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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Napoleone, Homo Olimpicus: fu vera gloria?

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Sabato 17 Agosto 2019

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Due giorni fa, a Ferragosto, è caduto il 250° anniversario della nascita del Grande Corso. Un occasione per ripercorrere - con un po' di fantasia e un pizzico di irriverenza - in chiave sportiva la sua vita, la sua ascesa, la sua caduta.

 

Giorgio Cimbrico

Duecentocinquant’anni fa nasceva Napoleone Bonaparte che a Milano ha lasciato l’Arena (tra meno di un anno tornerà utile per il Golden Gala) e a chi l’ha ammirato, avversato, odiato, combattuto un volume sterminato di storie, di dibattiti possibili, di dubbi, di interrogativi. Fu vera gloria? Diceva Manzoni. C’entra qualcosa N con lo sport olimpico? Sì, perché praticava uno sport olimpico, l’equitazione, con una continuità tale da meritargli una virtuale convocazione nella squadra per il “Completo”.

 

Non sono parole generiche: nel 1809 mollò la campagna iberica, che andava male e sarebbe andata anche peggio, e in tredici giorni galoppò da Burgos a Parigi con un piccolo seguito, dormendo solo qualche ora (come tutti i grandi non buttava il tempo) e sfiancando un cavallo dopo l’altro. Da Parigi, con le chiappe ormai quadrate, si diresse verso il fronte danubiano in carrozza.

Sotto il profilo atletico, non era granché: appena ventisettenne, nel 1796, si fece prendere dall’entusiasmo e brandendo un tricolore andò all’assalto del ponte di Arcole, ma perse la coordinazione e finì in un fosso, ripescato da un paio di attendenti.


Alla scuola militare di Brienne una delle materie era sicuramente la scherma ma non si conoscono le attitudini del giovane corso che, ancora adolescente, divorava classici e si cimentava in avventure letterarie con esiti piuttosto goffi. Di sicuro la sciabola non venne estratta al momento del colpo di stato del 18 Brumaio.  A svuotar l’aula avevano pensato il fratello Luciano, i granatieri che ancora non erano veterani e brontoloni (grognards) ma che sin dall’Egitto, qualche mese prima, avevano imparato che la guerra molto spesso più che combattendo la si fa marciando, possibilmente alla svelta,  a medie di 40 chilometri al giorno, zaino sulle spalle.

Qualche volta, specie quando si trovava nei pressi dell’amata Vecchia Guardia, l’Imperatore scendeva da cavallo e faceva un tratto di strada con i suoi fedeli, raccogliendo immancabili lamentele (il buon soldato si lamenta sempre), riconoscendo volti, promettendo pensioni (di solito manteneva), ricordando vecchi fatti d’arme. Camminare gli piaceva e, anche se un po’ appesantito nel ventre, lo dimostrò quando ebbe in testa la microscopica corona dell’isola d’Elba, percorrendo i sentieri e giungendo sino alla sommità del monte Capanne, per dominare con uno sguardo, ovviamente d’aquila, il suo minuto reame che gli andava strettissimo.

Proprio dall’Elba parte una delle imprese “sportive” di N, un’improvvisa regata per passare tra le navi britanniche che montano la guardia all’isola, e a bordo dell’Incostant, con lo scafo sagacemente ridipinto, far vela verso la costa francese, a Golfe Juan, nei pressi di Cannes. E’ l’unica pagina marinara che gli sorrise. Ad Abukir e a Trafalgar, due disastri.

Dall’approdo sulla Costa Azzurra prendono il via i Cento Giorni che si concludono a Waterloo. Chi, tra i giornalisti che campano scrivendo di sport, non ha usato i Cento Giorni, chi non ha etichettato Waterloo una rovinosa e definitiva sconfitta, chi non è ricorso al Sole di Austerlitz per definire un clamoroso rovesciamento, chi non ha rispolverato, per qualche avvenimento luttuoso, il 5 maggio?

Riconosciamolo: molti di noi hanno un debito con lui, finito, dopo una dimostrazione di scarsissimo fair play britannico, in un’isola dimenticata e inospitale. In un mondo più giusto, N sarebbe finito “ospite” dei vecchi nemici e magari, invecchiato, lo si sarebbe visto alle corse, a Ascot, a Epsom, a Cheltenham, dove le siepi gli avrebbero ricordato certe cariche di quella testa di legno di Murat.    .    

Appendice. La storia mi è stata narrata da un caro amico che non c’è più, Giulio Vignolo, a lungo  capo della redazione sportiva del Secolo XIX. In viaggio con il Genoa per una trasferta a Cagliari, Giulio lanciò un’occhiata sul cruciverba su cui era impegnato un giocatore rossoblù. La definizione il Grande Corso, nove lettere, era già stata risolta: Mariolino.

 

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