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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Saro' greve / I triangoli pitagorici di Klaus e Natalino

Lunedì 15 Aprile 2019

 

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La storia, è appena il caso di dirlo, siamo noi ... Continua con questa nuova puntata il viaggio alla riscoperta (mai troppo necessaria) dei grandi Maestri che hanno forgiato lo Sport italiano a cavallo della indimenticabile Olimpiade di Roma.

 

Vanni Loriga

 

Questo “greve” è dedicato al pugilato italiano e a quei Maestri che nell’ultimo secolo l’hanno fatto grande. Parto dalla premessa che la mia carriera giornalistica ebbe inizio proprio con un articolo sulla boxe, pubblicato nel 1950 da Paese Sera, il cui responsabile delle pagine sportive era Antonio Ghirelli. Vivevo allora a Civitavecchia ed intervistai Alvaro Cerasani (detto “er palletta”, allievo di Lucifero Panaccione), che si preparava al combattimento per il titolo tricolore dei pesi piuma nella palestra di Carlo Saraudi. E qui usciamo dalla cronaca ed entriamo nella storia.

Carlo era stato il primo civitavecchiese a partecipare ai Giochi Olimpici. Medio-massimo, sfiorò il podio nel 1924 a Parigi e fu praticamente il fondatore della scuola pugilistica della città porto di Roma.

Vittorio Tamagnini primo olimpionico

La vecchia Centumcellae può vantare un albo d’oro pugilistico invidiabile. Su tutti è doveroso ricordare Vittorio Tamagnini, il primo olimpionico del pugilato italiano (Amsterdam 1928) e Franco Scisciani, che ci ha lasciato poco tempo fa e che vidi combattere ai Giochi di Melbourne. La sua Olimpiade terminò nei quarti, battuto ai punti da un campionissimo che rispondeva al nome di Jose Torres. Che a sua volta in finale dovette fare i conti con l’imbattibile ungherese Laszo Papp, al suo terzo oro consecutivo. In quella occasione conobbi i due grandi allenatori che toccarono con i loro allievi il tetto del mondo: Steve Klaus e Natale Rea.

Quando un Mussolini presiedeva la FederBoxe

Steve Klaus, uno statunitense con radici magiare (nato ad Etna, ma la Sicilia non c’entra perchè si tratta di un sobborgo di Pittsburgh) era stato chiamato in Italia nel 1937 dalla Federazione. Godeva di meritata fama anche perché i pugili ungheresi da lui allenati avevano vinto la medaglia d’oro sia a Los Angeles 1932 (Istvan Enekes) che a Berlino 1936 (Imre Harangi).

Klaus e Rea, suo vice, mi dissero un gran bene di un giovane welter pesante che non avevano voluto lanciare nella fornace australiana, Si trattava di Giovanni “Nino” Benvenuti che allora aveva 18 anni.

Lo conobbi personalmente e lo frequentai negli anni successivi, dal 1957 al 1960 quando, istruttore alla Scuola Militare di Educazione Fisica (SMEF) di Orvieto, per un certo periodo ebbi l’incarico di comandare il Plotone Pugili del CS Esercito. Fra i miei soldati ci furono fra gli altri gli olimpionici Franco Musso e Francesco De Piccoli di cui seguii tutti gli allenamenti. Che erano diretti da Natale Rea coadiuvato da Armando Poggi. Nel gruppo c’era anche Nino, allora ausiliario nei Vigili del Fuoco. E lo stesso Benvenuti, che ha sempre affermato di avere imparato la boxe guardandosi allo specchio, ammise di aver appreso molto da Klaus. Da lui soprattutto imparò a formare “un pitagorico angolo con il braccio sinistro”.

