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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Un altro pezzo del puzzle e' andato a posto

Domenica 29 Settembre 2019


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Il più pallido dei finalisti mondiali dei 100 (come ha ricordato con eccesso di pudore il maggior quotidiano italiano) ha superato un'altra tappa del suo percorso di crescita. O almeno tale pare se è vero che anche per un millesimo è lecito delirare, ... o no? Intanto godiamocelo tutto.


Giorgio Cimbrico

E così a Doha dove il caldo avvolge come un boa, davanti a un pubblico da campionato di società (ridicolo …), in una tensione che stritola come un’anaconda prima di sciogliersi in un commozione salda, non sciropposa, Filippo Tortu, il più veloce italiano di sempre, diventa anche l’azzurro che mette le zampe veloci sul miglior piazzamento mondiale di uno sprinter di casa nostra. D’accordo, c’è anche Pier Francesco Pavoni, ottavo – e poi settimo dopo la successiva squalifica di Ben Johnson – nella finale passeggiata di Roma ’87, ma non sottilizziamo.

E io, in questo momento, più che a lui, a Pippo, penso a Salvino, soprannominato Mussalvini (“figlio mio” lui lo può dire con tutti i crismi dell’ufficialità: il vecchio Sam Mussabini era guidato solo dalla stima, dall’affetto per il suo allievo Harold Abrahams: vedi scena del film che finisce per provocare sempre qualche lacrima), che ha continuato sulla sua strada, dribblando quelli che Gianni Brera chiamava i ferrigni critici, i dubbiosi, i maligni, quelli che, avrebbe detto Enzo Jannacci, hanno sempre d dire qualcosa contro, mai a favore, quelli che non hanno capito che c’è un piano, c’è un percorso, c’è un programma e per il momento ogni pezzo del puzzle è andato al suo posto e non è solo culo: sotto i 10"0, fatto; finale mondiale, fatta. Le due volate giuste al punto giusto, nell’occasione che conta. Spostare l’orologio – prego, il cronometro – sull’ora di Tokyo. E se nel frattempo fa 9"90 siamo tutti contenti.

La semifinale, ai vecchi, ha ricordato - in scala ridotta  la rimonta di Pietro su Wells a Mosca. Dai 50  sino a quello che Pippo ha chiamato il filo di lana, una vampata ordinata, l’assetto necessario, il rinvenire sulla muta, la finale conquistata per la frazione di un battito di ciglia in fondo a una di quelle attese che straziano, stile Butterfly.

E a quel punto di attesa ne è scattata un’altra, questa lunga davvero, tre ore e mezza, passata a  domandarsi come sarebbe andata a finire e con una sicurezza: ultimo non arriva. E infatti va proprio così: settimo, davanti a Aaron Brown, battuto a Rieti a stagione appena sbocciata, battuto qui in questo autunno bollente. Là, in Sabina, 9"97, e sono scuro che fossimo stati in Texas o in Florida lo avrebbero dato per buono. Ora 10"07, il suo miglior tempo di stagione, tre metri dietro Christian Coleman, che ha goduto di un non luogo a procedere da parte dell’Usada, due metri dietro il vecchio Justin Gatlin detto il Cavaliere Oscuro ma che almeno ha il pregio di essere molto gentile, e il peso leggero Andre de Grasse, un specie di Mercurio con l’acero ai piedi. Zharnel Hughes, campione d’Europa, è terribilmente vicino, molto più che a Berlino.

A Doha non sono andato e qualche amico e amica – andati – mi hanno detto che ho fatto benissimo. Do un’occhiata ai Mondiali di ciclismo, nello Yorkshire, e mi dico: pensa che c’è chi va a Doha, a Dubai per “turismo”. Meglio una guest house dai pavimenti scricchiolanti che uno di quei grattacieli. Una volta, scusate la digressione, a Southampton ho dormito in un vecchio albergo dove erano molto orgogliosi di ospitare sette fantasmi, uno era un monaco senza testa. Una notte mi sono svegliato e avevo i capelli diritti. So bene che Gordon, Doughty e Lawrence erano innamorati del deserto, ma io amo l’Europa e dei Mondiali su quel territorio ho ricordi meravigliosi: i 50.000 delle 9 del mattino a Stoccarda, il cielo limpido di Goteborg, il caldo secco e feroce e il fresco serale di Siviglia, il boato di St Denis, la pioggia senza fine di Helsinki, l’aria berlinese dell’Olympiastadion,  la linea rossa della metro londinese stracolma di aficionados, fan in inglese.

 

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