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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Piste&Pedane / E' il progresso, bellezza, Almeno pare.

Giovedì 6 Dicembre 2018

 

computer

 

di Daniele Perboni


Sempre più velocemente il Web va sostituendo la stampa scritta. Ma siamo sicuri che si tratta proprio di un progresso?


Non c’ero, imberbe sedicenne, in quel di Helsinki 1971 a sbracciarmi e urlare per la supremazia mostrata da Franco Arese verso il resto del continente, battendo un polacco dal nome impronunciabile (Szordykowski). Ma lessi tutto avidamente su alcuni giornali trovati nella casa del custode dello stadio. Poi il nostro mitico coach, al secolo Angelo Filighera, ci fece omaggio di qualcosa che negli anni sarebbe diventata la mia casa: la rivista Atletica Leggera. Su quelle pagine mi formai e capii che quel mondo poteva anche essere il mio futuro.

Non c’ero nella Roma del 1974 a disperarmi per la sconfitta di Marcello “March” Fiasconaro, crollato sotto i colpi dello slavo Luciano Susanj e dell’astro nascente (19 anni) britannico Steve Ovett. Nel contempo, riuscivo ad esaltarmi per l’inaspettato e sorprendente bronzo di Beppe Cindolo. Spiantato studente non potevo permettermi una settimana nell’Urbe. Soprattutto dovevo preparare un paio di esami per passare da un Istituto all’altro … Non c’ero… però ho potuto “ubriacarmi” bevendo avidamente dalle pagine dei giornali, la rosea in primis e qualche settimana dopo dalla rivista Atletica Leggera, tutto quanto era stato scritto.

Non c’ero nella grigia Mosca del 1980. Così almeno la raccontavano gli “eletti”, quelli che avevano avuto l’opportunità e la fortuna di esserci, gli inviati di quei quotidiani che ogni giorno acquistavo all’edicola e concorrevano pesantemente a decimare la già mie modeste finanze. Ma tripudiare per l’oro di Sara valeva la spesa. Non c’ero ad Atene (1982), Helsinki (1983) Los Angeles (1984) per accompagnare la tripletta, e l’ascesa al monte Olimpo, del baffuto ragionier Cova Alberto da Inverigo. Gentile ma fulmineo e pericoloso come un crotalo quando si palesava un titolo pregiato. Non c’ero, ma tutto conoscevo una volta penetrati i misteri svelati sempre da chi poteva raccontare di persona e in prima battuta quelle leggendarie sfide.

Non neppure c’ero nella capitale del Baden-Württemberg (agosto 1986), Sud-ovest della Germania, ad ammirare la pazza e folle cavalcata di Francesco Panetta lanciato verso un improbabile e quasi impossibile titolo europeo delle siepi. E infatti fu trafitto dal tedesco dell’Est Hegen Melzer. Crogiolandomi al sole della Puglia passavo ore sotto l’ombrellone ad informarmi di quanto accadeva lassù alle porte del cosmo.

Non c’ero nella capitale del Sol Levante ad ammirare la grandezza di due atleti impegnati nella più grande prova di salto in lungo della storia. Con 8.95 Michael Anthony Powell, detto Mike, riuscì a dominare il “Figlio del vento” che dovette arrendersi pur volando a 8.91. Nulla potè il fuso orario (otto ore avanti rispetto all’Italia) e niente riuscì a fermare la consueta, insaziabile, fame di notizie. Un’unica fonte era in grado di soddisfare quell’atavica ingordigia: i giornali. Di ogni foggia e colori.

Non sono stato presente in altre centinaia di manifestazioni, piccole o grandi, nazionali, o internazionali. Non appartenevo alla fortunata stirpe degli “inviati”, sempre sul pezzo ad ogni latitudine, spediti dai rispettivi direttori e, dunque, senza problemi di bilancio. Ma sopperivo a tutto ciò con la puntuale informazione, gli impeccabili resoconti, i sognanti racconti di chi, fortunato, poteva rendere partecipe il resto del mondo confinato lontano.

C’ero invece a Spalato a celebrare Salvatore Antibo, raccontare quella saga vibrante e appassionata. C’ero, sugli spalti del Gradski Stadion, nel mezzo della bolgia con i parenti tutti accorsi ad acclamare quel piccolo uomo che metteva soggezione ai giganti nordici, tedeschi e britannici. C’ero a Helsinki ‘94, pronto a favoleggiare su una storia d’amore sbocciata sulle pedane dei salti. Lei Fiona, inglese, lui Gianni, toscano. Lungo e asta, un’unione che ha generato, così raccontano le cronache attuali, un altro gioiello che potrà impreziosire la corona dell’atletica italiana. Ero in tribuna a Montecarlo quando l’urlo di dolore fermò il volo di Gimbo impedendogli la partecipazione ai Giochi di Rio. C’ero anche in campo, unico “giornalaio”, entrato spacciandosi per un addetto al soccorso. Così ebbi il “privilegio” di raccontare, in presa diretta, il dramma del ragazzo e del padre.

Ogni articolo, ciascun “pezzo”, non importa da chi scritto e dove venisse pubblicato, differiva dall’altro. Gli inviati raccontavano emozioni, eccitazioni, suggestioni captate in loco e trasmettevano quelle sensazioni al pubblico, ai lettori seduti comodamente a casa. Che cosa è rimasto di tutto questo? Nulla. Spazzato dalla furia delle nuove tecnologie, dalla violenza dei bilanci che impongono tagli netti. Tutti, o quasi, a casa. Basta lo schermo di un computer, un televisore ed ecco che si può ripetere la magia. Falsa suggestione, purtroppo. Oggi ci si affida ai comunicati stampa, fornite dagli stessi organizzatori o dalle Federazioni, alle notizie d’agenzia. Il risultato? Una melassa vischiosa e insapore. Piattume e “colate di piombo” (una volta si usava questa espressione) inesorabilmente uguali.

Il Web ci salverà, sostenevano e sostengono ancora i futurologhi. Forse. Permetteteci il dubbio. Non sarò a Tilburg, in Olanda, in occasione dei Campionati Europei di cross. Dovrò accontentarmi dei racconti degli amici che ci andranno. I giornali? Quattro righe, forse dieci, venti. Nulla di più che una scarna e asettica cronaca dell’evento.

È il progresso, bellezza. Almeno pare.

 

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