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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Dal podio olimpico al premio Nobel

Mercoledì 31 Ottobre 2018

 

noel baker 2 

 
di Giorgio Cimbrico


Schegge di storia, la lunga vita di Philip Noel Baker e le giovinezze bruciate di Wilfried Owens e i suoi compagni. 

 

4 novembre. Quando, in questo giorno del 1918, lontano un secolo tondo, l’armistizio tra l’Italia e il moribondo Impero Austro-Ungarico venne firmato a Villa Giusti, Philip Noel Baker chiuse una parentesi della sua vita. Come il giovane Ernest Hemingway (che da quell’esperienza trasse “Addio alle Armi”), Philip per tre anni aveva servito nel corpo delle ambulanze sul fronte italiano, ricevendo decorazioni sia dalla Gran Bretagna che dall’Italia: andarono ad aggiungersi a quelle francesi che aveva raccolto sul Fronte Occidentale nella prima fase della Grande Guerra.

Nella storia – non quella dell’atletica: la storia e basta, … – Philip rappresenta un unico, un campione con molto valore: è il solo ad esser salito su un podio olimpico e, quasi quarant’anni dopo, ad esser chiamato a Oslo per ricevere il premio Nobel per la Pace, riconoscimento per il suo impegno per il disarmo, la lotta contro le armi nucleari, il rafforzamento di quella che al tempo della sua gioventù si chiamava Società delle Nazioni e dopo la seconda guerra mondale divenne l’ONU.

Nato nel 1889 a Londra da un padre canadese di fede quacchera, esordì nei Giochi 1912 e finì sesto nei 1500, quelli della vittoria del suo conterraneo Arnold Jackson, destinato a diventare il più giovane brigadiere dell’esercito imperiale. Anche Philip, convinto obiettore, fu coinvolto nello spaventoso conflitto ma sui fronti andò senza dare ordini o portare addosso un’arma, sempre inseguendo, sotto il fuoco, la salvezza e la sopravvivenza dei feriti.

Nel 1920, ad Anversa, aveva 31 anni, era il capitano della squadra britannica di atletica, sfilò portando l’Union Jack e, trasportando in pista il suo spirito e la sua generosità, protesse Albert Hill dagli attacchi degli avversari nelle fasi decisive dei 1500, per finire secondo. Hill, pilota della neonata RAF, due giorni prima aveva vinto anche gli 800. L‘ultima apparizione olimpica di Philip è legata a Parigi 1924: ancora capitano, ma … non giocatore, uno di quelli che capirono sino in fondo le convinzioni, la fede e la volontà di Eric Liddell.

Laburista, ebbe un seggio in Parlamento per 36 anni finendo nella ragnatela delle facili battute e delle ironie: quando prendeva la parola, “puliva” la sala, nel senso che molti, di fronte a una dialettica stimata come noiosa, preferivano i corridoi o il bar del Parlamento.

Lo sport incrociò ancora la sua vita nel ’48 quando occupò una delle posizioni di vertice nel comitato organizzatore dei Giochi di Londra. Elevato alla baronia, è scomparso quasi 93enne e solo dopo la sua morte è stata rivelata la sua lunga relazione extraconiugale con Lady Megan Lloyd George, figlia di David, primo ministro durante la Prima Guerra. Come dice uno dei protagonisti di “A qualcuno piace caldo”: nessuno è perfetto.


Dove fioriscono i papaveri

Piegati in due come vecchi accattoni sotto sacchi
Con le ginocchia che si toccavano, tossendo come streghe
Bestemmiavamo nel fango
Fin davanti ai bagliori spaventosi dove ci voltavamo
E cominciavamo a trascinarci verso il nostro lontano riposo
Wilfred Owen, da Dulce et decorum est

Il tenente Wilfred Owen cadde a Joncourt il 4 novembre 1918, una settimana prima che all’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese venisse firmato l’armistizio lontano il cerchio esatto di un secolo. Doveva essere la fine di tutte le guerre e non è stato così.

Owen è uno dei tanti papaveri che, ad ogni novembre, rifioriscono sui baveri di giacche eleganti, di giacconi, di maglie da gioco, sono la testimonianza di una memoria che non vacilla, sono il ricordo di un strage senza fine e senza senso. In Gran Bretagna i caduti furono un milione e con i paesi dell’Impero il totale toccò il milione e 250.000. Una generazione distrutta, scomparsa: chi ne uscì, portò per sempre addosso o nei labirinti della mente, quelle ferite, quell’orrore. Sigfried Sassoon e Robert Graves, che sopravvissero, lasciarono una straziante testimonianza, in versi, in prosa.

Corone di papaveri attorniano il Cenotafio, a metà di Whitehall, vengono posate sotto le targhe e i monumenti di tutte le città, sono portate dai picchetti sui prati degli stadi, dove prima del calcio d’inizio un trombettiere suona, in un silenzio agghiacciante, The Last Call, le note che invitano i soldati a tornare in caserma, come fossero ancora vivi, dopo una serata di bevute e allegria. Tra tutti gli sport il rugby ha pagato il più alto tributo di sangue: 115 giocatori con un passato da internazionali persero la vita (tra gli inglesi i nomi più illustri sono Ronald Poulton-Palmer e Edgar Mobbs; tra i neozelandesi, Dave Gallaher, capitano degli All Blacks del 1905, e la Scozia è in testa all’elenco con 30 caduti  il contributo dell’atletica è legato a Jean Bouin, il piccolo Ercole di Marsiglia, protagonista, con Hannes Kolehmainen, di una delle più famose foto della storia olimpica, l’arrivo dei 5000 a Stoccolma 1912.    

Non esiste più un testimone diretto di quel che accadde ma ogni paese culla il suo ricordo: per inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi sono le battaglie senza senso in Fiandra, le avanzate ridicole sulla Somme, nel fango che Owen sente addosso mentre scrive su un notes; per gli australiani e i neozelandesi è il massacro di Gallipoli, in quella penisola a forma di falce; per i canadesi è l’assalto alla cresta di Vimy; per i sudafricani è la caccia a von Lettow, il generale fantasma nella guerra dimenticata tra le boscaglie e le savane dell’Africa Orientale.

Poppies, papaveri: fiori effimeri come la vita, rossi come il sangue, che sarebbero cresciuti, una primavera dopo l’altra, su una terra sconvolta e poi avrebbero invaso gli sterminati cimiteri (di quelle ordinate distese parla, in un magnifico racconto molto sentito e molto commosso, Rudyard Kipling che nel ’15, vicino a Loos, aveva perso il figlio John) che riuniscono quelli che hanno un nome ai tanti ignoti. A St Symphorien, non lontano da Mons, hanno riunito Tom Parr, del 4° Middlesex, a George Price, della fanteria canadese, l’alfa e l’omega di questo macello: Tom cadde il 21 agosto 1914, George l’11 novembre 1918, a un soffio dalle firme che cento anni fa l’avrebbero salvato.

 

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