in tribuna stampa per raccontare il Mihajlovic da combattimento che ha dato al Bologna calcio qualcosa che solo i grandi possono trasmettere, per flirtare con Sasha Djordjevic l’imbattuto nel campionato di basket che esalta la Virtus e Bononia, anche il Villalta appena recuperato dai capricci del cuore, il Renatone che sarebbe davvero il presidente giusto in questa stagione di rilancio per la più bella delle nostre città che amano il basket. Se in Lega la rassegna stampa non fosse ferma al 31 ottobre, farebbero notare che sulle tribune c’è sempre tanta gente, insomma, non saremo come il biliardo a 5 birilli, ma certo le cose funzionano e Milano che avrebbe dovuto sentirsi orfana dell’edonismo, degli scopritori dell’acqua calda, dei genialoidi che volevano farci credere di essere arrivati nel deserto dei tartari, come se i 25 scudetti e le coppe vinte prima fossero merito del caso, del famoso bayon.

Ventimila spettatori in tre partite per andare a vedere cosa sta costruendo Ettore Messina, l’uomo che sorride soltanto quando non deve lavorare duro. Quindi quasi mai. Ci ha messo del tempo, non ha ancora completato il progetto e aspetta di vedere in Mack e White quello che pochissimi adesso riescono ad intuire. Forse ha sbagliato lui nella scelta, forse noi nel giudizio affrettato. I conti si faranno alla fine, intanto l’Armani prima in Eurolega, sta risalendo anche nel campionato. Certo Messina sapeva che non poteva bastare la vittoria su Fenerbahce peggiore degli ultimi anni per raccontarci nuove storie. Serviva qualcosa di più e battere il Barcellona, forte davvero, allenato alla grande da Pesic, dice qualcosa sull’uomo che ha fatto storia dovunque, a parte il Real Madrid. Metterlo in discussione, paragonarlo al predecessore era davvero ridicolo. Allenatori e uomini diversi. Da sempre, per sempre.

Preferiamo il ruvido metodo messiniano a quello di tanti altri, anche vincenti, mai convincenti, se dietro ai loro successi hanno lasciato soltanto il bacio con la sorte, senza eredi che possano trasmettere ad altri quello che hanno imparato. Siamo dalla parte di chi dà tutto a crea giocatori che sono anche uomini, che saranno buoni allenatori domani. Insomma tifiamo per avere gente che semina per il movimento e basterebbe valutare gli italiani di questa Armani con quelli del passato per capire che certe cose si possono fare se lavori sul serio, sulla testa, sul fisico, senza escludere, cercando di includere anche quando Della Valle ti fa diventare matto e poi, dopo un paio di partite decenti, urla in faccia a chi, secondo lui, pensava non fosse adatto all’eurolega. Piano ragazzo. Giudicheremo alla fine.

Certo siamo contenti che elettrino abbia almeno ritrovato la sua maschera perduta dopo Reggio Emilia. Per tirare su di morale il Sacchetti intrappolato da Cantù, schiacciato sul fondo del barile, gli diremo che se Moraschini fosse stato portato al mondiale dopo averci lavorato davvero non ci saremmo pentiti. Così come siamo convinti che Biligha stia facendo belle cose e dispiace quello che è accaduto a Venezia quando ha finito da non giocatore nell’anno dello scudetto. Tricolore che deve pesare tanto su questa Reyer capricciosa, come l’anno scorso all’inizio, non un paradiso se il ragazzo ha deciso di firmare con Milano prima che finisse il campionato, violando l’etica, le regole, ma qualcuno ha fatto finta di non capirlo.

Così come i giocatori di questa Venezia che sembra il “mose” in prova, mai pronto anche se costa tanti marenghi, ma chi li capisce gli uomini in Laguna, un paradiso da onorare. Saranno confusi pure loro come noi dopo aver letto l’omelia indigesta del vecchio cardinale Ruini, con le stesse simpatie che tanti anni fa diedero credito e potere a chi sapete voi. Certo non tutti. Ma leggendo si potrebbe trovare qualche testimonianza, tipo quella meravigliosa raccontata da Valerio Piccioni sulla Gazza. Con questo eccellente collega, con il quale non siamo mai stati in sintonia ai tempi in cui la caccia alle streghe veniva privilegiata rispetto alle gare, all’essenza stessa dei campioni, dobbiamo complimentarci per la storia di Alberto Sed, ragazzo di religione ebraica, internato a 15 anni nel campo di Auschwitz-Birkenau (ignoto agli astenuti del nostro Parlamento quando dovevano votare unanimi per il decreto anti odio della senatrice Segre), talento del calcio, era nelle giovanili della Roma, rubato alla vita dagli ululanti di ieri che sono padri di quelli che oggi vengono protetti e sfruttati da chi ha sempre bisogno della folla plaudente, picchiante, urlante.

