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Piste&Pedane / Tortu: dall'album delle sensazioni

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Domenica 29 Settembre 2019

 

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«Era l’obiettivo dell’anno e l’ho centrato, ma non devo montarmi la testa. La prossima stagione sarà ancora più di difficile, ma all’Olimpiade andrò con una grande consapevolezza».

Carlo Santi

DOHA – Tanta voglia di Argentina e del suo calcio. Filippo Tortu festeggia così la finale mondiale dei 100 metri anche se prima c’è la staffetta, quella 4x100 che lascia aperte le porte al sogno. «Rimango concentrato su questo obiettivo – ha detto Pippo – poi non vedo l’ora di andare in vacanza». Ci sarà spazio per un po’ di mare ma dal 21 al 23 ottobre non cercatelo: Pippo e suo papà Salvino, che è l’allenatore, sarà a Buenos Aires. «Andiamo a vedere il Superclasico alla Bombonera – la partita tra il Boca Juniors e il River Plate. Anche questo è un sogno che ho da tanto tempo e adesso di avvera. Ma quando torno, sotto con gli studi».

Si sente grande, adesso che ha corso la finale mondiale dei 100, Filippo. «Era l’obiettivo dell’anno e l’ho centrato, ma non devo montarmi la testa. La prossima stagione sarà ancora più di difficile, ma all’Olimpiade andrò con una grande consapevolezza».

Settimo tra i grandi, lui unico bianco al via, un punto di partenza non di arrivo. Non ha vinto nulla, si potrebbe dire che è arrivato penultimo, ma l’ingresso in finale è pur sempre un bel traguardo raggiunto anche se nello sport vieni ricordato per successi e primati. Per questo il ragazzo, che ha 21 anni, vuole rimanere con i piedi per terra anche se a lui piace sognare. «Sapete, quando mi sono riscaldato per la finale, nella mia testa c’era una medaglia. Ma sapevo che era impensabile, almeno adesso».

Il racconto di una giornata indimenticabile per lui è puntuale. Mostra quasi freddezza quando ricorda la semifinale, quel suo rimanere in pista fino quando non è stato letteralmente cacciato. «Mi ero reso conto di essere terzo o quarto. Quando ho visto di essere terzo, non sapevo di quale tempo avessi bisogno per arrivare in finale. Quando ha capito che il mio 10”11 era sufficiente, ho esultato. E non lo avevo mai fatto così tanto per un risultato così. Un’emozione immensa, più grande di quella provata per il record lo scorso anno (9”99 a Madrid, ndr)».

Allora Filippo è tornato al campo di riscaldamento per prepararsi e rilassarsi un poco con una partita («persa», ha confessato) a scopone scientifico. Le carte sono per Tortu quello che è stato, nello spogliatoio dello stadio Olimpiaco a Roma, il libro di chimica per Livio Berruti aspettando la finale olimpica dei 200 metri del 1960.

Poi di nuovo in campo provando sensazioni uniche. «Era l’ultima gara, non c’era più nessuno, la pista era solo per noi. E io smaniavo: non c’è mai stato un riscaldamento così, con tanta voglia di tornare sui blocchi». Non una parola con i rivali, neppure nella call room. «Che bella emozione anche lì: mi sentivo uno di loro». Loro che sono i mostri sacri dello sprint di oggi sperando un giorno di non scoprire imbrogli.

Poi lo stadio, la pista, la presentazione, l’emozione sotto i riflettori. «Ci avevano spiegato cosa fare, non avevamo capito. Stavamo per uscire credendo di dover rientrare uno alla volta, ...».

Era in seconda corsia. Accanto c’erano gli americani. «Me li sono visti partire così forte. La seconda corsia, ovvero il primo? Nessun problema. Meglio la nona in semifinale. Lì dovevo provare a realizzare l’impresa. Ero distante dagli altri e sapevo che non mi avrebbero guardato. Li ho un po’ sorpresi».

Felice è felice, Tortu, mentre il papà lo osserva e prepara i programmi futuri. «L’anno prossimo? Ora non ho idea di cosa sceglieremo. – chiarisce Filippo – Adesso fatemi pensare solo alla staffetta. L’unica pecca nei 100 è non aver ancora realizzato il minimo olimpico».

 

 

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