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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Terza Pagina / RLQ: addio all'ultimo dei Maestri

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Martedì 14 Maggio 2019

 

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(gfc) Ho conosciuto Roberto sulle pagine scritte a macchina e mimeografate di Track&Field News sulle quali teneva un gustoso European Report, una sintesi mensile sull'atletica europea. Correva l'anno 1956, quello dei Giochi di Melbourne. Di persona l'ho incontrato qualche tempo più tardi, quando mi fece accogliere nel ristretto novero dell'ATFS, quinto italiano dopo lui, che l'aveva fondata, Bruno Bonomelli, Luigi Mengoni e Salvatore Massara. Conservo ancora le lettere con le quale rispondeva alle mie petulanti richieste (non so se oggi i giovani conoscono il valore delle lettere e il piacere della loro attesa). Mi sono sempre considerato suo amico, ammesso alla sua ristretta cerchia, ma sempre con una certa dose di rispetto e di ammirazione. Come dovuto ad un Maestro.

Tra i miei ricordi conservo il piacere che mi procurò scoprire con lui nel 1966 angoli sconosciuti di Firenze, o in qualche parte del mondo, quando nel 1971 ad Helsinki volle tornare a vedere la casa che l'aveva ospitato durante i Giochi del 1952, o a Tokyo nel 1991 quando lo accompagnai a visitare l'ultimo tempio scintoista sopravvissuto alla guerra. Una pacata curiosità sempre viva e che non si appagava facilmente. Una grande perdita per tutta una generazione cresciuta e invecchiata al calore dei contatti umani e dell'amicizia.

Forse il ritratto più veritiero di RLQ lo ha tracciato Gianni Brera firmando la prefazione all'edizione italiana dell'opera più importante di Roberto, "A World History of Track & Field Athletics 1864-1964", quattro anni dopo tradotto da Longanesi in un mortificante "Atletica Mondiale". Un omaggio a questo timido "fiorentino di genio" ed al suo tempo che meriterebbe di figurare in una antologia dell'atletica. Se mai ne esistesse una.  


Giorgio Cimbrico

(articolo tratto dal sito FIDAL)


Un benedetto toscano che, al primo incontro e anche a quelli successivi, poteva apparire appartenente a quella tribù di anglo-fiorentini orgogliosi di una doppia identità. In realtà Roberto Luigi Quercetani, che se n’è andato via a 97 anni toccati da dieci giorni, era fiorentino tutto intero, ma per misura, stile, atteggiamento, umore, disponibilità, poteva appartenere a tutti i mondi possibili, a quelle sfere vaste ed ecumeniche proprie dell’atletica, che in lui diventava compiuto prodotto di storia, di letteratura, di vicende di uomini, di curiosità spesso amene, con la precisione dei numeri a spargere le spezie necessarie, mai dominanti.

Era fiero del doppio nome che gli avevano imposto: gli ricordava un altro Roberto Luigi, quello scozzese dell’Isola del Tesoro. Lui l’aveva trovata nell’atletica, conosciuta, come una folgorazione o forse un destino, quand’era bambino, in piazza Vittorio Emanuele – poi della Repubblica –, a Firenze quando venne esposto un cartellone che annunciava la vittoria di Luigi Beccali ai Giochi di Los Angeles: era il 4 agosto 1932. Traccia di quell’indelebile ricordo sarebbe emersa in una delle sue tante opere, quella dedicata ai protagonisti della più nobile delle distanze, il miglio.

Oggi, dopo la sua scomparsa, non è facile trovare il filo giusto per percorrere il lungo itinerario della sua vita, dei suoi inizi, dello sciolto inglese che imparò diventando interprete delle truppe alleate.

Soccorrono i ricordi, le chiacchierate sul lungo viaggio in treno che lo portò nel 1952 all’austera Olimpiade di Helsinki: era appena iniziata l’interminabile collaborazione con la Gazzetta dello Sport ed era stata appena partorita l’ATFS, l’associazione degli statistici di atletica, primi ordinatori, in smilzi volumetti oggi rari e preziosi, di quel che stagione dopo stagione avveniva nel mondo.

“Il postino si stupiva della quantità di corrispondenza che doveva recapitarmi”, raccontava sorridendo dietro alle lenti tonde che Gianni Brera accostò a quelle di James Joyce. Il suo “Ulisse” Roberto lo componeva attraverso i corrispondenti che aveva in Germania e Inghilterra, ma anche nelle Fiji o nell’Africa che stava per vivere la decolonizzazione e il rapporto si intratteneva mediante una busta affrancata. L’immediatezza odierna era una straniera, neppure futuribile.

Nel 1956, novello Phileas Fogg, fece il giro del mondo, da Firenze a Firenze, attraversando gli Stati Uniti e lì riunendosi agli altri statistici, per raggiungere l’Australia e vivere i Giochi di Melbourne. “Al ritorno – raccontava – mi rimanevano 5000 lire in tasca e comprai un balocco per mio nipote alla stazione Termini”.

Parlava e scriveva in francese, inglese, tedesco, spagnolo – esser poliglotta lo riempiva d’orgoglio –, leggeva lo svedese, aveva nozioni del terribile finlandese. Agli Europei del '94 una libreria del vialone che porta allo stadio di Helsinki esponeva al posto d’onore una copia del suo libro sui maestri del mezzofondo: Kolehmainen, Nurmi, Ritola.

Nel 1964 la Oxford University Press pubblicò quella che viene considerata l’opera chiave sua, e in genere per la comprensione storica dell’atletica: “A World History of Track and Field Athletics 1864-1964” conobbe successivi aggiornamenti e costituisce ancor oggi uno dei fondamenti della pubblicistica sportiva, non solo atletica.

Ha scritto per la Gazzetta, per la Nazione, per Atletica Leggera, per Atletica e per l’Annuario della FIDAL (nel prossimo comparirà il suo ultimo ranking mondiale), per Leichtathletik, per periodici inglesi, americani, svedesi, ed è stato uno dei padri fondatori dell’Archivio Storico dell’Atletica Italiana. Era un Maestro – si dice e si scrive così, in tutte le lingue del mondo - senza tracce di arroganza, sempre disposto a dare una mano, con una sollecitudine che lasciava sorpresi. “Aspetta solo un minuto”, diceva interrompendo per un attimo la comunicazione. E subito tornava all’apparecchio con l’informazione richiesta. Anni di raccolta paziente, di schedatura di fatti, di personaggi, di cifre lo avevano trasformato nel più gentile dei computer e, sinché ha frequentato le tribune, nel più piacevole “compagno di banco”, dotato del distacco giusto e di un entusiasmo pacato. Gli è stato lieve il mondo, gli sarà lieve la terra.

 

 

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