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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Italian Graffiti / 1969: l'anno che cambio' il mondo (e l'atletica)

Martedì 12 Febbraio 2019

 
stadio dei marmi 2 

Niente sarà più come prima. I dodici mesi che hanno chiuso i favolosi anni Sessanta e più di altri hanno inciso sul futuro del nostro Paese. Cambia tutto: ai fermenti della politica e del sindacato si oppone la “strategia della tensione” che sfocerà negli anni di piombo. Cambia anche lo sport e l’atletica che annunciava la stagione dello spettacolo.

Gianfranco Colasante

Cinquant’anni fa. Dopo l’orgia delle celebrazioni che hanno caratterizzato il 1968 (centrate, in chiave sportiva, nella rivisitazione dei Giochi del Messico), pare altrettanto giusto accendere i riflettori sui dodici mesi che ne seguirono. Un’annata straordinaria, quel 1969, che si colloca come cesura tra un mondo antico – in qualche maniera ancora intatto nei suoi principi – e un futuro ancora da immaginare. Basterebbero alcune considerazioni per valutare la portata di quella che segnò – più dell’anno precedente, e forse, proprio in conseguenza dello stesso – una vera rivoluzione. Nel costume, nella politica, nell’economia, nella morale. E che affondò il suo bisturi più in profondità nel nostro Paese che in altri. Elementi che sono stati ribaditi con ampiezza in un libro di Paolo Conti, capo della redazione romana del Corriere della Sera, ristampato in questi giorni da Laterza (titolo: “1969/Tutto in un anno”).

Di quell’anno – illuminato dalla torcia umana che si accese a Praga, col sacrificio di Jan Palach che aprì il primo squarcio nelle tenebre del comunismo – non si possono non ricordare i grandi cambiamenti intervenuti in quei mesi nei rapporti tra studenti e professori, tra organizzazioni sindacali e mondo imprenditoriale, cardini dell’”autunno caldo”. E ancora, in ordine sparso: la prima legge sul divorzio, le occupazioni delle università, lo sbarco sulla Luna (trasmessa in una lunga diretta di Tito Stagno, una prima volta assoluta per la Rai), le bombe di Piazza Fontana che aprirono la stagione delle stragi, i quattrocentomila di Woodstock e la risposta rock alla guerra del Vietnam, mentre sugli schermi scorrevano le immagini di Easy Rider, di Z-l’orgia del potere e, in Italia, del Satyricon di Fellini.

Nasce il Rinnovamento – E nel suo piccolo, cominciava a cambiare anche lo sport e in particolare l’atletica che ne era la tradizionale avanguardia. La forgia delle idee s’era scaldata negli anni precedenti con un fermento e una irrequietezza tra le società che – in vista dell’assemblea del febbraio 1969 – avevano portato alla costituzione di un “Comitato promotore per il Rinnovamento”, un’idea di adattamento al nuovo tempo alla quale avevano lavorato Luciano Barra e Beppe Mastropasqua, come dire CUS Roma e Pro Patria. Non per nulla le società d’avanguardia nel movimento giovanile e nella corsa campestre, madre di tutto il resto. E a cui avevano via via aderito club militari (FFGG) e industriali (Snia), capofila di molte altre, mentre gli Enti di Propaganda, allora ben attivi in atletica, s’erano divisi: CUSI, Fiamma e AICS da una parte, la potente Libertas di matrice democristiana schierata su posizioni “governative” dall’altra.

La riunione decisiva per stabilire le future strategie del “Rinnovamento” s’era tenuta a Reggio Emilia, sulle scalinate del palazzetto, il 1° dicembre 1968, presente Alfredo Berra che dalle colonne della Gazzetta appoggiava il movimento (e che, forse, non avrebbe disdegnato la futura presidenza federale). Mentre fuori cadeva la neve, al termine di quella verifica il Comitato – che aveva sede a Roma, in via Cassia 595 (come dire nell’abitazione di Barra) – stilò un documento in sei punti che è ancora utile rileggere. Vi si indicavano i seguenti temi:

• Nuova politica di contributi alle Società, soprattutto in base all’attività giovanile;
• Studio di un piano per il rilancio dello sport nella Scuola;
• Ristrutturazione dell’apparato tecnico federale secondo criteri più moderni, funzionali e meno dispendiosi;
• Autonomia e funzionalità dei Comitati Regionali;
• Necessità di allargare le classifiche del Campionato di Società ad un maggior numero di sodalizi partecipanti, affinchè sussista [sic!] un maggior incentivo per tutte le Società italiane;
• Problemi connessi all’uso e alla localizzazione degli impianti.

