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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / La palla ovale del sol levante

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Venerdì 20 Settembre 2019


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In un quarto di secolo di professionismo, il rugby è cambiato per il giro di denaro prodotto, per l’interesse dei network televisivi e del mondo finanziario, per le pieghe regolamentari, per l’apertura alle donne e al gioco a 7 (sport olimpico).


Giorgio Cimbrico

Non è che qui se ne parli molto ma in Giappone sono cominciati i Mondiali di rugby. In realtà, Coppa del Modo intitolata William Webb Ellis, abate e inventore del gioco (il 200° anniversario nel 2023), sepolto nel cimitero vecchio di Mentone. E’ la nona edizione, la prima in un paese non ovale. Insomma, non troppo ovale: negli ultimi anni i giapponesi qualcosa hanno combinato: la giornata di gloria rimane quella di quattro anni fa, a Brighton, quando per cuocere la carne stile Kobe scelsero quella degli Springboks sudafricani.

La prima domanda è: dopo le trionfali e remunerative campagne del 2007 in Francia e del 2015 in Inghilterra, Giappone 2019 sarà all’altezza per pubblico, incassi, interesse? I giornalisti inglesi sul luogo sostengono che l’attenzione è più rivolta a Tokyo 2020, distante a palmi una decina di mesi. Il comitato organizzatore risponde che 1,6 degli 1,8 milioni di biglietti sono stati venduti e che sono annunciati 400.000 fan d’oltreoceani. Il resto verrà dal tessuto corporativo del rugby (e del calcio) giapponese, proprietà delle grandi aziende: almeno un pomeriggio di rugby toccherà a decine di migliaia di dipendenti.

In un quarto di secolo di professionismo il rugby è cambiato per il giro di denaro prodotto, per l’interesse suscitto nei network televisivi e nel mondo finanziario (la Cvc sta acquistando a peso d’oro un 30% del 6 Nazioni e ha messo le mani su Pro14), per la mutazione dei fisici dei giocatori, per le pieghe regolamentari, per l’apertura alle donne e al gioco a 7 (sport olimpico), per il tentativo di esplorare nuove frontiere. E’ persino cambiato il nome della federazione mondiale, non più Irb, International Rugby Board, ma WR, World Rugby. Più moderno.

Qualcuno si ostina a rappresentare il rugby come un monolito stile 2001 ed è una buona immagine, ma io preferisco pensarlo simile alla piramide di Saqqara, più vecchia delle tre di Gizah e da lì visibile se il sole non abbacina troppo. E’ costituita da quattro giganteschi gradoni e dà l’idea di non poter essere scalata. Chi è sul gradone più alto, lì rimane. Idem quelli che stanno sotto. Nel calcio capita che il Kosovo batta la Repubblica Ceka, due volte finalista mondiale, che la Svizzera metta in difficoltà il Brasile.

Il calcio è copernicano, il rugby è tolemaico: alcuni pianeti fissi, immobili, e gli altri che ruotano a debita distanza sapendo che se la loro orbita li porterà da quelle parti verranno devastati da mostruosi colpi di maglio. Significativo che in 32 anni le partecipanti alla fase finali siano passate da 16 a 20. Nel calcio sono 32 e si parla di una prossima Coppa del Mondo a 48. Se l’Italia 14.a batte 85-15 la Russia 20.a qualcosa vorrà dire.  Così come la Nuova Zelanda che ne fa quasi 100 a Tonga, fabbrica depredata di campioni.

Importante anche dare un’occhiata al breve albo d’oro che prende il via con il 1987: Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, Australia, Inghilterra, Sudafrica, Nuova Zelanda, Nuova Zelanda. Otto vittorie dell’emisfero australe, una del continente boreale. E’ giusto ricordare che la Francia ha giocato tre finali: è un paese rugbystico che ha scritto pagine indimenticabili e gli All Blacks sono stati costretti ad annotarne alcune nel loro libro nero.

Traendo un po’ di succo a pronta assimilazione, la Nuova Zelanda ha attualmente in facciata qualche piccola crepa, ma può puntare al tris consecutivo (mai riuscito neppure nella dimensione della palla tonda), il Sudafrica delle “quote nere” (ma senza esagerare, con il consenso del governo di Pretoria) può essere lo sfidante e sullo stesso piano, più che l’Irlanda (in testa al ranking mondiale per qualche diavoleria che lascio ai cultori degli algoritmi) c’è l’Inghilterra: un bel branco di agili montoni, di veloci bisonti, preparati sino all’ossessione da Eddie Jones, australiano con madre giapponese e così a suo perfetto agio nell’arcipelago.

L’Italia mi ricorda quei nobili minori che venivano invitati a corte ma non potevano sedersi E’ sempre rientrata tra le ammesse alla fase finale, non ha mai superato il girone: il ricordo più doloroso è del 2007, a St-Etienne: 18-16 contro una modesta Scozia. Il giorno dopo sembrava di esser tornati sui banchi del ginnasio, quando studiavamo l’Anabasi di Senofonte, coinvolti in una rassegnata ritirata.

Altra costante: al Mondiale si arriva sempre con il commissario tecnico in scadenza, questa volta con spezie e peperoncino in più. L’erede di Conor O’Shea, che andrà a occuparsi da manager di faccende non ovali, doveva essere il gallese Rob Howley, rimpatriato qualche giorno fa perché impelagato in un’indagine su indebite scommesse. Nuovi candidati cercansi.

Gli azzurri giocheranno domenica mattina con la Namibia e vinceranno larghissimo, poi contro il Canada e vinceranno largo. A seguire, Sudafrica e Nuova Zelanda. Possono sperare che si ripeta un singolare evento che risale al 1281 quando la gigantesca flotta mongola di Kublai Khan, cantato anche da Coleridge, mosse alla conquista del Giappone. Venne spazzata da un gigantesco tifone. Lo chiamarono vento divino. Kamikaze.

 

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