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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Parita', per ordine della regina

Martedì 16 Luglio 2019

 djokovic 
 
"Non è vero che 'breve è bello', che accorciare i tempi sia forzatamente necessario. Dopo 4 ore e 57' nessuno aveva voglia di lasciare il Centrale e nessuno a casa aveva voglia di alzare i glutei."


Giorgio Cimbrico

Il 14 luglio 2019 rimarrà nella storia dello sport inglese come il giorno della triplice corona: per accarezzarla ci hanno messo 53 anni, sempre ricorrendo ai tempi supplementari e ai brividi connessi, ma ce l’hanno fatta e ora sono molto felici perché quel che mancava era il titolo del cricket, andato sempre a coloniali (Australia, Sudafrica), a vecchi sudditi del subcontinente indiano o a quelle che qualcuno chiama ancora West Indies, Indie Occidentali, le isole nella corrente di Papa Hemingway, l’arco che va dalle Bahamas  a Trinidad, Giamaica compresa.

 

A Lord’s, in fondo a un interminabile match con la Nuova Zelanda deciso al super over, sono impazziti di gioia perché il cricket non è proprio uno sport, ma l’essenza dell’anglicità, giocato da tempo immemore al ritorno dl lavoro nei campi, amato da tutte le classi sociali, esportato con successo in tutto l’Impero. teatro di una accesa e infinita sfida con gli “aussies” - le Ceneri - e presidiato dalla figura, simile a quella di un patriarca biblico, di WB Grace. Il cricket è una colonna sonora, è un gradito rumore di fondo, è un’abitudine, è una consolazione, proprio come una tazza di tè, illanguidito con un goccio di latte. Se qualcuno dice che è noioso, non è inglese.

Il 14 luglio della Presa della Terza Corona – la Bastiglia meglio lasciarla a quelli che stanno al di là del Canale e che, al tempo della Guerra dei Cento Anni, assistevano allibiti alle prodezze balistiche degli occupanti – riporta in orgogliosa superficie il 30 luglio 1966 e il 22 novembre 2003. Nella prima data, davanti a una 40.enne Regina in giallo tuorlo, dopo 120’, con un tripletta - e un gol-non gol  di Geoff Hurst, i Ramsey’s Boys atterrarono la Germania, ancora Ovest, che poco più di vent’anni prima avevano affrontato in quello che spietati columnist di Fleet Street definivano “il loro sport nazionale”.

Nella seconda occasione, condottiero Clive Woodward, un drop di Jonny Wilkinson, un pugno di secondi alla fine del tempo extra, piegava l’Australia e dava alla Rosa, dopo il titolo mondiale con la palla tonda,, anche quello con la palla ovale. Tutte invenzioni loro, come il cricket. Curioso che sia a Wembley che a Sydney in campo ci fosse un Cohen: George nel calcio, Ben nel rugby. Zio e nipote. Qui nessun Cohen, ma un valido aiuto da parte della componente pakistana del paese.

Lord’s è dalle parti dello Zoo, a Regent’s Park. A non meno di una ventina di fermate di underground, con un cambio di linea, lo stesso giorno a Wimbledon si è giocata la finale dei Championships. Non credo sia il caso di tornarci su, se non per qualche osservazione.

Non è vero che “breve è bello”, che accorciare i tempi sia forzatamente necessario. Dopo quattro ore e 57’ nessuno aveva voglia di lasciare il Centrale e nessuno a casa aveva voglia di alzare i glutei. Credo che anche Djokovic (foto ITF) e Federer, riunendo le loro ultime energie, sarebbero andati avanti, ma da quest’anno anche i vertici dell’All England hanno chinato, in parte, il capo rassegnandosi a una concessione: tie break sul 12-12 al quinto set. Del tutto d’accordo con il vecchio Clerici: Elisabetta la Grande, detta anche Gloriana, sarebbe scesa in campo, attorniata dai suoi palafrenieri, e ordinato che i Championships avessero due campioni. Parità, per ordine reale.

 

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