Un programma solo in apparenza ambizioso e che potrebbe ancora oggi avere una sua compiuta validità e attualità. Sempre che si trovi qualcuno disponibile a battersi “soltanto” in nome delle idee.

Con quelle premesse si giunse all’assemblea federale del quadriennio post-Messico tenuta nella palestra del Foro Italico il 22 e 23 febbraio 1969. Giulio Onesti portò il saluto dell’Ente precisando che non si trovava davanti a “una federazione”, ma “alla federazione”. Un omaggio postumo e un po’ fariseo. Nella seconda giornata aveva inizio la votazione per l’elezione del nuovo C.F., preceduta da un intervento del delegato del Piemonte – il dirigente universitario Primo Nebiolo, indicato dal Rinnovamento per la presidenza – che ritirava la propria candidatura per “evitare una frattura difficile da sanare”.

Gioco forza, gli scrutini riconfermarono presidente il capitano di lungo corso Giosuè Poli, mentre per il nuovo consiglio venivano eletti, nell’ordine di preferenza, Tosi, Nebiolo, Brunori, Calvesi, Casciotti, Sivelli, Barra, Pavolini, Siddi, Mastropasqua, Santillo, Bracciolani. Nella quasi totalità, ad eccezione di Vittorio Brunori e Luca Santillo, espressione della corrente di Rinnovamento. La difficile convivenza tra vertice e base venne interrotta dopo poche settimane dalla morte improvvisa del capitano Poli, avvenuta il 5 aprile. Aprendo di fatto un periodo di commissariamento con la federazione affidata per tutto l’anno al vice-presidente Brunori, un gentiluomo d’antico stampo e bonomia tutta felsinea, che seppe guidarla con buon senso attraverso marosi via via più tempestosi fino all’assemblea straordinaria del dicembre 1969 che designò alla presidenza Nebiolo.

Dalla bicicletta al jet – A quel tempo la FIDAL – che, con una decina di dipendenti, aveva ancora sede in poche stanze al terzo piano del palazzo di viale Tiziano – disponeva di risorse piuttosto contenute, per di più amministrare con la lesina ed occhiuta parsimonia dal ragionier Ottaviano Massimi, un uomo dell’anteguerra che per trent’anni era stato il garante della correttezza dei conti federali. Il bilancio del 1969 presentava entrate per circa 650 milioni di lire, il cui zoccolo era costituito dai 500 milioni del contributo CONI. E con poche prospettive di cambiamento. Tanto che il capitano Poli, nel suo intervento in assemblea, guardando con occhio scettico alle ambizioni del Rinnovamento, aveva ammonito: “Non sarà facile per voi passare dalla bicicletta alla guida di un jet”.

E gli atleti? Si concludeva un ciclo per tanti versi irripetibile (a metà degli anni Sessata, pur nella sua povertà francescana, l’atletica italiana possedeva cinque primati mondiali …). Lo sport era ancora un mondo in bianco/nero, la televisione era solo un elettrodomestico che faticava ad entrare nelle case, alla pari del telefono. Le notizie le veicolavano i giornali, di una severità grafica che arrivava dal passato, molto testo e pochissime foto, ma che allo sport dedicava quattro quotidiani – una anomalia, se vogliamo, tutta italiana –, sulle cui pagine l’atletica occupava un ruolo di rilievo, grazie anche alla qualità e al nerbo propositivo dei tanti giornalisti che l’affollavano e la raccontavano, seguita con una percezione benevola in un’epoca nella quale il calcio era ancora considerato uno sport. Non ancora lo sport.

Eredità, forse, degli anni in cui il Paese aveva conosciuto, e assorbito, lo sport scolastico (in effetti e in pratica, si parlava di sola atletica) come un normale comparto dell’educazione dei giovani. Ma proprio il 1969, su quello scenario, si pose ancor più come frontiera tra il vecchio e il nuovo. Alcuni incidenti capitati durante le lezioni di educazione fisica che avevano colpito l’opinione pubblica e, soprattutto, la percezione della crisi della istituzione Scuola, con le sue tensioni e contraddizioni, prima del tutto sconosciute, posero la parola conclusiva a quella esperienza ideata e avviata sin dal 1950 da Bruno Zauli, vero apostolo dell’atletica e grande innovatore.

