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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Piste&Pedane / Quel che serve (soprattutto) e' il talento

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Mercoledì 6 Marzo 2019

 

4x400-glasgow 2

 

Qualche considerazione a luci spente su una prima verifica del percorso tecnico avviato verso Doha, l'appuntamento iridato dell'anno. Tutto bene? Se lo si ritiene, ci si può anche contentare ...
 

Daniele Perboni

Con gli Euroindoor di Glasgow è ufficialmente iniziata l’era La Torre. Un esordio, il suo, felicemente innaffiato dallo spumante stappato grazie all’oro di Gimbo Tamberi nel salto in alto (2.32) e dal bronzo della staffetta 4x400 donne (Lukudo, Folorunso, Bazzoni, Milani), a cui vanno aggiunti sette finalisti (uno in meno rispetto ai precedenti campionati di Belgrado 2017) e l’ottavo posto nel medagliere. Raccolta dominata, ancora una volta, dalla Polonia (5 ori, 2 argenti) e dalla Gran Bretagna per complessive 12 (4, 6, 2) decorazioni. (foto Colombo/Fidal).

Improvviso flashback. Andiamo a controllare. Ricordiamo giusto. Anche allora (Belgrado) la Polonia dominò medagliere (12) e classifica a punti. Risultati quasi identici a quelli ottenuti ai campionati outdoor di Berlino dello scorso agosto. Rileggiamoli: Gran Bretagna 18 medaglie (7, 5, 6), Polonia 13 (7, 4, 2), Germania 19 (6, 7, 6). A Glasgow teutonici “non pervenuti” (solo 5 medaglie, e nessun oro). Esplosione positiva degli iberici, terzi (3, 2, 1). Evidentemente il raccolto della repubblica affacciata sul Baltico non era e, soprattutto, non è un caso, ma frutto di una programmazione seria e profonda. Di una ricerca e coltivazione dei talenti, su una base largamente superiore alla nostra, che non mostra tentennamenti con il passare del tempo. Particolare non indifferente: la popolazione polacca è di circa 38 milioni e mezzo. Dunque inferiore di ventidue milioni rispetto alla piccola Italia.

Possiamo considerarci fuori dal tunnel o siamo ancora impantanati in mezzo al guado? A sentire il CT La Torre un sette è tutto meritato, quindi siamo fuori, all’asciutto. Lo vediamo un tantino ottimista, ma non possiamo certo aspettarci che il capo butti a mare il lavoro di questi mesi (pochi, per la verità). Chiede tempo. Che fare dunque? Lasciarlo lavorare tranquillo o provare a mettergli un pizzico di pepe sulla coda? «Il contesto è durissimo – chiosa il responsabile azzurro – dobbiamo tutti esserne consapevoli». Sembra stia iniziando a mettere le mani avanti per eventuali insuccessi.

Oltre al trionfo, in pedana e, soprattutto, mediatico di Tamberi, dalla Scozia si torna con la consapevolezza che non bastano le parole per salire ai vertici. Un esempio? Bravissime e toste le ragazze della 4x400, ma in un contesto mondiale, come quello che si affronterà a Yokohama, sarà arduo avvicinare la finale, come abbiamo letto da qualche parte. Più realisticamente si dovrà puntare ad un piazzamento fra le prime dieci squadre, così da garantirsi l’iscrizione diretta ai Mondiali di Doha.

Buio completo, invece, per i colleghi (Leonardi, Tricca, Lopez, Aceti). I ventidue anni di età media non possono giustificare l’ottavo posto (3’09”48), a quasi tre secondi dal Belgio vincitore (3’06”27) che ancora una volta ha schierato la famiglia Borlée al completo, con l’estraneo Watrin in prima frazione. Altro punto dolente, per usare un eufemismo, la debacle nell’alto: Vallortigara (1.89) e Trost (1.85), ancora una volta hanno fallito l’appuntamento. Problemi? Evidentemente sì. A Berlino la Vallortigara, dopo il deludente 1.86 e relativa esclusione dalla finale confessò di essersi sentita «in un frullatore». Giustificazione comprensibile, sei mesi or sono. Ma ora?

Buone nuove sempre dalle ragazze, grazie a Tania Vicenzino nel lungo (sesta con 6.58 in una gara vinta dall’intramontabile serba Spanovic/6.99), Luminosa Bogliolo nei 60 ostacoli (8”11 in semifinale) e Sonia Malavisi nell’asta, personale al coperto eguagliato a 4.50. Soprattutto abbiamo assistito alla completa maturazione agonistico/tattica di Raphaela Lukudo, ottima quinta nella finale dei 400 e personale abbassato a 52”48. La strada è ancora lunga per avvicinare la vetta internazionale, ma pare finalmente sulla direzione giusta e pare consapevole dei mezzi di cui madre natura l’ha dotata. Dubbi, del tutto personali, su Ayomide Folorunso. Ci pare annaspare in un limbo da cui non trova la via d’uscita. Enorme grinta, determinazione e aggressività agonistica ma che, alla fine, non riescono a tradursi in risultati cronometrici altrettanto lusinghieri.

Plauso anche per Claudio Stecchi, quarto a pari merito con 5.60, attestato ormai su misure di buon livello internazionale. Punto dolente il mezzofondo, grande assente azzurro da tanti, troppi anni. Un solo rappresentate, il ventenne Simone Barontini negli 800. Premiato per il successo fortemente voluto ai tricolori di Ancona, è letteralmente affogato al suo primo approccio con l’atletica dei grandi. Questo per ribadire che per competere ad armi pari con chi sta in vetta non bastano volontà, cuore, passione. Serve anche il talento.

 

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