La sua rovesciata faceva sognare. La sua ironia parlando con Totti, “sono stato un giocatore con dei numeri” (pure questi sconosciuti agli astenuti del rosario, i sostenitori del Dio, Patria, Famiglia) riferendosi a quelli che i nazisti gli avevano impresso sulla carne nel mattatoio dove ha perso l’intera famiglia. Inutile andare avanti care antilopi chiru che ora siete protette perché un tempo vi sterminavano per fare maglie con la vostra lana, meglio sedersi a pensare alle anche sbilenche, alla fisioterapia che non allevia il dolore, passando ...

... alle pagelle del basket

di questa settimana, nella speranza che gli “italiani di Milano” non facciano come l’Alibegovic premiato la settimana scorsa e svanito nel mare di Sassari.

10 A SPISSU perché eravamo convinti che Pozzecco esagerasse non proporlo in un ruolo così delicato anche per Azzurra fremebonda. Ci piace il suo atteggiamento, ci piace come pilota una Dinamo che sa cantare e portare anche la croce, ammesso che non pesi troppo.

9 Al RICCI virtussino, un altro che guardavamo con sospetto nel salto di qualità. Pensavamo che Cremona gli avesse trovato una bella dimensione, sottovalutando Djordjevic e la scuola dove è nato: ogni giorno si lavora per fare meglio.

8 A MORASCHINI e DELLA VALLE attesi a lungo da Messina, ritrovati nel padiglione esposto al vento del Forum. Devono camminare ancora tanto, lasciando ogni speranza di potersela godere. Eh no. Adesso viene il bello. Nella sofferenza come l’Armani di oggi che assomiglia a quelle dell’epoca petersoniana, anche se poi questa storia di vedere il marchio di Messina irriterà più l’interessato della squadra. Lunga la strada anche se un Giorgio Armani quasi commosso come dopo il Barca era tanto che non si vedeva. Viva Ettorre e Leo Dell’Orco che dovrebbero essere i primi a sapere cosa li aspetta se sbaglieranno a stringere questa rosa.

7 Al veterano PANCOTTO che aveva chiesto una Cantù guerriera e l’ha trovata sul campo dove era caduta Milano. Bel lavoro del veterano che trova sempre nuove ispirazioni.

6 Al VITUCCI che non fa sconti: prima ha sistemato i soliti favoriti dell’Armani, poi la Reyer scudetto. Certo capitano anche giornate come quella di Varese, ma il doge sa davvero come guidare una squadra.

5 Al VOLLEY crudele che ha spinto più in là la partita dove Cremona veniva annientata da Cantù. Certo questi due canali sportivi RAI vengono sfruttati poco, a meno che non ci sia il biliardo o la corsa con i sacchi. Il volley poi che lancia il progetto Velasco ci innervosisce pensando a come è stato allontanato Boscia e gran parte dei “suoi”, che sarebbero poi i nostri. Voto più alto alla FIP che ha sposato il progetto scuola-sport del presidente di Legnano Tajana, premi che a marzo saranno distribuiti al CONI, insomma quello che resta, sognando che ogni anno si possa fare in quella sede la celebrazione per la casa della gloria ormai disabitata.

4 Al VANOLI mecenate di CREMONA che ha scoperto di avere una squadra che batte in testa e non troverebbe posto sui banconi delle sue ferramenta. Pensava alla ripetizione del miracolo, ma non va sempre così. Ora porti a cena il gruppo, spiegando che per certa gente è pronto un posto in officina.

3 A TRIESTE che non si rende conto di tradire il suo magnifico popolo ogni volta che sbaglia partite, come in casa contro Varese o come quella che ha dato a Pistoia i primi punti. Gloria ai toscani, ma Dalmasson non merita fantaccini al posto di cavalieri sarmati.

2 Alla PESARO che dura sempre troppo poco. San Scavolini pensaci tu. La società è in buone mani, il gruppo lavora, ma i talenti sono davvero pochi, anche per chi paga poco i giocatori.

1 Al mago OBRADOVIC che sta vivendo ad Istanbul una stagione nera, quasi peggiore di quella del Datome capitano di Azzurra. Gherardini ridacci il Fener che conoscevamo, anche se questa lezione dovrebbe servire a tutti: i grandi generali hanno bisogno di truppe fedeli, di società forti.

0 A BRINDISI che nell’intervallo delle partite invece dei saltimbanchi, degli urlatori, manda in campo ragazzini che corrono dietro una palla e provano a fare canestro. Sai l’invidia di chi, ancora oggi, non ha tre bambini da mandare in campo nei time out per rinfrescare arbitri già confusi su troppe cose. La differenza è grande fra credenti: ad esempio fra mascotte, tipo quelle che in Giappone cantavano l’inno del paese della squadra accompagnata nell’arena (sublime civiltà), e quelle nostrane che mostrano obesità e grullaggine nel saluto alla mamma davanti al televisore.

 

 

 

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