Sul fronte agonistico l’anno dispari presentava il maggiore appuntamento ad Atene – dove vigeva ancora il regime dei colonnelli – per i Campionati Europei che quell’anno cambiavano la cadenza passando da quadriennali a biennali. In precedenza c’erano stati due triangolari, come usava al tempo, l’uno a Stoccolma (nei giorni dell’allunaggio), l’altro a Verona. I pochi atleti di primo piano erano tornati un po’ ammaccati dal Messico, anche se poi Eddy Ottoz, all’ultima gara della carriera, riuscì in Grecia a confermare il titolo di tre anni prima, imponendosi come miglior europeo dei 110 sul campione olimpico dei 400 ostacoli, l’inglese Dave Hemery. Sul podio salì anche Paola Pigni, che in quegli anni andava spiegando alle ragazze del mondo il fascino del mezzofondo, con un terzo posto che avrebbe confermato tre anni dopo ai Giochi di Monaco. Con qualche moto di stupore, imitata da Erminio Azzaro nell’alto e da Aldo Righi nell’asta, entrambi terzi.

La fotografia del momento tecnico la fornì a fine anno il tradizionale ranking di Track&Field News. Per gli italiani vi figurava una pattuglia ridotta e per lo più a fine corsa. Questa la lettura che ne dettero gli esperti del mensile californiano:

• Erminio Azzaro – terzo nell’alto grazie all’exploi di Atene, dopo Valentin Gavrilov e Otis Burrell (e con la meteora Dick Fosbury solo quinto);
• Francesco Arese – al quarto posto nei 1500 dopo Marty Liquori, Kip Keino e Henryk Szordykowski, soprattutto per il secondo posto in Europa-America nell’epica sfida con Liquori;
• Eddy Ottoz – anche lui quarto alle spalle Willie Davenport, Leon Coleman e Erv Hall, dopo il terzo posto in luglio nell’Europa-America di Stoccarda.
• Renato Dionisi – quinto nell’asta, specialità ancora dominata dai saltatori americani, autore di una grande stagione, interrotta però alla vigilia degli Europei da uno dei suoi ricorrenti infortuni, dopo aver battuto nella sfida Europa-America sia Wolfgang Nordwig che John Pennell.

Ultimo atto – L’ultimo atto di quella stagione del cambiamento si consumò, ancora al Foro Italico, il 7 e l’8 dicembre. All’elezione di Nebiolo – che quel riconoscimento se l’era guadagnato con un faticoso periplo in treno della Penisola, raggiungendo uno ad uno tutti i maggiorenti regionali, e il cui regno sarebbe durato vent’anni dei trenta che gli restavano da vivere – si giunse con una votazione largamente vinta contro il candidato “governativo” Luca Santillo: 2574 a 829 il responso delle urne.

Nel C.F. entravano, come vice-presidenti, Brunori, Casciotti e Tosi; come consiglieri, Alcanterini, Bracciolani, Calvesi, Mastropasqua, Pavolini, Santillo, Scatena, Siddi, Sivelli. Più o meno confermando le scelte innovative di dieci mesi prima. La segreteria restava ancora a Massimi che la resse fino al 30 aprile 1970, quando la cedette a Luciano Barra che – lasciato il Consiglio – lo affiancò come reggente per tutto l’anno 1970 prima di assumerne in prima persona la titolarità. Commissario tecnico, nel posto ch’era stato di Giorgio Oberweger, fu nominato Marcello Pagani; all’ufficio stampa Augusto Frasca subentrò a Pasquale Stassano. Due segnali, che più di altri, sottolineavano l’avvenuto cambiamento. Di lì a pochi giorni si spegneva Adolfo Consolini, il più grande interprete della nostra storia atletica. Quasi un sigillo ad un’epoca che scompariva.

Nell’ultimo giorno dell’anno, Nebiolo sugellò la sua elezione con un articolo/manifesto affidato al La Stampa. Vi si leggeva: “L’atletismo italiano è sano e vivo, ma talvolta è vissuto troppo sul valore di pochi grandissimi campioni. I grandi appuntamenti vedono vincitori ormai solo i marziani, e l’Italia intende arrivare a questi appuntamenti non più con pochi, ma almeno con qualche decina di supercampioni. Per arrivare a questo intendiamo imporre una maggiore e più capillare propaganda e una atletica di spettacolo. […] Questo piano di rafforzamento e di maggior propaganda presuppone naturalmente una adeguata copertura finanziaria che spero il CONI non ci negherà, nonché una mobilitazione generale delle forze dirigenziali e tecniche della federazione che già è allo studio, con particolare riferimento al campo della Scuola, dell’Industria e delle Forze Armate”.

Si voltava pagina chiudendo il libro del passato. Schierata la forza, resi gli omaggi dovuti, anche per l’atletica il 1969 poteva segnare un nuovo inizio. Le cui onde – con le loro luci ed ombre ancora in gran parte da indagare –, sono arrivate, smorzate, fino alle nostre spiagge.

 

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