Perché è pericoloso tirare il destro

Parlando del sinistro nel pugilato vale ricordare quanto insegnavano i Maestri di quel tempo. Natalino Rea mi ammoniva sempre: “A sor tenente, perché non si porta il destro che pure fa male? “

E dimostrava come scoccando il diretto destro ci si scopriva pericolosamente. Ma proprio nella finale olimpica, dopo il primo round contro il roccioso sovietico Yury Radonyac, consigliò a Benvenuti di osare. “Alla fine della seconda ripresa – ricorda Nino – evitai di un millimetro il suo sinistro, mi buttai dentro la sua guardia e lo colpii alla mascella. Vidi come una raggiera di gocce di sudore che si alzava dalla sua testa e lui a terra, contato. Si rialzò ma l’incontro era deciso”.

Consiglio giusto al momento giusto. Natalino Rea nel 1957 era subentrato a Steve Klaus che gli aveva lasciato l’eredità di dieci medaglie (due ori) vinte a Londra 1948, Helsinki 1952 e Melbourne 1956. Per tre anni lavorò in silenzio nella SMEF orvietana, puntò sui giovani, fece calare di categoria Musso e Benvenuti.

In lode del sinistro di Lucifero

Il bersagliere trasteverino di Vicolo del Piede, ottimo pugile (Guanto d’Oro nel 1939 al Madison Square Garden in un lontano USA-Italia), primo al corso allenatori tenuto da Klaus, stabilì a Roma il record di sette medaglie, con buona replica nel 1964 a Tokyo (cinque podi con gli ori di Atzori e Pinto). A Roma da segnalare anche il bronzo di Giulio Saraudi, figlio di quel Carlo che abbiamo citato all’inizio.

Non sarebbe però giusto, trattando di quel periodo e della “prevalenza del sinistro”, omettere di ricordare il citato Maestro Panaccione. Lucifero Arbace Ribelle, detto “Pipero”, era figlio di Tommaso Panaccione, un professore anarchico di matematica che aveva imposto ai suoi sette figli nomi sicuramente non rinvenibili sul martirologio. Ricordo, se non vado errato, che Pipero mi parlava di due sue sorelle chiamate Scintilla e Libertà.

Il professor Tommaso fu molto deluso da Lucifero che si dedicò alla boxe con buoni successi e che in gioventù prestò servizio nella Milizia della strada. Spesso fece scorta motociclistica a Benito Mussolini quando si spostava in Romagna, Ed ogni volta, terminato il desinare nella famosa trattoria Antico Furlo dell’omonima gola sulla Flaminia, invitava Panaccione a dimostrare le sue doti eccellenti di tiratore con la fionda. “Guglielmo Tell, fammi vedere!” e lanciava in aria una moneta da cinque lire. Pipero con un pallino da caccia lanciato della sua mazzafionda la centrava; ricaricava a razzo con un altro pallino che teneva stretto fra le labbra e faceva ribalzare dal terreno la famosa cinque lire detta anche scudo.

Lucifero allenava anche i pugili che prestavano servizio presso la Compagnia Atletica alla Cecchignola che comandai dal 1963 al 1966 e in quel periodo mi recitò la sua poesia dedicata, ovviamente, al “sinistro”. Cerco di ricordarla.

IL SINISTRO

“Nel sinistro c’è l’arte e l’eleganza, la finezza, /
l’impostazione di un boxeur. /
Avere un bel sinistro e saperlo usare /
significa essere un pugile quasi completo. /
Avere un bel destro senza fare un buon uso del sinistro /
è come trovarsi nel mezzo del deserto, /
affamato ed assetato, con un sacchetto di monete d’oro /
e non sapere come spenderle. /
Con un bel sinistro sarai ricco e dominerai il mondo, /
osannato ed ospitato nei migliori alberghi”.

Dovrebbe essere ancora esposta, questa ode, nella antica palestra di Santa Croce in Gerusalemme dove lui insegnava. E fra i suoi ultimi allievi ci fu anche il colonnello Fabio Martelli, attuale presidente della FIDAL Lazio, La storia, è appena il caso di dirlo, siamo noi …

 

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