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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / C'era una volta pane e salame

Mercoledì 24 Luglio 2019

pane-e-salame


Se tutto cambia, e rapidamente, come non rivolgere un po' d'attenzione alle mutazioni della tavola e dei suoi riti? Oggi risolte, o ridotte, a qualche integratore dalle misteriose e insapori qualità teraupetiche.


Giorgio Cimbrico


Quando vedo un commissario tecnico fare la pubblicità a un integratore che può assumere le più diverse forme – liquido, in barretta, gelatinoso a diversa densità: la famigerata crisi di fame, la fringale, scongiurata, … – mi viene in mente quando l’alimentazione dei corridori era affidata a cibi più semplici, rustici: pane e salame, pane e formaggio. Il prosciutto cotto, la marmellata e il miele sono venuti dopo. Al tempo in cui il vecchio Desgrange obbligava i forzati della strada a fatiche inumane, qualcuno portava con sé anche un mezzo litro di rosso. Qualcuno sostiene che tra chi era già rassegnato a remigare lontano dai primi, girasse qualche toscano.

L’alimentazione e le buone abitudini sono diventate parte vitale degli exploit - e della durata - dei campioni. Pensate al piccolo Joseph Guillemot che nella finale olimpica dei 5000, il 17 agosto 1920, lasciò Nurmi a venti metri. Il finlandese era di parchi costumi, il francese, nativo dell’Aquitania, fumava un pacchetto di Gitanes al giorno e amava la buona tavola. Gli fu fatale tre giorni dopo: partecipò a un sontuoso pranzo e solo all’ultimo momento venne informato che la finale dei 10.000 era stata anticipata di tre ore per espresso desiderio di Sua Maestà Alberto I che doveva inaugurare una mostra d’arte. Il tempo di alzarsi da tavola, correre allo stadio intitolato al generale Pershing e battersi allo spasimo con Nurmi che ebbe la meglio solo all’ultimo giro, spuntandola per un secondo e mezzo su chi occupò gran parte della gara in una difficile digestione.

In tempi molto più recenti il regime alimentare di Usain Bolt non era esemplare: il Lampo prediligeva il pollo fritto, ali o polpa non facevano differenza, ma, ad ascoltare il padre Wesley, la forza del figliolone veniva dal yam, la manioca che è il vanto della contea di Trelawny, Giamaica del Nord, dove il giovanotto ha visto l luce, prima di renderla accecante e inondarne il mondo.

Penso che i campioni, specie quelli del nostro tempo, non sappiano o non possano apprezzare il buon cibo e il buon vino. Una collega mi ha raccontato che un incontro all’ora di pranzo con Yelena Isinbayeva, quando la zarina risiedeva a Montecarlo, si risolse in un piatto di trofie al pesto e un cappuccino. L’inviata non ebbe l’ardire di consigliarle due dita di vermentino di Finale Ligure.

Astemia? Tra i russi è difficile incontrarne. Qualche anno fa fecero il giro della rete le immagini di Ivan Ukhov che, palesemente ubriaco, confabulava on un giudice. Personalmente ricordo una tavolata, nella festa finale della Coppa del Mondo di Johannesburg, che aveva tra le sue più attive animatici Svetlana Masterkova. Ma anche dove ero finito io, si trincava di gusto sotto l’anfitrionica direzione di Steve Backley: rosso e bianco di Stellenbosch e di Paarl e lattine di lager.

Quel che mi ha più impressionato è il radicale mutamento di abitudini del rugby, un tempo regno pantagruelico, che va avanti ad acqua minerale non gasata e che si concede qualche strappo solo dopo la partita. Ma anche le delizie alcoliche e gastronomiche del terzo tempo sono in pericolo: di recente Eddie Jones, ct australiano dell’Inghilterra, ha imposto una comparsata al ricevimento e un immediato ritorno in hotel per consumare un asettico pasto. I tempi delle mangiate di ostriche, innaffiati di Guinness, sono lontani, sprofondati nelle ere in cui la sera gli All Blacks in tour si riunivano nel fumoir dell’albergo: c’era chi sfilava dalla giacca l’astuccio dei sigari, chi pescava dalla borsa del tabacco. Noi in questa galleria di viziosi e depravati possiamo inserire Zeno Colò, affezionato al pacchetto delle Nazionali semplici, chiamate, per darsi un tono, Napoleon blu.

Ultimo tabagista visto sul campo, Thierry Vigneron: 5.91, record del mondo, e una Gauloise appoggiato ai sacconi attendendo gli eventi. Dieci minuti dopo Bubka scavalcò 5.94 e quel record divenne cenere. Tutto passa, dicono i francesi.

 

 

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