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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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I sentieri di Cimbricus / "Georgia on oval mind"

Venerdì 9 Novembre 2018

 

georgia 2

 

Domani, al Campo di Marte, il quindici azzurro affronta la sconosciuta Georgia, squadra che ambisce al Sei Nazioni.

 

di Giorgio Cimbrico


L’hanno chiamato il Giorno del Giudizio e, dal momento che cadrà domani 10 novembre, qualcuno ha invocato l’intervento di San Leone Magno, destinatario di quella data: il pontefice che convinse Attila a portare altrove i suoi Unni scatenati può trasformarsi in benefico patrono per gli azzurri del rugby che affrontano la Georgia: lo scontro è previsto al Campo di Marte (o Artemio Franchi) di Firenze. L’Italia non batte un’europea da tre anni e mezzo e ora si ritrova tra le mani una delle più lontane appendici del vecchio continente, in un pomeriggio che può diventare quello di un giorno da cani. Dovesse andar male, gli attacchi diventerebbero spietati, le critiche sospese tra l’ironico e il sarcastico, il futuro finirebbe in gioco. Fatti gli scongiuri, non resta che acquistare un biglietto a very low cost e viaggiare verso est.   

Sakartveio abitano i kartvelebi che parlano il kartuli. Traduzione: in Georgia abitano i georgiani che parlano il georgiano. Ma allora San Giorgio, onorato con cinque croci sulla bandiera, una grande e quattro piccole, cosa c’entra? Pare fosse di quelle parti e, in ogni caso, è il santo patrono. Genovesi e inglesi – vedi vessilli – sono venuti dopo.

Per essere onesti, della Georgia, stesa sul confine incerto del Caucaso, un po’ Europa, un po’ Asia, con una delle vette dell’Elbrus che incombe sulle sue valli, sappiamo poco. Ai tempi dell’URSS, a Mosca si poteva rimediare una bottiglia di champagne georgiano, dolce e sciropposo, e se andava bene e la mancia al cameriere era adeguata, dalla cantina di uno degli hotel Intourist poteva comparire un rosso forte che non era male.

Nel frattempo le statue, anche gigantesche, dedicate al più famoso dei georgiani erano sparite, abbattute, fuse: la madre Russia e la prima timida glasnost krusheviana avevano inghiottito Iosif Vissiarionovic Dzugasvili, detto Soso, soprannominato Stalin, ex-seminarista, ex-portiere di notte in un albergo di Ancona, segretario del partito, maresciallo in tempore belli, guida del marxismo-leninismo, “piccolo padre”, creatore dell’arcipelago gulag.

Altre tracce: per chi ama la poesia epica ci sarebbe a disposizione “Il cavaliere dalla pelle di leopardo” di Shota Rustaveli, scritto al tempo delle prime crociate. Per chi preferisce l’atletica c’è la lunga storia di Viktor Saneyev, nativo di Sukhumi (in realtà, regione dell’Abkhazia), uno dei più grandi “canguri” cavallette” nella storia del salto triplo, oro olimpico a Messico, nello scontro che diede a Beppe Gentile il bronzo malgrado due record del mondo, a Monaco di Baviera, a Montreal e vicino al poker stile Al Oerter a Mosca, fregato da un estone, Jaak Uudmae che, come lui, onorava la bandiera dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In realtà il più fregato fu il povero Joõo Carlos de Oliveira, nulli millimetrici – se erano nulli … – da 18 metri.

I romani, che naturalmente si erano spinti anche da quelle parti, rimasero ammirati dalla disciplina, dal coraggio e dall’ardimento di quei robusti montanari che amavano lottare e che offrirono qualche colpo, qualche presa alla greco-romana in via di codificazione. I georgiani praticavano anche un duro sport a squadre che chiamavano lelo. Qualcosa deve esser finito nell’arpastum che i legionari portarono dappertutto, isole britanniche comprese.

E così il rugby georgiano è finalmente dietro l’angolo e riporta a una gelida giornata di quasi diciannove anni fa, al campo livornese di via dei Pensieri, e all’ultima (ufficiosa e mai andata a libro) partita degli azzurri nella lunga vigilia del debutto nel 6 Nazioni che stava per emettere i primi vagiti. Come la squadra cittadina – i labronici – anche i georgiani indossavano una maglia amaranto, o vinaccia, e la resistenza che opposero agli uomini di Brad Johnstone, che assisteva con un basco piantato sul robusto cranio, fu quella dello sparring partner che dopo tre riprese serrate comincia ad abbassare la guardia, convinto di aver fatto il proprio dovere. La scelta di misurare la condizione della squadra con un avversario che non aveva allora né referenze né quarti di una qualche piccola nobiltà, dipese da una fama che i caucasici stavano lentamente costruendo: non possedevano brillantezze particolari né spiccata inventiva, ma erano, come si diceva di truppe pronte all’abnegazione e al sacrificio, duri come muli. Ora anche di più.

Come capitò con la Romania, anche alle origini del rugby georgiano c’è un francese, Jacques Hastekian, marsigliese dalle radici armene, pioniere negli anni Cinquanta. La svolta venne assestata quasi mezzo secolo dopo da un altro cittadino di Marianna, Claude Sauret, ct di una nazionale che, appena compiuti i nove anni di vita, conquistò nel 2000 il suo primo Grande Slam nel torneo che i vecchi suiveur si ostinano a chiamare FIRA, con l’accento sulla a. Da allora i Lelos avrebbero allineato altri dieci successi in quello che è stato ribattezzato 6 Nazioni B, schiacciando spesso i romeni di fronte allo strabocchevole pubblico di Tbilisi. Il rugby, in questi anni, ha superato anche l’amatissimo sollevamento pesi.

Passi in avanti: nel ’99, qualificazioni al Mondiale, i caucasici furono costretti a riporre in archivio un rovescio, 70-0 con l’Irlanda, eloquente sulla distanza che li separava dall’altro rugby. Da quel momento hanno messo sempre un piede nella fase finale della Coppa del Mondo celebrando nel 2007 la prima vittoria (con la Namibia) e ritoccando il record tre anni fa con il doppio successo, ancora con gli africani del sudovest e con Tonga, festeggiando il titolo di uomo del match meritato da Mamuka Gogodze, detto Gorgodzilla contro gli All Blacks, mettendo le mani su un posto per Giappone 2019, sbandierando ambizioni di euro-promozione. In questo senso, la partita di Firenze è il momento buono per stabilire quanto il fossato sia ancora profondo.

Segno essenziale, la ruvidezza degli avanti che ha significato trovare occupazione in Francia dove i georgiani – dal greco, agricoltori – hanno trovato campi da arare, senza bisogno di buoi da metter sotto il giogo. Ci pensano loro, irsuti e feroci. 

 

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